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Il tropo della Mother India nella narrazione del diasporic imaginary

Dalla diaspora alla transnation: isotopie nostalgiche tra realismo, postmoderno e off-modern

3.2 Restorative nostalgia e diasporic imaginary : le isotopie delle origini in

3.2.1 Il tropo della Mother India nella narrazione del diasporic imaginary

Nell’edizione indiana, Interpreter of Maladies ha come sottotitolo ‘Stories of Bengal, Boston and Beyond’21. Dei nove racconti inclusi nella raccolta vincitrice del Pulitzer, tre sono ambientati in India e due di essi, ‘A Real Durwan’ e ‘The Treatment of Bibi Haldar’, hanno come personaggi principali due donne con alcuni tratti in comune. Boori Ma, la protagonista di ‘A Real Durwan’, è un profugo dirottato dal Bengala Orientale (il futuro Bangladesh) a Calcutta (Bengala Occidentale) in seguito alla dolorosa vicenda della Partition. Nella capitale dello stato indiano, la donna trova impiego come durwan22, ossia come custode e portiere di un condominio abitato da famiglie borghesi, dal quale viene infine mandata via perché ritenuta complice e colpevole di un furto avvenuto nell’edificio. Bibi Haldar, invece, vive in un remoto e anonimo villaggio rurale indiano, assieme alla famiglia di un cugino23. Bibi soffre di convulsioni e isteria che non sembrano conoscere soluzione finché un medico non le prescrive come terapia la ricerca di un marito. Il racconto si chiude con una gravidanza improvvisa, la cui origine rimane avvolta nel mistero. Gli abitanti del villaggio, infatti, non riescono a

21 J. LAHIRI, Interpreter of Maladies, New Delhi, Harper Collins India, 1999.

22 Lahiri ha sottolineato come la scelta di usare la parola bengalese nel titolo inglese del racconto non sia stata

dettata da un bisogno di accuratezza, ma da “the whims of my own quasi-bilingual brain”: J. LAHIRI, ‘Intimate

Alienation: Immigrant Fiction and Translation’, cit., p. 118. Inoltre, nello stesso saggio, la scrittrice evidenzia come i due racconti abbiano suscitato dure critiche in India per una presunta tunnel vision del paese.

23 La storia è narrata in prima persona plurale. Il narratore corale è rappresentato dalle donne del villaggio che

percepiscono Bibi come un personaggio altro, privo di femminilità, e mostruoso per le sue manifestazioni isteriche. Come ha ammesso la stessa Lahiri, il punto di vista narrativo e il senso di reclusione sono ispirati dal racconto ‘A Rose for Emily’ di William Faulkner: cfr. A. AGUIAR, ‘Interview with Jhumpa Lahiri’, Pif Magazine, 1

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ricostruire l’episodio della gravidanza, al punto da sospettare che Bibi sia stata vittima di uno stupro. Tuttavia, grazie alla nascita del bambino e all’impegno profuso nella gestione di un negozio di generi alimentari, il narratore corale osserva che “she [Bibi] was, to the best of our knowledge, cured”24. Il lieto fine della storia è uno dei pochi casi in cui la narrativa di Lahiri approda ad una conclusione netta, sebbene l’esito sia enigmatico.

Le due donne condividono una simile condizione traumatica. Il trauma di Boori Ma è legato alle vicende storiche della Partition e alla conseguente endo-diaspora nel perimetro del sub-continente indiano. Bibi, al contrario, è un personaggio che soffre di una forma di alienazione personale, frutto di discriminazione sia all’interno del proprio nucleo familiare che nella piccola comunità in cui risiede. Entrambe le donne, inoltre, sono personaggi liminali: Boori Ma, “the victim of changing times”25, ha attraversato il confine indiano, presumibilmente dal Pakistan Orientale, e dalla sua posizione privilegiata di portiere “consulted the horizon on all four sides”26. Anche Bibi vive sotto il tetto di una casa, meno borghese del complesso di Calcutta, ma la sua posizione liminale è psichica più che fisica. Bibi, infatti, è incapace di muoversi autonomamente; inoltre, a differenza di Boori Ma, è un personaggio silenzioso. Se gli inquilini del condominio considerano Boori Ma “a superb entertainer”27, Bibi, che ha un nome proprio a differenza di Boori (l’espressione bengalese Boori Ma equivale a ‘donna anziana’), è una donna taciturna e la sua alterità è causa di

segregazione ed esclusione nella stessa misura in cui Boori Ma è considerata diversa dai condomini del palazzo in virtù del marcato accento orientale, diverso da quello di Calcutta.

Il riferimento alle protagoniste di questi due racconti intende evidenziare come Lahiri non adotti motivi culinari o riti conviviali per promuovere forme di agency o strategie di compensazione rispetto alle difficoltà che i personaggi femminili in questione fronteggiano.

24 J. LAHIRI, Interpreter of Maladies, cit., p. 172. 25 Ivi, cit., p. 72.

26 Ivi, cit., p. 73.

27 Ibidem. La donna indiana ricorda costantemente il suo passato edenico, rivendicando uno status sociale agiato,

andato perduto nel periodo successivo alla Spartizione. Le parole “believe me, don’t believe me” sono come un ritornello costante che accompagna le narrazioni della sua giovinezza. Non è un caso che, commentando la decisione finale di allontanare la donna dall’edificio per cercare a real durwan, uno degli inquilini osservi che “Boori Ma’s mouth is full of ashes”: Ivi, cit., p. 82.

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Chiaramente le due donne condividono una condizione nevrotica simile a quella di altri personaggi, come Mrs. Sen, ma il modo con cui esse affrontano la propria nevrosi risulta meno tradizionale o stereotipato. Boori Ma rimane vittima dei processi storici, tanto che sarà nuovamente dislocata dalla posizione marginale e precaria che occupa a livello fisico e metaforico. Bibi, invece, perviene ad una soluzione arcana e misteriosa della sua isteria attraverso la maternità.

Il senso di mancanza e il desiderio del ritorno non sono forgiati dai soli processi storici, come la critica postcoloniale ha tendenzialmente osservato28. Nella prospettiva del minority cosmopolitanism, possiamo condividere l’idea di Susan Koshy secondo cui nei racconti di Lahiri

“unhomeliness emanates from incremental and ongoing structural adjustments to domesticity in response to dislocation”29. L’elemento che emerge dalle due storie su cui mi sono soffermato è il senso di esclusione, la condizione di negligenza in cui volontariamente o involontariamente i personaggi vivono. Ad ogni modo, Interpreter of Maladies presenta anche forme di confusione delle differenze che emergono nell’incontro tra Boston e Bengala, come nell’incapacità da parte dei personaggi bianchi e occidentali di decifrare i contorni e leggere la realtà, oppure con le seconde generazioni di immigrati che sembrano aver smarrito le proprie radici nella contaminazione tra i due mondi in cui continuano a fluttuare.

Le differenze culturali, pertanto, più che essere celebrate vengono interrogate e un interrogativo domina il racconto che dà il titolo all’intera raccolta, ossia in che misura è ancora possibile l’incontro tra i due mondi che Lahiri ritrae nella sua narrativa? Il titolo evoca due elementi centrali dell’intera raccolta: il bisogno di leggere, tradurre e mediare lo scarto tra due mondi, e il senso di sofferenza, psicologica più che fisica, che imprigiona l’umanità descritta dalla scrittrice. ‘Interpreter of Maladies’ condensa tutti gli elementi che caratterizzano i

28 Per Homi Bhabha il concetto di unhomely emerge dal meccanismo di scissione della personalità generato dalle

contraddizioni tra sfera pubblica e privata. Bhabha, infatti, sottolinea che “the unhomely is a paradigmatic colonial and post-colonial condition, it has a resonance that can be heard distinctly, if erratically, in fictions that negotiate the powers of cultural difference in a range of transhistorical sites”: H. BHABHA, The Location of Culture, New York, Routledge, 1994, p. 13.

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racconti della raccolta e non è un caso che Lahiri lo abbia scelto come testo chiave del volume. La vicenda, narrata in terza persona e filtrata soprattutto dalla prospettiva di Mr. Kapasi e Mrs. Das, è la storia di un incontro fallimentare tra Oriente e Occidente in territorio indiano30. Con una serie di echi che alludono a A Passage to India di Forster31, il racconto si snoda lungo il sentiero dell’India percepita come touristscape a cui la famiglia americana dei Das ― padre, madre e tre figli, immigrati di seconda e terza generazione di origine indiana ― fanno ritorno nelle vesti di turisti. Li accompagna nei loro spostamenti Mr. Kapasi, un indiano che vive le frustrazioni delle sue ambizioni personali e la sofferenza di un rapporto coniugale in crisi.

In ‘Interpreter of Maladies’ il tipo di snapshot che Mr. Das scatta del paesaggio indiano e dei suoi elementi più appetibili all’occhio di un turista, come le scimmie, non sembra contenere alcuna forma di nostalgia. Come osserva Mr. Kapasi, i Das “looked Indian but dressed as foreigners did”32. Le gomme da masticare, la guida dell’India e i cappellini che i figli della coppia indossano sono i segni di una famiglia americana per la quale l’India corrisponde ad un luogo esotico in cui i Das, piuttosto che rintracciare le radici delle proprie origini, sembrano intenti a sancire il loro stile di vita americano. Oltre ai luoghi da visitare, i Das gustano anche le specialità gastronomiche locali. Mr. Kapasi osserva che Mina Das “walked slowly, carrying some puffed rice tossed with peanuts and chilli peppers in a large packet made

30 In un’intervista, Jhumpa Lahiri ha affermato che il racconto si ispira alla storia di un uomo che aveva il delicato

compito di tradurre le malattie di pazienti russi a un medico americano che non conosceva il russo. In seguito a questo episodio, Lahiri abbozzò la storia, sostenendo che “the phrase ‘interpreter of maladies’ was planted in my head”. Quando, dopo alcuni anni, il racconto fu terminato e la raccolta pronta per essere pubblicata, Lahiri non ebbe alcun dubbio sul fatto che questo dovesse essere il titolo del libro, per la forza evocativa dell’espressione: “I knew from the beginning that this had to be the title story, because it best expresses, thematically, the predicament at the heart of the book—the dilemma, the difficulty, and often the impossibility of communicating emotional pain and affliction to others, as well as expressing it to ourselves. In some senses I view my position as a writer, in so far as I attempt to articulate these emotions, as a sort of interpreter as well”: J. LAHIRI, ‘Interpreter of

Maladies: A Reader’s Guide’, Houghton Mifflin Harcourt, 1999. URL

http://www.houghtonmifflinbooks.come/readers_guides/interpret_maladies.shtml.

31 Sovrapposizioni tra il racconto di Lahiri e il romanzo di Forster sono state rintracciate da Lewis, Brada-

Williams e Palusci: cfr. S. LEWIS, ‘Lahiri’s Interpreter of Maladies’, Explicator, Vol. 59, N. 4, 2001, pp. 219-221; N.

BRADA-WILLIAMS, ‘Reading Jhumpa Lahiri’s Interpreter of Maladies as a Short Story Cycle’, cit.; O. PALUSCI, ‘The

Elephant and the Refrigerator: Jhumpa Lahiri as Interpreter of Maladies’, Anglistica, Vol. 12, N. 2, 2008, pp. 121- 131. Gli elementi che sono stati messi in risalto sono l’esito fallimentare dell’incontro tra Oriente e Occidente, la visita alle grotte, e il senso di angoscia e incomunicabilità che da questo viaggio consegue. Secondo Lewis, ‘Interpreter of Maladies’ può essere considerato un “postcolonial rewrite” del romanzo di Forster dato che “both texts hinge on a misconceived tourist excursion”, mentre Palusci ironicamente osserva che il racconto di Lahiri corrisponde a una sorta di “a passage to America”.

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from newspapers”33. Il jhalmuri è un tipico snack indiano, divenuto popolare anche all’estero grazie alla globalizzazione, e Mrs. Das sembra essere a suo agio a contatto con i sapori della propria terra di origine. Mr. Kapasi, invece, è raffigurato come un uomo mite e abituato alle differenze culturali in virtù del suo lavoro. L’indiano, tuttavia, rivede nella scarsa comunicazione tra Mina Das e suo marito le proprie difficoltà coniugali, “the bickering, the indifference, the protracted silences”34, sofferenze acuite dal fatto che Mr. Kapasi e sua moglie hanno perso il loro bambino, morto di tifo all’età di sette anni.

Mr. Kapasi è un mediatore culturale e linguistico che da studente coltivava il sogno di “serving as an interpreter between nations”35. L’uomo, infatti, nella sua giovinezza era stato:

[…] a devoted scholar of foreign languages, the owner of an impressive collection of dictionaries. He had dreamed of being an interpreter for diplomats and dignitaries, resolving conflicts between people and nations, settling disputes of which he alone could understand both sides.36

In realtà, i Das scoprono che la guida turistica non è la mansione ufficiale di Mr. Kapasi, che lavora anche come interprete per pazienti Gujarati37 presso un medico che non conosce l’idioma. La scoperta del nuovo impiego di Mr. Kapasi catalizza improvvisamente l’interesse di Mrs. Das, fino a quel punto intenta a ammirarsi allo specchio nell’auto guidata dall’indiano. La famiglia è in viaggio presso il Tempio del Sole a Konarak e, dopo la visita, Mr. Kapasi suggerisce un tour alle grotte Udayagiri e Khandagiri38. Il tema delle grotte inevitabilmente lascia intravedere il legame con le Marabar Caves in A Passage to India, anche se, a differenza del romanzo di Forster, il climax del racconto avviene proprio sulla strada verso la meta.

33 Ivi, p. 46. 34 Ivi, p. 53. 35 Ivi, p. 59. 36 Ivi, p. 52.

37 Il Gujarati è una delle 22 lingue ufficiali previste dalla costituzione indiana. È la lingua tradizionale dei Parsi,

con circa 4 milioni di parlanti ubicati perlopiù negli stati dell’India nord-occidentale.

38 Il tempio di Konarak è un edificio induista risalente al XIII secolo, ubicato nello stato di Orissa, India orientale,

e che è stato inserito tra i siti Patrimonio dell’Unesco nel 1984. Il tempio, dalla struttura piramidale in arenaria, è ricco di bassorilievi e nel suo racconto Lahiri indugia, in particolare, sulla descrizione delle immagini femminili a seno nudo che, agli occhi di Mr. Kapasi, diventano motivi di fantasia sessuale. L’indiano, infatti, nutre una certa attrazione nei confronti di Mina Das, che osserva costantemente dallo specchio retrovisore dell’auto. Le grotte Udayagiri e Khandagiri, invece, sono cave con decorazioni e iscrizioni risalenti al II secolo a. C., circondate da monasteri di religione giainista.

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La nostalgia che a livello sotterraneo attraversa il racconto ha un orientamento sia centrifugo che centripeto in cui l’isotopia della Mother India ha un ruolo di amplificazione importante. Per Mr. Kapasi l’India rappresenta più una trappola che una risorsa: la morte di suo figlio, la crisi coniugale e il fallimento delle sue ambizioni linguistico-diplomatiche si riflettono nel modo ‘nuovo’ in cui sembra leggere e interpretare il paesaggio e l’architettura di luoghi che egli dovrebbe conoscere a memoria e che, invece, sembrano essere destabilizzati dall’incontro con un soggetto che oscilla tra somiglianza e differenza. Mrs. Das, al contrario, nonostante il suo abbigliamento chiaramente occidentale, il suo accento americano e la relativa libertà che sembra concedere ai suoi figli, è un personaggio che, tormentata dal suo adulterio, compie un viaggio che non è solo turistico ma, sul piano inconscio, procede anche a ritroso verso la fonte della sua sofferenza. Mina Das descrive con l’aggettivo romantic la delicata professione che Mr. Kapasi svolge con i pazienti e ai suoi occhi il signor Kapasi diventa “not only a translator of bodily injury but of psychic wounding”39. La donna confessa all’indiano un segreto mai svelato a nessuno, poiché, come spiega Rani Neutill, Mina paragona Mr. Kapasi a una sorta di sciamano in grado di analizzare la propria nevrosi traumatica.

Il lettore, infatti, scopre che uno dei figli di Mrs. Das, Ronny, nome che inevitabilmente rimanda all’omonimo magistrato anglo-indiano in A Passage to India, è stato concepito con un amico di famiglia, originario del Punjab. Il viaggio di Mina Das, pertanto, diventa il tentativo di riparare al senso di colpa che frantuma la sua personalità. La donna sembra individuare in Mr. Kapasi colui in grado di offrirle una soluzione salvifica in virtù del suo ruolo di mediatore medico-linguistico. Durante la sosta presso un ristorante in cui Mr. Das è intento a studiare la sua guida, e i bambini a osservare le scimmie sugli alberi, Mina e Mr. Kapasi condividono “mango juice and sandwiches and plates of onions and potatoes deep-fried in graham-flour

39 R. NEUTILL, ‘Intimate Awakening: Jhumpa Lahiri’s Diasporic Loss, and the Responsibility of the Interpreter’,

in L. DHINGRA, F. CHEUNG (eds), Naming Jhumpa Lahiri: Canons and Controversies, Lanham, Lexington Books,

2012, p. 125. Neutill ― attraverso un dialogo tra le osservazioni sul lutto elaborate da Freud, il concetto di nevrosi in Lacan e la teoria del trauma di Caruth ― illustra come il racconto di Lahiri sposti il significato del senso di alterità dal livello culturale-linguistico a quello piscologico, variazione che favorisce una sorta di risveglio e consapevolezza da parte del soggetto diasporico (Mina Das, nel caso specifico) della sofferenza che la diaspora implica.

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batter”40, facendo delle foto assieme sotto un ombrello color magenta. Il cibo e il momento conviviale, soprattutto nella prospettiva della guida indiana, diventano un’istanza di avvicinamento e condivisione, e le fantasie dell’indiano sono incentivate da questa connessione in chiave gastronomica.

La scena, altamente stereotipata per le sue immagini e per la tipologia di cibo consumato, fa scattare la ricerca di riconnessione di Mina Das con la sua terra di origine, uno spazio geografico che incorpora anche il senso di colpa che aleggia sul suo matrimonio. Rifiutandosi di indossare nuovamente i panni della turista e di scendere dall’auto per visitare le grotte, Mina approfitta dell’assenza dei familiari per svelare il segreto a Mr. Kapasi. Non è forse un caso che Lahiri descriva la confessione di Mina mentre la donna è intenta a masticare del riso soffiato, un ingrediente tipico dell’India orientale. Inoltre, rispetto alla scarsa volontà di condivisione del cibo, che Mrs. Das aveva mostrato con la propria famiglia in precedenza, Mina offre il riso a Mr. Kapasi, il quale, deluso dalla rivelazione, non è in grado di mangiare e rifiuta l’invito. Il bisogno di contatto di Mina Das genera infatti stupore nell’indiano che non sembra comprendere la ragione di questa confessione e chiede: “[…] we do not face a language barrier. What need is there for an interpreter?”41.

L’India, in questo racconto, diventa lo scenario di un incontro fallimentare non tanto tra due culture quanto tra interpretazioni soggettive e idiosincratiche di segni e sintomi personali. Il linguaggio, come ricorda Lacan, ci permette di comunicare con gli altri, ma esso ha anche il potere di intensificare la nostra percezione delle mancanze, rischiando di acuire il senso di vuoto. Il linguaggio, precisa Lacan, “non è solamente uno strumento, malleabile a piacere, con cui gli esseri umani possono esprimersi, ma è anche e soprattutto un sistema in cui il soggetto è ingabbiato”42. Nel sintomo Lacan colloca il vero messaggio che è in attesa di essere decodificato. Mina Das crede di poter sfruttare il talento di Mr. Kapasi, vedendo nell’indiano un rimedio alla sua angoscia. La guida indiana, al contrario, ha proiettato le sue insoddisfazioni

40 J. LAHIRI, Interpreter of Maladies, cit., p. 54. 41 Ivi, p. 65.

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personali e i suoi desideri sessuali repressi sul corpo di Mina, e quando le chiede “Is it really pain you feel, Mrs. Das, or is it guilt?”43, Mrs. Das, ormai offesa, decide di raggiungere la propria famiglia. Il passaggio dall’Immaginario al Simbolico approda ad un incontro fallimentare e le illusioni di entrambi i personaggi, a loro modo dislocati e scissi, crollano proprio nel linguaggio. L’interpretazione erronea dei segni genera come una trappola che blocca la comunicazione e la solidarietà tra i personaggi, sullo sfondo di una rielaborazione del mito della Mother India44 percepita come spazio che produce divisione e incomunicabilità tra i suoi vari figli.

La storia si chiude con un lieve incidente in cui Lahiri non rinuncia, ad ogni modo, all’ironia. Uno dei figli dei Das, Bobby, viene avvicinato da una scimmia e Mina Das invoca l’intervento di Mr. Kapasi che, con l’aiuto di un ramo, riesce ad allontanare l’animale. L’episodio ristabilisce il clima iniziale: Mina Das ha definitivamente abbandonato qualsiasi interesse nei confronti del luogo e, nei momenti concitati dell’incidente occorso a suo figlio, smarrisce il pezzettino di carta in cui Mr. Kapasi le aveva lasciato l’indirizzo a cui Mina avrebbe dovuto spedire le foto scattate durante il pranzo. Il foglietto di carta fluttua tra gli alberi, sotto lo sguardo triste di Mr. Kapasi, e raggiunge le scimmie che, in mezzo a tanta delusione e frustrazione, osservano con aria solenne e spensierata la scena.

Come osserva Noelle Brada-Williams, secondo la quale la dialettica tra care e neglect è il