Genericamente si pensa che il potere sia nelle mani dei responsabili politici e nelle strutture amministrative degli stati e degli enti locali. In realtà le cose stanno in maniera diversa perché il vero potere decisionale, a livello locale, nazionale e internazionale, risiede anche nelle aziende multinazionali, nelle strutture di sicurezza (militari, di polizia e dei servizi segreti), nelle reti di comunicazione e di informazione e nei centri di ricerca più potenti che sono, sovente, collegati alle strutture finanziarie, militari e di informazione. Tutte queste strutture esercitano una grande influenza non solo nelle decisioni di carattere economico e politico ma anche sull’educazione. Solo a titolo esemplificativo, possiamo notare che lo Stato e le organizzazioni internazionali a vocazione pubblica stanno avendo sempre meno potere decisionale a livello educativo e che, d’altra parte, stanno avendo sempre più peso le organizzazioni non governative (ONG), il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM). Inoltre, le televisioni e i mezzi di comunicazione di massa influenzano, in maniera diretta o indiretta, la cultura e l’educazione di molti paesi attraverso delle attività di vera e propria “educazione a distanza”256.
Larga parte della popolazione del Sud del mondo - e anche una piccola parte della popolazione del Nord del mondo - ha un accesso molto limitato, o addirittura inesistente, alle strutture educative e ciò prepara, direttamente o indirettamente, a una futura esclusione di queste sacche di popolazione delle decisioni economiche, sociali e politiche che le riguardano. Tale esclusione è frutto dell’iniqua divisione internazionale del lavoro e dalle scelte imposte dalle numerose reti internazionali a livello produttivo, comunicativo, educativo; molte lingue e culture nazionali stanno scomparendo così come molte tradizioni scientifiche e tecnologiche a causa del dilagare di una sola lingua e di una sola cultura a livello internazionale. L’educazione, tradizionalmente strumento di democrazia e di emancipazione, può diventare, in questo contesto omologante, un mezzo della violenza e un grimaldello per l’inganno da parte di alcune popolazioni “ricche” verso altre popolazioni più “povere”. Alcune delle idee educative proposte da un gran numero di paesi per far fronte a questa situazione (educazione alla pace, educazione all’universalità, educazione all’ecologia) rischiano di essere nulla di più che ulteriori strumenti di adattamento a forme di consumo materiali e culturali che prendono vita nei paesi economicamente più forti. “Un’educazione a dimensione pacifica, infarinata di ‘umanitarismo’, può anche essere recuperata per creare nuove forme di dipendenza su scala
255 Cfr. Gelpi E., Intervista, “Appunti per gli amici”, op. cit. 256 Cfr. Gelpi E., Educazione degli adulti, op. cit., pp. 21-23.
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mondiale. L’educazione ecologica, anziché rispecchiare un autentico rispetto per la natura, è spesso condizionata da interessi di mercato e serve a imporre al Sud del mondo quei sacrifici, in particolare in ambito energetico, che il Nord non è disposto ad accettare”257. Incontrano invece forti resistenze i progetti educativi non funzionali alla perpetuazione del potere di alcune strutture nazionali e internazionali: educazione contro l’esclusione e la disoccupazione, rispetto per le identità culturali e per l’incrocio tra culture, preparazione della popolazione alla partecipazione alla vita produttiva sono potenziali minacce per la sopravvivenza delle logiche di profitto oggi esistenti258.
L’internazionalizzazione delle forze produttive da un lato mette in relazione i lavoratori del Nord del mondo con quelli del Sud mentre, dall’altro lato, li separa. Li mette in relazione perché le dimensioni lavorative e sociali stanno diventando le stesse in ogni parte del mondo e li separa perché i lavoratori non hanno grandi occasioni di incontro e di definizione di strategie comuni. Questi lavoratori, siano essi del Nord del mondo, del Sud o emigranti, possono però dare avvio a importanti movimenti sociali che, oltre che luoghi di incontro e confronto tra i lavoratori, sono occasioni di rivendicazione dei diritti e di contestazione delle dinamiche di potere. Parallelamente a questi movimenti esistono dei “non-movimenti”, di cui fa parte la fetta di popolazione che è protetta dai luoghi di lavoro, di formazione, di ricerca. Questa categoria di persone difende concretamente i propri interessi senza far riferimento ai propri colleghi che lavorano in altri paesi, ai disoccupati, ai lavoratori immigrati, ecc. Tutte queste persone andrebbero coinvolte nelle lotte sociali attive dei movimenti perché gli emarginati, da soli, non riescono a portare avanti lo loro lotta democratica contro la violenza, il conformismo, l’esclusione, il controllo crescente di alcuni su altri.
L’educazione, soprattutto nel senso di educazione degli adulti e educazione permanente, è uno strumento utile a diverse egemonie mondiali, sia sul piano politico che su quello culturale ed educativo. Ettore Gelpi è tra i primi che introduce in ambito educativo le questioni di potere “come elemento cardine, che specifica il suo pensiero sull’educazione rispetto ad altri perché poi, alla fine, che ci si educhi in ogni luogo e in ogni tempo diventa una parola relativamente vuota se non si qualifica in qualche modo che cosa vuole dire”259. Costante è la sua denuncia delle possibili manipolazioni del concetto di educazione permanente, nemiche dell’educazione stessa:
- l’utilizzazione del concetto di educazione permanente per fare un’operazione di mistificazione educativa e non rispondere alle richieste qualitative e quantitative delle popolazioni;
257
Ivi, p. 25.
258 Cfr. ivi, pp. 23-25.
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- il rafforzamento dei progetti di educazione permanente all’interno delle strutture già privilegiate del sistema educativo (università, formazione professionale legata al lavoro) e l’indebolimento di quelli più deboli (educazione degli adulti poco scolarizzati, educazione popolare, ecc.);
- la confusione tra l’educazione permanente e l’educazione formale dei “meno favoriti”; - l’imposizione dei valori culturali e dei modi di vita di una classe sociale e di un gruppo sugli altri;
- la creazione di reti funzionali non allo scambio di informazioni ma all’egemonia culturale e pedagogica di un paese sugli altri260.
Occorre fare attenzione a queste numerose possibili manipolazioni affinché si sviluppino effettivamente delle politiche educative per tutti collegate alla costruzione della pace, alla trasformazione degli equilibri produttivi, alla valorizzazione culturale degli individui, al rispetto dei diritti individuali e collettivi dell’uomo, alla partecipazione di tutti alla gestione della società, alla realizzazione di rapporti internazionali più giusti.
Peculiarità dei ragionamenti di Ettore Gelpi è che non si limita a descrivere e criticare i fenomeni da cui nascono le grandi disuguaglianze nel mondo relativamente alle questioni di potere ma, così come in ogni suo altro ragionamento, sostiene costantemente che ogni cambiamento, di qualsiasi tipo, non vada rifiutato ma vissuto come opportunità di sviluppo. Come ben ricorda Gianfranco Staccioli, Ettore Gelpi credeva che la soluzione per combattere le disuguaglianze del mondo fosse nel “cavalcare il cambiamento”:
«Lui diceva che non ci si può né richiudere all’interno di un modello, di una sorta di palla protettiva dentro la quale si fanno le nostre cosine per bene, né si può andare a sbattere la testa contro i giganti che viaggiano in maniera mastodontica. Dunque qual è la strada? La strada è che bisogna “cavalcare il cambiamento”, come diceva lui, cioè le cose cambiano ma non ti devi opporre al cambiamento. Cavalcare il cambiamento vuol dire che ci sono delle cose che cambiano, la società cambia, le modalità relazionali cambiano, la formazione non è più la stessa, e noi abbiamo il diritto-dovere di entrare dentro a questi meccanismi per cercare di infilare delle zeppe che consentano a questi meccanismi o di bloccarsi o comunque di svilupparsi verso altre direzioni. Quindi era la proposta di una politica non di sudditanza, né di tipo oppositivo, ma una politica di intervento nel concreto, mettendo le mani in pasta nelle situazioni e cercando dei compromessi che potessero consentire di mantenere delle idealità nella concretezza di un mondo che non è più lo stesso, quindi una ricerca di una via intermedia tra l’isolamento e l’acquiescenza»261.
In questo contesto dunque, le fonti di effettivo sviluppo culturale e di cambiamento educativo sono le lotte sociali, economiche e culturali, la forza creatrice ed emancipatrice dei lavoratori e dei giovani, che possono essere utili per una nuova riflessione sul sistema educativo. La lotta per il progresso della conoscenza è una lotta politica quotidiana contro i
260
Cfr. Gelpi E., Creatività e resistenze nell’educazione permanente, “EDA”, volume III, n. 5-6, settembre- dicembre 1983, pp. 39-40.
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gruppi di potere, le amministrazioni burocratiche, i gruppi militari che usano la ricerca e l’educazione per le loro finalità e per perpetuare il loro potere. Non bisogna dimenticare che “il lavoratore controlla una conoscenza che spesso lo studente o il professore non controllano, e questo non è detto in una prospettiva populista: i lavoratori vivono giorno per giorno le trasformazioni del processo produttivo, essi contribuiscono allo sviluppo scientifico e tecnologico e conducono soprattutto delle lotte che sono una fonte importante di sapere”262. Tutto questo sapere nelle mani dei lavoratori è un contributo culturale rivoluzionario che le strutture educative formali potrebbero sapientemente recuperare e valorizzare.
Concludendo, siamo in presenza di una lotta per il controllo dell’educazione, a ogni livello, fra le strutture di potere che controllano il mercato del lavoro e i lavoratori stessi, che propongono grandi trasformazioni, cambiamenti sociali, una crisi dei valori e dell’autorità nella vita produttiva e educativa. Ettore Gelpi guarda con occhio critico qualsiasi progressivismo educativo che non sia diretto verso obiettivi genuinamente politici e distanzia costantemente il suo concetto di educazione permanente da strategie educative alternative come la descolarizzazione, l’educazione non formale, l’educazione ricorrente, ecc. Per lui, l’educazione trascende non soltanto le istituzioni educative, ma le strutture locali e nazionali per arrivare a trovare un collegamento con l’organizzazione e la cooperazione internazionale. È cosciente che quella che lui spesso definisce come “la dimensione planetaria del sistema economico” può essere uno strumento di liberazione o di dipendenza culturale, di sviluppo autonomo o di nuovo colonialismo. L’educazione permanente, per Ettore Gelpi, è essenzialmente un processo sociale e politico, il cui obiettivo consiste nel raggiungere l’autonomia individuale e culturale: l’educazione è un aspetto integrale della lotta degli emarginati, in ogni società, contro le strutture oppressive del potere263.