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Esplorare il legame pro-sociale: dalla cultura civica alle pratiche associative

democrazia: partecipazione e politica ai tempi dell’anti-politica

3. uniti per che cosa? Le dimensioni culturali dell’esperienza associativa

3.1 Esplorare il legame pro-sociale: dalla cultura civica alle pratiche associative

Qualcosa sfugge sempre al ricercatore quando si pone di fronte al complesso mondo dell’associazionismo sociale, cercando di coglierne le caratteristiche salienti. Sono, in-fatti, multiformi e cangianti le organizzazioni che agiscono nel tessuto civico del nostro paese. La pluralità è certo un elemento che si ritrova in gran parte del terzo settore e, più in generale, in ogni tipo di corpo intermedio della società civile. In altri attori collettivi (il volontariato, le imprese sociali, i sindacati, i partiti) è però più facile scorgere una matrice comune74. Risulta arduo, invece, trovare un trait d’union fra le Associazioni di Promozione Sociale (APS).

In effetti, percorrendo in lungo e in largo la Penisola si possono incontrare una miriade di associazioni che svolgono le attività più disparate, nelle grandi città come nei piccoli centri abitati: circoli ricreativi e sportivi, cineforum e iniziative culturali, organizzazioni socio-assistenziali e religiose, enti per la promozione del turismo sociale o per la difesa dei diritti civili, reti locali dell’ambientalismo o del commercio equo e solidale, gruppi di auto-aiuto familiare e quant’altro. E’ difficile individuare delle similitudini fra queste esperienze associative di base, non fosse altro per la loro natura informale e sponta-neistica. Eppure esse sono espressione degli stili di vita che si sono diffusi nell’Italia moderna: una nazione che si è risvegliata dal ventennio fascista con la ferma volontà di riappropriarsi delle libertà democratiche, tra cui appunto quella di costituire un’as-sociazione. La possibilità di riunirsi fra cittadini, per raggiungere diversi scopi sociali, rimane uno dei cardini della nostra costituzione. In cinquant’anni di storia repubblicana, l’arte di associarsi è diventata un costume che ben si addice agli italiani; altrimenti non si spiegherebbe perché circa quattro milioni e mezzo di persone partecipano in qualche

74 Gli enti di volontariato fanno in genere leva sull’altruismo spontaneo dei volontari per dare delle risposte concrete ai bisogni inevasi della cittadinanza. Le imprese sociali sono caratterizzate dalla produzione di servizi alla persona e dalla solidarietà mutualistica fra i soci (spesso lavoratori svantaggiati). I partiti si battono per ottenere il consenso elettorale, cercando di mediare tra gli interessi di diversi blocchi sociali;

i sindacati tutelano i lavoratori, anche se la loro funzione di rappresentanza tende a ridimensionarsi negli scenari fluidi del post-fordismo. Al di là degli elementi di diversificazione interna, questi soggetti sociali e politici si rispecchiano quindi in un’immagine condivisa. Cosa che non avviene per le APS: ovviamente si può sempre utilizzare il criterio formale della reciprocità fra i soci come elemento di distinzione. Ma si tratta di una definizione quanto mai astratta, che non dice nulla sull’identità culturale dell’associazionismo sociale.

Non resta quindi che classificare le associazioni per settore di attività. Un’operazione sicuramente valida a fini statistici o politico-amministrativi, che non risolve tuttavia il problema della collocazione sociale delle APS. In proposito cfr. Mark E. Warren, Democracy and Association, Princeton, (N.J.), Princeton University Press, 2000.

modo alla vita delle APS75. Dietro a questo macroscopico processo di aggregazione po-polare si annidano alcune dinamiche sociali e politiche rilevanti, puntualmente esami-nate nei capitoli precedenti. Adesso si deve compiere un altro passo in avanti in questo percorso di ricerca. In breve, si vuole comprendere l’universo culturale degli associati: le loro rappresentazioni sociali, i valori, le opinioni sulla società. In altre parole, è necessa-rio compiere un’operazione di scavo per far emergere l’immaginanecessa-rio sociale delle donne e degli uomini che si incontrano nelle associazioni. Quando si ragiona in questi termini si corre sempre il rischio di perdere di vista gli obiettivi per cui si conduce un’indagine.

L’associazionismo è una realtà che si carica di forti significati simbolici; è quasi un luogo comune magnificarne le virtù per lo sviluppo del senso civico e per il buon funziona-mento della democrazia, senza peraltro chiarire i meccanismi con cui si dispiega questa azione per certi aspetti taumaturgica.

Le scienze sociali hanno in parte assecondato queste argomentazioni alquanto sche-matiche, laddove hanno elaborato le nozioni di cultura civica76 e di capitale sociale77. La prima espressione indica un insieme di prassi e disposizioni morali che facilitano la partecipazione informata dei cittadini nella società e la loro lealtà verso le istituzioni;

il secondo concetto, ripreso da una larga schiera di studiosi in ogni parte del mondo, si riferisce ad un tessuto di norme fiduciarie, regole di convivenza e reti associative che favoriscono la cooperazione sociale e l’azione di governo. Per ironia della sorte, que-ste formulazioni teoriche sono il frutto di indagini che hanno preso in considerazione il nostro paese. Almond e Verba, sul finire degli anni cinquanta, hanno confrontato l’Italia con gli Stati Uniti, il Messico, l’Inghilterra e la Germania. Ne è scaturito un ri-tratto tutt’altro che lusinghiero per gli italiani, la cui cultura politica mostrava tracce di particolarismo, passività, sfiducia e isolamento sociale. Putnam ha, invece, seguito l’evoluzione delle istituzioni regionali, valutando il loro operato nell’arco di un venten-nio (dalla loro nascita negli anni settanta agli inizi degli anni novanta). La sua analisi ha messo in luce un divario vistoso tra le regioni del centro-nord e del mezzogiorno:

nelle aree settentrionali e centrali gli enti locali sono efficienti grazie ad un vigoroso capitale sociale, accumulato in secoli di autonomia municipale; mentre nel meridione, in assenza di questa tradizione di autogoverno locale, vi è una scarsa coesione sociale, che impedisce alle istituzioni regionali di rendere al meglio.

Le due ricerche hanno acquisito grande notorietà, soprattutto oltreoceano, innescando non poche polemiche tra intellettuali di differente estrazione disciplinare: sociologi, politologi, economisti, ecc. Al di là delle dispute accademiche (e di alcuni meriti in-discutibili), vi è un vizio di fondo che le accomuna: il loro determinismo culturale. Il capitale sociale e la cultura civica, per l’uso che ne fanno questi autori, rischiano di essere interpretati come un attributo immodificabile nel “carattere” di un popolo: essi si sedimenterebbero nel modo di pensare ed agire dei cittadini. Dalla loro presenza (o mancanza) vengono quasi fatti dipendere i destini di una democrazia (la nostra, per inciso). L’associazionismo fa peraltro la parte del leone in questi modelli esplicativi; si dà per scontato che la partecipazione associativa alimenti il civismo. Tuttavia questo

75 Si vedano i dati riportati nell’introduzione (tabella 1.3).

76 Cfr. Almond, Verba, op. cit.

77 Cfr. Putnam, op. cit. 1993.

nesso causale può manifestarsi solo in alcune circostanze. Con questa logica riduttiva si accredita pertanto la tesi di una saldatura automatica tra valori e legami associativi.

Tutto il contrario di quello che emerge nella società contemporanea: i processi di mo-dernizzazione tendono ad erodere i meccanismi di integrazione sociale ereditati dal pas-sato recente; le agenzie di socializzazione, le istituzioni sociali e gli attori collettivi non riescono (se non limitatamente) a regolare le biografie delle persone. L’individuo negozia ruoli, relazioni e significati che, in precedenza, erano fissati in una rete di riferimenti sociali tendenzialmente stabili78. Non si comprende perché tutto ciò non debba valere per le APS. A meno che non si voglia sostenere che l’associazionismo, diversamente da altri contesti organizzativi, sia una sorta di fabbrica sociale dove si riproduce in serie lo spirito civico. ben si capisce che con questo genere di assiomi non si va molto lontano.

Piuttosto, pare più proficuo proporre una visione realistica di quel che può accadere nella mente degli associati. Questi ultimi aderiscono ad un ente pro-sociale, ma non per questo si assoggettano ad una cultura condivisa. Piuttosto, entrano in contatto con idee e istanze che forse prima non conoscevano. L’esito di questa forma di socializzazione è tutt’altro che ovvio: si può certo rinsaldare la solidarietà o la fiducia verso gli altri, ma non è detto che questo avvenga. Frequentemente le proprie convinzioni non vengono intaccate dal coinvolgimento (più o meno intenso) in una organizzazione del terzo set-tore. In sintesi, la condizione sociale e la storia di ciascuno influisce sulle modalità con cui viene rielaborata l’esperienza associativa.

In tale ottica, si preferisce qui adottare un altro taglio d’analisi, avvalendosi di uno strumento concettuale ben noto ai sociologi: la pratica sociale. Questo termine rinvia in modo generico ad “un tipo di comportamento ritualizzato che consiste di diversi ele-menti interconnessi: attività fisiche, attività mentali, gli oggetti e il loro uso, una base di conoscenza nella forma della comprensione, del know-how, oltre agli stati emotivi e alle motivazioni79”. In altri termini, si parte da un’azione situata nel tempo e nello spazio (la partecipazione associativa), esaminandola nella sua espressione più tangibile: l’ese-cuzione di una serie di routine (i gesti ripetuti della quotidianità); ma, ben presto, ci si accorge che tali atti concreti sono portatori di cognizioni, motivazioni, rappresentazioni sociali e stati emotivi; in breve, dietro al dato immanente del comportamento reiterato (l’azione in una APS), si annida il significato (tacito ed esplicito) che l’individuo attri-buisce al suo modo di operare in ogni contesto sociale, non solo in quello associativo.

Da questo punto di vista, si può di sicuro parlare di pratica associativa, volendo con ciò riconnettere le diverse dimensioni (comportamentali e culturali) dell’esperienza indivi-duale in una determinata associazione e al di fuori della stessa (fig. 3.1):

- a livello micro, si possono esaminare le attività concrete che ciascun associato svol-ge nelle APS, facendo emersvol-gere anche la componente simbolica delle stesse (il signi-ficato attribuito alla propria esperienza associativa);

- a livello meso, affiorano i legami e i processi sociali che si sviluppano all’interno e all’esterno dell’associazione;

- a livello macro, infine, si delineano le “visioni del mondo”, ossia le

rappresentazio-78 Cfr. Ulrich beck, I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca della globalizzazione, bologna, Il Mulino, 2000.

79 Cfr. Reckwitz, op. cit.

ni sociali e culturali della società espresse dai cittadini-associati, riconducendole (almeno in parte) alla loro frequentazione delle APS, oltre che al loro status socio-economico .

Fig. 3.1 La pratica associativa: un approccio per esplorare l’esperienza associativa

Pratica associativa

Livello micro:

esperienza individuale nelle APS (comportamenti concreti e significati attribuiti al proprio

coinvolgimento nell’associazione)

Livello meso:

processi e legami sociali che si sviluppano dentro e fuori le associazioni

Livello macro:

“visione del mondo”

(rappresentazioni sociali e culturali della società)

Come si vede, il concetto di pratica associativa amplia di molto le prospettive dell’inda-gine: partendo dall’attivazione in un’associazione, lo spettro di osservazione si allarga alle relazioni in cerchie sociali più ampie, inglobando anche i significati attribuiti alla società nel suo insieme. Incrociando questi differenti livelli d’analisi si possono identifi-care alcuni orientamenti culturali delle persone affiliate alle APS. E’ quanto si tenterà di fare nelle prossime pagine commentando i risultati di un’analisi statistica multivariata80. Si delineano quattro modi differenti di vivere l’esperienza dell’associazionismo, ciascuno con la propria specificità.