• Non ci sono risultati.

Il particolarismo sociale

democrazia: partecipazione e politica ai tempi dell’anti-politica

3. uniti per che cosa? Le dimensioni culturali dell’esperienza associativa

3.5 Il particolarismo sociale

L’ultimo gruppo di intervistati (17,1% del campione, tab. 3.8) sembra essere abbastanza radicato nell’associazione di appartenenza. Nella quasi totalità dei casi sono cittadini iscritti ad una sola APS (95,2%, +9,2%), da un periodo considerevole di tempo (“più di 6 anni”, 50,0%, +5,7%); essi aderiscono, inoltre, ad enti che offrono spazi di socia-lizzazione per il tempo libero (43,8%, +8,5%), dove svolgono molto spesso attività di volontariato (80,8%, +20,6%).

Tab. 3.8 Il particolarismo sociale (17,1%): esperienza associativa e partecipazione politica

Variabile Modalità % nel

gruppo % nel campione Ambito in cui opera

l’associa-zione Ricreativo e del tempo libero 43,8 35,3

Numero di associazioni sociali a

cui è iscritto Una associazione 95,2 86,0

Durata iscrizione all’associazione 6-10 anni 30,8 21,4

Definizione di associazione so-ciale

E’ un luogo dove si possono fare attività ricreative e frequentare

altre persone 73,8 52,1

Un’associazione dovrebbe… Limitarsi a sostenere i propri

membri 65,7 20,9

Volontariato Sì nell’associazione 80,8 60,2

Devoluzione del cinque per mille ad Onlus o ricerca

medico-scientifica No (ultimi 12 mesi) 91,8 59,2

Donazioni a scopo benefico No (ultimi 12 mesi) 88,4 62,0

Adozioni a distanza No (ultimi 12 mesi) 98,6 82,7

Fonte: Isfol 2008

Si è quindi in presenza di un coinvolgimento piuttosto forte verso un particolare tipo di associazionismo di base, legato alla possibilità di fare attività ricreative insieme ad altre persone. Il desiderio di socialità è una motivazione decisiva per questi associati: se ne ha una conferma indiretta dalla definizione che danno in generale delle APS (luoghi ricre-ativi 73,8%, +21,7%). Si tratta dunque di una pratica che si è sedimentata nel loro vis-suto. Il punto è che tale legame associativo alquanto solido tende ad essere interpretato in modo restrittivo: il 65,7% sostiene che un’associazione dovrebbe limitarsi a sostenere i propri membri (+40,8%), senza mai occuparsi del resto della collettività. Dunque, la solidarietà è un bene che si scambia solo all’interno della propria organizzazione. Lo dimostra il fatto che costoro sono molto riluttanti a dare il proprio denaro per finalità benefiche. I dati sono inequivocabili: il 91,8% non devolve il cinque per mille alle Onlus, l’88,4% non effettua donazioni, il 98,6% non fa adozioni a distanza. Anche il consumo

responsabile è un attività in sostanza ignorata da questi intervistati (consumo critico 99,3%, acquisto di prodotti del commercio equo e solidale 97,9%, dati fuori tabella).

Questi associati sembrano pertanto indifferenti nei confronti di ciò che viene messo in cantiere dal terzo settore: i progetti di cooperazione con i paesi poveri, per offrire un futuro dignitoso ai bambini di strada che vivono nelle favelas sudamericane o nell’Afri-ca sub-sahariana; gli sforzi profusi per assistere pazienti affetti da gravi patologie; la lotta contro le dipendenze e il reinserimento dei soggetti svantaggiati. Senza le libere elargizioni della cittadinanza molte di queste iniziative sociali rischierebbero di chiu-dere i battenti. I membri di una APS dovrebbero essere sensibili a queste cause sociali, specie se sono partecipativi. La loro esperienza associativa li dovrebbe far avvicinare alle sofferenze patite dall’umanità. A meno che non si voglia pensare ad una affiliazione motivata principalmente dal tornaconto personale. Pur tenendo conto delle evidenze empiriche, non bisogna tuttavia giungere a conclusioni troppo affrettate, soprattutto senza aver ancora analizzato il profilo socio-demografico e la visione della società di questi intervistati (tab. 3.9).

Tab. 3.9 Il particolarismo sociale: profilo socio-anagrafico e visione della società

Dovendo scegliere è meglio avere… Meno tasse e meno servizi 87,7 47,9 Collettività territoriale di

apparte-nenza Il comune/la città in cui vivo 79,4 41,0

Gli immigrati che vengono nel no-stro paese…

Creano problemi perché hanno usi e costumi incompatibili con

i nostri 58,2 23,8

E’ giusto concedere dei diritti alle

coppie omosessuali Poco/per niente d’accordo 59,5 47,2

Opinioni sul libero mercato Non so proprio cosa pensare 54,8 30,9 Fiducia nei confronti dei vicini Molta/abbastanza fiducia 86,3 75,8 Valori messi al primo posto nella

vita

Un lavoro sicuro 49,0 35,3

L’autonomia e la libertà

indi-viduale 47,6 24,1

Rapporto con la politica Ho un rifiuto nei confronti della

politica 36,3 16,8

Ampiezza del comune di residenza Fino a 10mila abitanti 41,1 31,8

Area geografica Nord est 40,4 26,9

Età Oltre 65 anni 22,6 15,0

Titolo di studio Fino alla licenza media inferiore 44,0 28,9

Frequenza d’uso di Internet Nulla 87,0 35,6

Livello di informazione (quotidiani,

TV, settimanali) basso 76,0 36,2

Fonte: Isfol 2008

Sono individui che sono stati toccati da vicino dalla crisi, benché vivano in una delle aree più ricche del paese: il 57,9% (+14,2%) ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese e risiede nel nord-est (40,4%, +13,5%). Lo spettro dell’impoverimento angoscia quindi i ceti meno abbienti del Triveneto. Anche nella zona più propulsiva della nazione, si può andare incontro ad una sensibile riduzione del proprio tenore di vita. Questo de-classamento sembra riguardare principalmente gli operai (14,5%, +3,9%) e gli strati più deboli del lavoro autonomo (artigiani, commercianti e agricoltori, 15,2% - +7,1%),

oltre che i pensionati a basso reddito (21,4%, +2%, dato fuori tabella). Sono con tutta probabilità i soggetti più esposti alla recessione internazionale che versano in questa non facile condizione. La depressione economica deve apparire alquanto caotica agli occhi di persone che non hanno gli strumenti per comprenderla: il 44,0% ha terminato gli studi subito dopo la licenza media inferiore (+15,1%), il 76,0% si informa poco o per nulla attraverso i giornali, la televisione e i settimanali d’attualità (+43,8%) e non usa quasi mai Internet (87%, +51,4%). Questo scarso livello di preparazione culturale non aiuta a capire le ripercussioni dello “tsunami” che ha investito l’economia mondiale.

Oggi come oggi questi cittadini non sanno proprio cosa pensare del libero mercato (54,8%, +23,9%) e sono incerti se sia giusto fidarsi (o diffidare) dei propri colleghi di lavoro (68,5%,+35,4% dato fuori tabella). Alcuni di loro potrebbero essere stati messi in cassa integrazione o addirittura licenziati, altri sono inseguiti dall’incubo di dover chiudere presto l’azienda familiare. Il meno che gli può capitare è di sentirsi spiazzati. Il mito del capitalismo molecolare subisce una battuta d’arresto proprio nel settentrione industrioso, laddove è stato consacrato dall’epopea del riscatto sociale e del successo imprenditoriale. Al suo posto subentra uno scenario prolungato di declino. E’ duro fare i conti con questa realtà.

La reazione più immediata è quella di trincerarsi dietro ad un atteggiamento di ostilità nei confronti di tutto ciò che non fa parte del proprio mondo; a partire dallo Stato, che continua a prelevare risorse con la fiscalità: l’87,7% vedrebbe con favore un drastico taglio delle tasse e dei servizi pubblici (+39,8%); ma anche la politica in quanto tale provoca una sensazione di rifiuto (36,3% +19,5%), ben espressa dall’opinione secondo cui “la casta dei politici non risolverà mai i problemi del paese” (30,8%, +6,1% dato fuori tabella)87. L’insofferenza, comunque, non si indirizza soltanto verso i politici di professione o il “centralismo romano”. La stessa diversità etnica o sessuale procura un senso di irritazione: gli immigrati, creano problemi perché sono incompatibili con i pro-pri usi e costumi (58,2%, +34,4%); mentre per quel che riguarda le coppie di omoses-suali non sì è d’accordo nel concedergli una qualche forma di riconoscimento giuridico (59,5, +12,3%). Si deve sottolineare che quest’ultimo dato non è riconducibile ad una questione di fede religiosa88, come nel caso dei cittadini dediti all’impegno caritativo (si veda il paragrafo 3.2). La chiusura nei confronti dei gay non sembra essere legata alla difesa della famiglia naturale, quanto piuttosto alla non accettazione della differenza sessuale. Una forma di distanza culturale che viene peraltro espressa anche nei riguardi dei lavoratori stranieri che soggiornano in Italia. Gli extracomunitari non vengono visti come una minaccia per l’ordine pubblico; piuttosto, vengono percepiti come un corpo estraneo che vive nel proprio paese. Le loro usanze non si conciliano con la società d’accoglienza, per questo creano problemi di convivenza. Del resto, per questi associati l’identità locale è un fattore ancora molto importante: il 79,4% (+38,4) dichiara di

sen-87 Questo orientamento antipolitico trova un’ulteriore conferma nella quasi assoluta assenza di coinvolgimento in attività a carattere politico: solo il 4,1% di questi intervistati si è impegnato in qualche forma di partecipazione politica convenzionale negli ultimi dodici mesi; percentuali pressoché analoghe si riscontrano per l’adesione alle manifestazioni di piazza (2,7%) e per la partecipazione agli scioperi autorizzati (5,5%).

88 In questo gruppo di intervistati la frequenza ai riti religiosi è bassa: il 40,0% (+13,6% rispetto al resto del campione) dichiara di non recarsi mai in chiesa per le funzioni liturgiche.

tirsi parte della città/comune in cui vive (di frequente un centro di piccole dimensioni89).

La comunità non è un luogo dove ci si limita a risiedere, ma una fonte inesauribile di significato e di relazioni sociali. Difatti è qui che si coltivano rapporti interpersonali inti-mi, soprattutto con i vicini, visto che ad essi si accorda quasi sempre una fiducia incon-dizionata (86,3%, +10,5%). Questi intervistati rimangono pertanto ancorati alla cerchia sociale dei propri simili. Si arroccano in quegli ambiti comunitari e associativi dove non si è costretti a rispecchiarsi negli “altri”. Il loro legame pro-sociale non è inclusivo: è una solidarietà di gruppo, un “sentimento del noi” che non si lascia contagiare dalla dif-ferenza. Con questo particolarismo sociale costoro rimangono aggrappati al territorio, tentando di fugare l’angoscia verso un presente che li ha messi sotto assedio: aspirano ancora ad avere un lavoro sicuro (49,0%, +13,7%) e a difendere la propria autonomia (47,6%, +23,5%); proprio quelle certezze che sono svanite per mano dei poteri distanti dell’economia globale. Perciò si rifugiano nell’enclave locale, dove ci si può proteggere dall’alea di un destino ostile.

89 Il 41,1% risiede in comuni di piccolissime dimensioni (fino a 10mila abitanti), con uno scarto positivo di 9,3 punti percentuali rispetto alla totalità del campione.