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Criticità e punti di forza della leadership nelle associazioni

studi di caso, confronti, punti d’attenzione

2.3 Criticità e punti di forza della leadership nelle associazioni

2.3.1 Varietà di approcci alla leadership nelle associazioni

L’esposizione precedente ha mostrato come è cambiata la realtà intorno al non profit e in che modo questa si stia organizzando in termini di direzione e gestione di

collabora-249 Covey S., L’ottava regola, Francoangeli, Milano, 2005

250 Come afferma Drucker, management challenges for the 21st century, Harper Collins, New York, 1999, p.8.251 Covey op cit, pag.114-115.

tori, volontari e soci. Si passa dalle situazioni che permettono di mostrare i vantaggi di una leadership fondata sulla partecipazione, alle organizzazioni che si basano sul mo-dello del padre fondatore, con bassa capacità di delegare e di rinforzare l’organizzazione attraverso lo sviluppo di nuove leve. Ci sono poi varie esperienze di sintesi tra leadership e managerialità, viste come il modo per indirizzare il futuro delle persone, dare loro la direzione, e dall’altra parte avere persone preparate e pronte ad affrontare le sfide dei prossimi anni, legate alla diminuzione di fondi pubblici, minore partecipazione al livello sociale, tensioni sociali crescenti, welfare in diminuzione.

La domanda allora è come identificare una leadership che prenda il meglio dal profit e dagli altri settori non profit e garantisca alle associazioni di promozione sociale autono-mia culturale e salvaguardia dei valori fondanti, tenendo conto delle finalità e delle esi-genze di ogni organismo. Faremo quindi una sintesi attraverso la voce di chi nel settore opera con compiti diversi, dalla consulenza organizzativa alla direzione.

Che cosa è diventata la leadership per il non profit? E qual è la sua importanza per le associazioni?

Non c’è dubbio che riflettere sullo stile di leadership dato ad un’associazione sia utile per lo sviluppo futuro (coinvolgimento dei soci, ampliamento delle attività, capacità di attirare fondi). Gli esempi sono vari e a livello delle associazioni di promozione sociale non c’è un modello di leadership allo stato attuale, perché a seconda del settore e del-la dimensione ci sono ancora organizzazioni che vanno dall’organizzazione piramidale (basata sull’efficienza organizzativa, sulla leadership come sistema di controllo, su si-stemi auto-referenziali, sulla separazione tra le parti del sistema organizzativo, e quindi caratterizzata da un aumento del fabbisogno d’integrazione), alla organizzazione oriz-zontale, dove l’attenzione sfuma dalla struttura al processo. In questo caso la leadership è vissuta come governo dei processi e guida e sviluppo delle persone, viene tutelato il fabbisogno di integrazione, si discute di un’organizzazione in funzione degli utenti e si va verso il superamento dei confini interni all’organizzazione per interagire sempre più a rete e sul territorio (per esempio con il profit nelle campagne di responsabilità sociale, ad esempio nel caso di Spes contra spem).

Nelle associazioni mature dal punto di vista della discussione e del dibattito legato allo sviluppo delle attività si vedono esempi di organizzazione a rete, in cui la leadership è sviluppata ed esercitata come governo dei cambiamenti e dell’innovazione: si passa dal focus sull’organizzazione alla comunità in cui si opera (l’allargamento delle attività da parte di Raggio di sole), si imposta il lavoro per progetti, si ridefinisce in modo dinamico l’identità associativa e quindi la vision e la mission associativa (il dibattito e le azioni prese da Ucodep). In tale contesto e in tali discussioni è chiaro che la leadership diven-ta qualcosa di diverso dal controllo o dalla guida carismatica, ma divendiven-ta strumento manageriale che permette di guidare e gestire processi di funzionamento, spingere alla innovazione (in una realtà che cambia ogni giorno), stimolare al dibattito sulla identità associativa e le sue mutazioni col tempo, favorire il senso di appartenenza anche rispet-to ai volontari e agli associati, ricordare e fare in modo che l’associazione abbia una missione non auto-referenziale ma aperta alla realtà.252

252 Leadership e sistemi di delega nei modelli a rete, Presentazione presso l’AVIS di Mario becciu, novembre 2006.

La promozione sociale di cui parliamo quando accenniamo alle associazioni sta diven-tando sempre più spesso argomento di azione all’interno: come possiamo promuovere diritti, esigenze, bisogni all’esterno se non promuoviamo socialmente le persone che danno i loro tempo, i volontari, gli operatori, l’organizzazione? In questa ottica, in al-cune associazioni il leader funge da facilitatore dello sviluppo del gruppo, è colui che valorizza le risorse dei singoli, promuove il confronto nelle interazioni e nelle decisioni, stimola le persone alla responsabilità nel raggiungimento delle mete comuni.

Nelle riflessioni fatte dall’AVIS non a caso si parla di leadership diffusa, cioè basata sulla corresponsabilità di tutti i membri nella guida, sulla focalizzazione alla qualità dei contributi individuali, sulla valorizzazione del pensiero innovativo, e di leadership comunitaria, cioè una guida quotidiana basata sull’attenzione ai cambiamenti prodotti dal vivere dentro una comunità, dalla diffusione (interna) della cultura della solidarietà, dallo sviluppo di reti di sostegno reciproco.253

Data questa multiformità di esperienze e modelli praticati vediamo quali sono le aree di criticità della leadership del settore e su quali aree le associazioni possono lavorare nel futuro prossimo.

2.3.2 Elementi di criticità nella leadership nelle associazioni

Possiamo in primo luogo dire che il rischio nell’applicazione pratica di stili diversi di lea-dership (da quello efficace al situazionale all’autorevole al comunitario) sono le esaspe-razioni degli stili stessi: uno stile eccessivamente direttivo rischia di diventare autorita-rio; uno stile troppo di supporto rischia il paternalismo e uno eccessivamente persuasivo diventa facilmente manipolativo; uno stile eccessivamente coinvolgente/partecipativo diventa ‘assemblearismo’ (non si decide nulla se non con il consenso di tutti quelli coin-volti); uno stile troppo delegante può degenerare in “scarica barile”, (l’eccessiva auto-nomia può diventare abbandono oppure al contrario può sfociare in lassismo, situazione in cui è come se il leader non ci fosse e i collaboratori decidono autonomamente senza rendere conto dei risultati).254

Dall’osservazione delle pratiche abituali possiamo evidenziare che l’esercizio della leadership nel non profit e nel settore associativo è ancora lasciato alla sensibilità individuale e quindi interpretato in modo personale e non strutturato. I leader ecces-sivamente concentrati sulla missione e sulla visione rischiano di pretendere troppo dalle persone o di non essere capite e seguite nel quotidiano, perché danno troppa importanza alle azioni a lungo termine, mentre le persone hanno bisogno di strumenti per agire subito.

Il leader organizzatore rischia di orientarsi troppo sulle attività e di perdere e far perdere di vista il senso delle cose. Rischia la proceduralizzazione delle attività oltre alla perdita di motivazione dei collaboratori.

Il leader partecipativo rischia la iper-democraticità, per cui tutto deve essere deciso dopo estenuanti discussioni inoperose e le attività vengono rallentate con conseguenze

253 Ibidem.

254 Limido L., La leadership situazionale, Ed. bur, Milano, (1998)

per soci e beneficiari. Diventa estenuante la ricerca del consenso totale e il valore in sé da tutelare fa perdere di vista le attività.

Il leader concentrato sulla innovazione rischia di osare troppo e di essere criticato e non seguito, può portare l’organizzazione di fatto fuori dalla mission associativa.255

Possiamo, inoltre, aggiungere che è ancora basso il livello di competenze manageriali dei leader non profit. Infatti, questi, spesso sono nati nell’organizzazione, hanno fatto la gavetta o hanno fondato l’organizzazione e, quindi, sono portati a pensare che guidare una organizzazione sia qualcosa che si possa fare basandosi soprattutto sulla dedizione sopra citata. Quando, però, le attività crescono e il contesto esterno diventa complesso (come quello attuale) l’afflato valoriale non è abbastanza energizzante e nascono i pro-blemi gestionali, i gruppi vanno in crisi, oppure si rinuncia a crescere, mantenendo un profilo di nicchia che tutela chi ne fa parte ma non stimola gli altri ad avvicinarsi.

L’orientamento al risultato, poi, è spesso un punto dolente, con manager che guidano l’associazione praticamente da soli, oppure che non hanno il coraggio o le capacità per dare obiettivi all’organizzazione, rischiando di lasciarla nella staticità. Si pensa che forse non è necessario dare obiettivi, le motivazioni iniziali sono talmente alte che le attività si reggono da sole. Lo spontaneismo ancora presente nel mondo non profit porta a pen-sare che non ci sia bisogno di struttura o processi e che la spinta ideale possa permettere di raggiungere ed ottenere il necessario.

La criticità che sembra essere sempre meno accettata dai “guidati” è la scarsa sensibilità verso la valorizzazione e il coinvolgimento delle persone che operano dentro l’organiz-zazione. C’è un preconcetto per cui se si fa attività associativa o qualsiasi cosa per gli altri, ciò è dovere morale, non deve in quanto tale essere valorizzato. E, invece, proprio nel settore in cui non ci sono possibilità di valorizzazione concreta (economica, per parlar chiaro) la cura e la attenzione verso le persone è un elemento imprescindibile e motivante per chi la riceve. Come si può dare attenzione all’esterno se non si curano le persone dentro l’organizzazione?

Un modo alternativo di comportamento che sembra minimizzare l’impatto dei pro e contro dei vari stili di guida, che sono un rischio per le associazioni quando applicati con rigidità e inesperienza, sembra essere, come mostrano alcune esperienze sul campo, la leadership che punta all’empowerment delle persone dentro l’organizzazione, per sti-molare partecipazione e coinvolgimento.

2.3.3 La leadership femminile volano di promozione sociale

A proposito di empowerment cosa possiamo dire dell’esercizio della leadership femmi-nile nel settore associativo e in generale nel non profit? Molti indicatori ci dicono che, sebbene la maggior parte di chi opera in associazioni ed enti di promozione sociale siano donne, solo poche hanno ruoli direttivi. Prendendo spunto da alcune interessanti ricerche256 e da un’indagine condotta da Volontari per Sviluppo su un campione di 68

255 Crescenzi M. (a cura di), Manager e management no profit, la sfida etica, Emi Edizioni, bologna, (2002).

256 Crescenzi M. e Scacchia G. , Manager e Management del Non Profit. La sfida etica, ASVI, Roma, (2003)

ong italiane257, si può ancora dire che la difficoltà di sviluppo della leadership da parte delle donne nelle organizzazioni non profit non sia facilmente superabile (nel mondo della cooperazione allo sviluppo nello specifico, oggetto della ricerca).

Dalla ricerca in oggetto risulta infatti che il 66% dei lavoratori nelle associazioni di cooperazione internazionale (da quelli assunti a tempo pieno fino ai collaboratori occa-sionali) sono donne, precisamente 411 donne a fronte di soli 212 uomini. Tra coloro che offrono il loro tempo gratuitamente le donne sono in netta maggioranza, 1.245 su 1.062;

se però la maggioranza degli operatori della solidarietà internazionale è donna, meno del 30% ha ruoli di potere. In particolare, appena 17 associazioni su 68 intervistate hanno un presidente donna e solo il 33% di donne siede nei consigli di amministrazione.

Tuttavia, altre indagini258 hanno mostrato come lo stile femminile di leadership abbia evidenziato una propensione più alta nelle seguenti dimensioni, oramai indispensabili nelle organizzazioni non profit: entusiasmo, comunicazione, empatia, guida degli altri, tensione verso i risultati, controllo e il feedback costante nelle attività di coordina-mento. Lo stile maschile ha ottenuto una propensione di valutazione più alta nelle di-mensioni seguenti, tradizione basata sull’esperienza, innovazione, pensiero strategico, autocontrollo, delega, cooperazione.

2.3.4 La visione delle cose di chi opera sul campo

Una voce interessante per comprendere sul campo i pro e i contro dell’esercizio della leadership nel non profit è quella di chi ha fatto entrambe le esperienze, sia nel settore profit che in quello dell’Associazionismo. Daniele Eleodori, attuale responsabile delle risorse umane in Telethon, ha maturato precedentemente esperienze in diverse aziende e ci ha fornito il suo punto di vista sul tema e sulle differenze nei due settori. Per inqua-drare il tema della guida in un’organizzazione come Telethon è importante partire dalla sua nascita. Nato nel 1990 per volontà di pazienti affetti da distrofia muscolare allo scopo di sostenere la ricerca scientifica su questa malattia, Telethon due anni dopo ha esteso il suo programma di ricerca a tutte le malattie genetiche. Far progredire la ricerca scientifica verso la cura di queste malattie trasformando ricerca in terapie disponibili ai pazienti è l’obiettivo attorno a cui Telethon ha strutturato le sue attività mettendo a disposizione fondi e vincolandoli a criteri di scelta rigorosi.

Dal 1990, Telethon ha finanziato 2160 progetti in diversi ambiti della ricerca su 434 ma-lattie genetiche, con un investimento diretto di 284 milioni di euro, la pubblicazione di 6410 articoli scientifici e soprattutto la cura definitiva di dodici bambini affetti da una gravissima immunodeficienza. Le attività di ricerca finanziate da Telethon comprendono la ricerca esterna, svolta da ricercatori che operano in istituti pubblici e privati non pro-fit in Italia (università, ospedali, Consiglio Nazionale delle Ricerche e Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), e la ricerca interna, svolta negli istituti Telethon.

L’eccellenza della ricerca finanziata, la trasparenza e l’efficienza nella gestione dei fondi

257 (Cit Inchiesta - I rapporti di genere nel no-profit - Il sesso delle ONG di Silvia Pochettino (Volontari per lo Sviluppo).

258 Scillo G.P. e Castagna M. Differenze nella capacità di leadership, Pagine Mida, Milano, 1999.

sono i valori che ispirano Telethon nel lavoro di ogni giorno e che ne fanno una fonda-zione di ricerca biomedica riconosciuta a livello internazionale.259 Queste informazioni sono importanti per impostare le considerazioni di Eleodori. Di seguono si riportano i momenti salienti dell’intervista.

Quali sono le differenze che vedi nella leadership organizzativa nel tuo passag-gio tra esperienze profit e la tua ultima esperienza nel mondo non profit?

Telethon sembra essere dal punto di vista organizzativo tra le organizzazioni non profit più evolute, portando avanti da tempo logiche di sviluppo manageriale. Quello che mi ha colpito di più nell’entrare nelle dinamiche organizzative di Telethon è stato il vedere che in ogni azione veniva tenuto sempre presente una specie di comandamento “Devi tenere sempre presenti i nostri valori!”. Questa attenzione ai valori e alla missione di Telethon l’ho respirata dall’inizio e nel quotidiano queste non sono solo parole, ma i comporta-menti delle persone tendono a perseguirle, in ogni manifestazione, dalla contabilità alla gestione delle relazioni, ai contatti con i partner, alla raccolta fondi, alla ricerca.

Se penso alla prima differenza quello che vedo è che se nelle aziende i valori sono enunciati, ma non diventano strumento di guida e di comportamento quotidiano, qui i valori e la missione sono tenuti presenti in ogni azione. Inoltre, se penso alla leadership intesa come guida e sviluppo delle persone vedo che è intesa non tanto nel senso del dare premi, quanto nell’attenzione alle persone e ai loro bisogni: sono presenti molti part time per donne madri di famiglia e un’attenzione ferma al bilanciamento tra vita personale e lavoro. Del resto anche l’idea di avere un responsabile delle risorse umane va in tale direzione.

Gli stili di leadership poi variano nella pratica: nelle mie esperienze profit lo stile costante è quello direttivo, basato su un basso livello di condivisione di scelte, problemi, decisioni.

In Telethon è molto maggiore il livello di coinvolgimento e di ascolto e partecipazione alle scelte organizzative. Del resto è nata quasi come una piccola famiglia (4 persone, ora sono in 120), che è cresciuta ma ha mantenuto una guida democratica. Da quello che so e vedo chi ha provato dall’esterno a portare stili diversi e più autoritari ha fallito.

Quali sono secondo te le virtù della leadership nel profit che al non profit man-cano?

Nel profit c’è un’attenzione molto maggiore alle regole, ai processi e al loro rispetto, la briglia è meno sciolta e c’è un maggiore controllo legato alla focalizzazione sull’effica-cia dei comportamenti. Ciò porta ad una maggiore tensione al risultato, alla efficasull’effica-cia, allo sviluppo di azioni produttive. Nel non profit, di fatto, c’è una maggiore attenzione ai processi decisionali democratici che spesso sfociano in una sorta di “autogestione”

dei comportamenti e delle strategie. Questo porta a minore attenzione ai risultati delle azioni e quindi spesso a ritardi e bassa abilità nella risoluzione dei problemi quotidiani.

Finora abbiamo cercato di attuare processi di gestione delle persone, per dare ordine alla vita in ufficio e garantire equità nei trattamenti, nonché una trasparenza che è anche un nostro valore: la creazione di una intranet dell’ufficio risorse umane ne è testimonianza.

259 Tratto dal sito web www.telethon .it

Altra cosa visibile è la maggiore sensibilità del profit per la cultura manageriale e la possibilità di prendere spunti da esperienze molto diverse, portate dalle persone che arrivano dall’esterno.

Cosa ha la leadership nel non profit che manca nel settore profit?

Per la mia esperienza, la cosa migliore è il fatto che ogni leader vive quotidianamente la missione e i valori dell’organizzazione. C’è uno sforzo costante al miglioramento e la volontà in questo di coinvolgere tutti, motivando le persone attraverso l’esempio sulla applicazione dei valori. Un esempio lo stiamo vivendo in occasione del progetto in corso sulla valutazione delle prestazioni, volto a mettere a regime un sistema di valutazione delle competenze del personale interno.

Tale valutazione è critica perché richiede una padronanza dell’osservazione delle com-petenze e uno spirito “non burocratico” ma volto allo sviluppo della persona, e in una ottica di attenzione alla persona è anche opportunità per Telethon di attivare iniziative di sviluppo personale.

È necessario quindi che i supervisori conoscano bene gli strumenti di valutazione delle competenze e sappiano usare tutti le capacità di valutazione: osservazione, feedback, ascolto, iniziativa. Nel proporre un intervento di sviluppo comportamentale ai supervi-sori abbiamo puntato su modalità e contenuti che permettessero ai supervisupervi-sori di impo-stare un rapporto con i collaboratori basato sulla trasparenza e il focus al miglioramento continuo, non a caso due dei nostri valori.

Abbiamo raccolto le loro esigenze e stiamo utilizzando le loro indicazioni per migliorare gli strumenti e il processo.

Mi fai un esempio di stile direttivo vissuto nel mondo profit?

È facile vedere che decisioni che implicano conseguenze dirette nei confronti della vita delle persone sono prese senza condivisione con esse. Mi ricordo che in una delle società in cui ho lavorato la modifica di orari di lavoro per esigenze di servizio veniva semplice-mente comunicata agli interessati, che spesso erano donne con figli e avevano difficoltà di organizzazione della vita familiare.

Un esempio di stile democratico visto in azione in Telethon?

Penso ad una recente modifica del regolamento interno, che è stata fatta attraverso un incontro ad hoc con i supervisori per raccogliere pareri, indicazioni. Questo è l’esempio di come si possa tenere conto delle esigenze di tutti nel prendere decisioni organizza-tive.

Penso che queste cose andrebbero riprodotte anche nel profit: la condivisione e la par-tecipazione stimolata dai leader portano maggiore motivazione e un’attenzione alle persone, cosa spesso enunciata in brochure aziendali, ma non così tanto visibile nel quotidiano.

Le parole di Eleodori ci richiamano ad uno degli elementi di maggiore virtù nei leader associativi, e cioè lo spirito di servizio e la dedizione alla causa e ai valori, attraverso cui realizzano sé stessi e aiutano i collaboratori o soci a realizzarsi. La passione e la dedizione alla causa sono un forte elemento di esempio nei confronti degli altri par-tecipanti all’avventura associativa e funge anche da antidoto al rischio di eccesso di

managerialismo, quando ciò rischia di verificarsi. Si tratta di persone che hanno iniziato per soddisfare una propria personale esigenza di realizzazione attraverso il lavoro per gli altri e con gli altri, con la spinta ad operare un cambiamento nella società e nel mondo.

Hanno portato nell’organizzazione questa dedizione alla causa e la trasmettono ad ogni persona che si avvicina all’associazione.

Insieme alle considerazioni appena fatte sulle differenze tra profit e non profit vogliamo anche approfondire la visione delle cose relativa al confronto tra stile di leadership nelle associazioni di promozione sociale e altre organizzazioni non profit.

Conclusioni

Alla fine di questo capitolo dedicato alla leadership nelle associazioni di promozione sociale vista dal campo possiamo fare una sintesi delle considerazioni sviluppate nel corso dei paragrafi.

In primo luogo abbiamo visto che le esperienze di leadership nel mondo associativo sono disparate e disomogenee e difficilmente incastonabili in modelli ben definiti, perché i tentativi sono diversi e partono più dal prendere atto di un’esigenza forte piuttosto che

In primo luogo abbiamo visto che le esperienze di leadership nel mondo associativo sono disparate e disomogenee e difficilmente incastonabili in modelli ben definiti, perché i tentativi sono diversi e partono più dal prendere atto di un’esigenza forte piuttosto che