Trauma, spazio e intertestualità
2.1 Trauma e scrittura: traumatic memory e memory place
In The Literature of the Indian Diaspora, Vijay Mishra discute il diasporic imaginary in relazione agli scrittori della diaspora indiana, tra cui V. S. Naipaul, Salman Rushdie e Rohinton Mistry, mettendo in evidenza il ruolo performativo della traumatic memory. Recuperando da Cathy Caruth1 l’idea che il trauma (dal greco τραῦμα, ‘ferita’) possa essere trasmesso anche a coloro che non hanno avuto un’esperienza diretta con la sua fonte di origine, Mishra ritiene che il trauma della migrazione, in quanto “primal wound”2, sia intrinseco alle seconde generazioni di migranti. Il processo di trasmissione comporta, infatti, un percorso di frantumazione dei confini tra il sé e l’altro che non si traduce in mera identificazione, quanto in un senso di ossessione per quanto il trauma è in grado di nascondere. Ciò che è traumatico,
1 Cathy Caruth è ritenuta, assieme a Shoshana Felman, Geoffrey Hartman e Dominik LaCapra, uno dei massimi
teorici della trauma theory. Partendo dalla definizione freudiana, Caruth ha studiato il trauma secondo un modello interpretativo fondato sulle teorie di Jacques Lacan. Tra le sue maggiori pubblicazioni si ricordano: Trauma:
Explorations in Memory (1995) e Unclaimed Experience: Trauma, Narrative, and History (1996). Occorre tuttavia
ricordare le critiche emerse nel mondo delle humanities americane al modello inaugurato da Caruth. Secondo alcuni studiosi, il paradigma della trauma theory rispondeva all’esigenza di un ethical turn necessario per colmare l’amnesia postmoderna e esaltare il concetto di literariness che Paul de Man aveva introdotto a Yale, ambiente in cui Caruth si è formata: cfr. R. LEYES, Trauma: A Genealogy, Chicago, The University of Chicago Press, 2000. Per
altri studiosi, come Duncan Bell, il tema su cui si fonda la teoria del trauma è quello della crisi identitaria nell’età della globalizzazione, aspetto che avrebbe fatto riemergere l’importanza della memoria. Bell afferma che “the resurgence of ethnic and identity-based conflicts, where memory is repeatedly invoked, are (at least partly) a sign of anxiety in the face of uncertainty”: D. BELL, Memory, Trauma and War Politics: Reflections on the Relationships Between Past and Present, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2009, p. 6. La parte iniziale del terzo capitolo di Cultural Melancholia di Christina Cavendon offre un’analisi dettagliata delle theory wars nel mondo accademico statunitense
in cui si è sviluppato il dibattito sul trauma: cfr. C. CAVENDON, Cultural Melancholia: US Trauma Discourse Before and After 9/11, cit., pp. 99-121.
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in tal senso, non è l’evento per se, quanto il ricordo che si manifesta come violenta intrusione nella sfera psichica del soggetto traumatizzato. In che misura la narrativa di Lahiri può essere letta secondo la lente della trauma theory3? Cercherò di fornire una risposta a questo interrogativo accennando prima a cosa si intende per ‘teoria del trauma’ e a quali sono i caratteri principali di una possibile trauma fiction4.
Nel 1980 la American Psychiatric Association diagnosticò il fenomeno del ‘trauma’ come manifestazione patologica, attribuendogli la sigla PTDS (post-traumatic stress disorder)5. A partire dagli anni ‘90, i trauma studies si sono evoluti come paradigma complesso che, attraversando i confini di discipline come la storia, la critica letteraria, la psicologia e gli studi culturali, hanno portato alla luce le inquietudini del mondo occidentale contemporaneo oppure, per dirla con le parole di Roger Luckhurst, la trauma theory “has been turned into a repertoire of compelling stories about the enigmas of identities, memory and selfhood that have saturated Western cultural life”6. Secondo Caruth, il trauma costituisce una risposta, solitamente tardiva7, a uno o più eventi problematici che si ripetono sotto forma di sogni, allucinazioni, pensieri e comportamenti che scaturiscono delle ferite provocate dal ricordo della manifestazione traumatica. Da questa prima osservazione emerge una evidente convergenza tra il
3 Christina Cavendon vede nella supremazia della teoria del trauma rispetto al modello della cultural melancholia un
atteggiamento che si è consolidato nel mondo accademico americano in seguito a tre eventi. In primo luogo, l’enfasi sul senso di perdita sarebbe stato introdotto dagli studi sul postmodernismo, da cui la trauma theory ha ereditato la centralità della sofferenza in relazione alle esperienze traumatiche del XX secolo, come la Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto. Il secondo fattore riguarda la crisi identitaria delle humanities statunitensi che, sotto l’influsso del decostruttivismo europeo, hanno visto nel trauma un modello in cui far convergere interessi di natura etica fino ad allora assenti nei dibattito accademico. Infine, Cavendon cita il tentativo da parte di Caruth e Felman di riabilitare la figura del maestro Paul de Man, il quale aveva introdotto il pensiero decostruttivista in America ed era stato successivamente vittima di uno scandalo, il sostegno alla propaganda nazista attraverso una rivista belga. Secondo Cavendon, Caruth e Felman hanno ‘usato’ la teoria del trauma per giustificare il silenzio di de Man sulla vicenda, mettendo in evidenza come lo stesso de Man fosse stato a sua volta vittima di una condizione talmente traumatica da impedirgli di difendersi dall’accusa di antisemitismo: cfr. C. CAVENDON, Cultural Melancholia: US Trauma Discourse Before and After 9/11, cit., p. 5.
4 I riferimenti bibliografici per il modello della trauma fiction sono Trauma Fiction di Anne Whitehead e The Future of
Trauma Theory: Contemporary Literary and Cultural Criticism, un volume curato da Gert Buelens, Samuel Durrant e
Robert Eaglestone.
5 Secondo Caruth, l’emergere dell’interesse verso i trauma studies, negli anni ’80, era motivato dal numero elevato
di soldati che, essendo sopravvissuti alla guerra nel Vietnam, soffrivano di forti disturbi psichici: cfr. C. CARUTH,
‘Trauma and Experience:Introduction’, in EAD. (ed.), Trauma: Explorations in Memory, Baltimore and London,
Johns Hopkins University Press, 1995, p. 3.
6 R. LUCKHURST, The Trauma Question, cit., p. 80.
7 Freud usa la parola Nachträglichkeit che in italiano è stata resa come “appropriazione retrospettiva”. Cfr. F.
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temperamento malinconico e la teoria del trauma8: l’evento non è stato pienamente assimilato o esperito nella sua totalità al momento della sua evenienza, ed esso riemerge in una fase successiva e, solitamente, in modo ossessivo9. La natura del trauma, pertanto, non giace nella rimozione e emersione tardiva di un desiderio represso ma, come dichiara Caruth, nella storia che esso porta con sé, in quanto “a symptom of history”10, in cui il presente è “a primary experience that can never be captured”11. L’esperienza traumatica, come quella malinconica, implica uno sguardo rivolto da un lato verso un passato nostalgico non vissuto a pieno, dall’altro, come l’angelo di Klee, l’orizzonte è verso il futuro, in quanto la latenza dell’evento traumatico lo proietta “with another place, and in another time”12.
Per Caruth, la narrazione degli eventi traumatici si avvale di flashbacks, sogni e riappropriazione tardiva delle vicende. Rifacendosi al concetto freudiano di Nachträglichkeit, Caruth riveste la memoria traumatica di una valenza nevralgica in quanto portavoce di una verità che la letteratura (il suo riferimento è all’esperienza dell’Olocausto) ha il dovere di rappresentare. La scrittura, dunque, è uno strumento di ricerca etica ed epistemologica che va oltre l’effetto di numbing, di procrastinazione anestetizzatine dell’evento traumatico. Conseguentemente, il concetto di traumatic memory13 è un ossimoro poiché tra l’evento e la sua
8 Discutendo il legame tra trauma e malinconia, soprattutto nell’ottica del mondo accademico statunitense
precedente e immediatamente successivo all’attacco alle Torri Gemelle, Cristina Cavendon sostiene che i due modelli teorici sono caratterizzati da un orientamento diverso, in quanto “trauma […] allows for a problematic mingling of individual and collective sufferings”, mentre “melancholia suggests that although an event might be the trigger for severe psychical affliction, the (hi)story preceding the experience of a particular event is decisive for how the perceived perturbation is interpreted”: C. CAVENDON, Cultural Melancholia: US Trauma Discourse Before and After 9/11, cit., p. 11. Sulla stessa lunghezza d’onda, Angelika Rauch, citando l’analista francese Jacques
Hassoun, distingue i concetti di malinconia e trauma in base al fatto che nel primo caso il soggetto è inconsapevole, poiché non ha informazioni circa “the fantasy of what is lost”, uno smarrimento che genera, rispetto al trauma, “an anxiety that […] is without a cause but not without an object”: A. RAUCH, ‘Melancholia in
the Wake of Trauma’, Diacritics, Vol. 28, N. 4, 1998, p. 117.
9 Come precisa la stessa Caruth, secondo il Freud di ‘Al di là del principio del piacere’, il periodo di amnesia
latente (che egli chiama ‘periodo di incubazione’) scaturisce dall’inconsapevolezza da parte del soggetto traumatizzato di aver effettivamente esperito il trauma: C. CARUTH, Unclaimed Experience: Trauma, Narrative, and History, Baltimore and London, Johns Hopkins University Press, 1996, p. 17.
10 C. CARUTH, ‘Trauma and Experience:Introduction’, cit., p. 5. 11 R. LUCKHURST, The Trauma Question, cit., p. 5.
12 C. CARUTH, ‘Trauma and Experience:Introduction’, cit., p. 8.
13 Caruth basa le sue considerazioni sulle ricerche condotte in ambito neuro-biologico da Bessel van der Kolk e
Onno van der Hart, secondo i quali i soggetti che esperiscono eventi traumatici non sarebbero capaci di elaborare il disturbo in maniera adeguata nella propria memoria. In Trauma: A Genealogy (2000), Ruth Leyes, uno dei critici maggiormente scettici nei confronti della trauma theory, fa riferimento a studi psicologici che hanno ribaltato la versione di van der Kolk, mettendo in discussione, dunque, il carattere veritiero delle narrazioni traumatiche.
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rappresentazione (e narrazione) si interpone un ostacolo, una trappola quasi narcisistica che induce il soggetto a rimanere prigioniero nella rete della sofferenza. In effetti, il discorso della rappresentazione del trauma rappresenta un nodo critico sul quale gli studiosi si sono divisi tra coloro che hanno sostenuto l’impossibilità di narrare l’evento traumatico e quelli che hanno interpretato la narrazione del trauma come una misura compensativa. La “fidelity to trauma”14, usando le parole di Dominick LaCapra, è molto vicina all’incorporazione che il soggetto malinconico fa dell’oggetto smarrito che genera sofferenza. La ragione di questa resistenza dell’evento alla narrazione dipende dal fatto che tali ricordi risultano come congelati e cristallizzati dallo scorrere del tempo. Un simile paradosso epistemologico si traduce, inoltre, sul piano ontologico, in un senso di alienazione e scissione della soggettività traumatizzata che arriva a identificarsi pienamente con la fonte del proprio malessere al punto da non riuscire a dissociarsene. La fedeltà del soggetto traumatizzato all’evento traumatico sarebbe, pertanto, un modo per non cancellare il ricordo, una resilienza che, pur avendo effetti precari a livello psichico, veicola il dilemma etico di “not to betray the past”15.
La conseguenza paradossale dell’evento traumatico è che esso, tuttavia, porta il soggetto alla sopravvivenza per mezzo della testimonianza e della condivisione della sofferenza con gli altri. Su questa scia, Felman ritiene che la letteratura sia il luogo privilegiato per la testimonianza delle esperienze traumatiche: “the specific task of the literary testimony is, in other words, to open up in that belated witness, which now the reader historically becomes, the imaginative capability of perceiving history”16. A differenza della storiografia, Felman vede nella testimonianza letteraria un canale di condivisione empatica dell’evento traumatico. Questa prerogativa è alla base di un’estetica che Dori Laub e Daniel Poddel chiamano art of
trauma. La testimonianza si configura come una strategia dialogica indiretta che favorisce la
condivisione del senso di sofferenza con l’altro attraverso “a latent but powerful address that
14 D. LACAPRA, Writing History, Writing Trauma, Baltimore and London, Johns Hopkins University Press, 2001, p.
22.
15 C. CARUTH, Unclaimed Experience: Trauma, Narrative, and History, cit., p. 27.
16 S. FELMAN, D. LAUB, Testimony: Crises of Witnessing in Literature, Psychoanalysis, and History, New York and
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requires the viewer or reader to become engaged in a dialogue of his own with the trauma”17. La rappresentazione letteraria, secondo Laub e Poddel, è uno strumento di potenziale redenzione, caratterizzato da una valenza liminale che, da un lato, tende a riaprire una ferita mai completamente rimarginata mentre, dall’altro, dà voce al dolore del ricordo che essa porta con sé. Sul piano della rappresentazione letteraria, la teoria del trauma, come afferma Geoffrey H. Hartman18, esplora il rapporto tra words e wounds. Secondo Hartman, la rappresentazione letteraria sarebbe un modo per portare alla superficie i silenzi e le ferite, in un modello in cui la letteratura simula la struttura stessa del trauma, alimentando una condizione di sospensione temporale19. Tuttavia, come ragionevolmente puntualizza Anne Whitehead, anche l’espressione trauma fiction ha una valenza antonimica, dato che è impossibile traslare sul piano narrativo un evento che si oppone alla sua rappresentazione linguistica20. Una risposta all’ambiguità della rappresentazione narrativa del trauma la offre LaCapra che ha individuato due tipi diversi di reazione all’evento traumatico: le strategie del acting-out e working-through21.
Prima di esplicitare la natura dei due concetti, occorre inquadrare le caratteristiche della
trauma fiction. Seguendo il ragionamento di Anne Whitehead, la narrativa contemporanea
riconducibile nel perimetro dei trauma studies può essere sovrapposta al contesto teorico del postmodernismo e della teoria postcoloniale. La studiosa colloca il suo modello di trauma fiction nella spirale di amnesia con cui la critica postmoderna ha messo in crisi la nozione di storia, ponendo l’accento, al contrario, sul meccanismo complesso e frammentario della memoria. Inoltre, e in continuità con la critica postcoloniale, la trauma fiction agevolerebbe l’accesso a narrazioni marginali e periferiche che rischierebbero altrimenti di cadere nell’oblio.
17 D. LAUB, D. PADDEL, ‘Art and Trauma’, The International Journal of Psychoanalysis, Vol. 76, N. 5, 1995, p. 995. 18 Hartman si è occupato del rapporto tra trauma studies e letteratura soprattutto in relazione alle vicende
dell’Olocausto: G. H. HARTMAN, ‘Words and Wounds’, in ID., Saving the Text: Literature, Derrida, Philosophy,
Baltimore and London, Johns Hopkins University Press, 1981, pp. 118-157; G. H. HARTMAN, ‘Trauma within the Limits of Literature’, European Journal of English Studies, Vol. 7, N. 3, 2003, pp. 257-274.
19 M. NADAL, M. CALVO, ‘Trauma and Literary Representation: An Introduction’, in EAD. (eds), Trauma in
Contemporary Literature, New York, Routledge, 2014, p. 8.
20 A. WHITEHEAD, Trauma Fiction, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2004, p. 3.
21 LaCapra distingue tra structural trauma e historical trauma. Il primo si fonda sui concetti di lack e absence e riguarda
episodi di transhistorical absence (come la perdita delle origini) che caratterizzano la società e l’uomo di tutti i tempi. Il secondo, invece, è un evento specifico che implica un senso di loss (come la Shoah o l’attacco nucleare a Hiroshima): cfr. D. LACAPRA, ‘Trauma, Absence, Loss’, Critical Inquiry, Vol. 25, N. 4, 1999, pp. 696-727.
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Interpretata sotto questa lente, la trauma fiction considera la scrittura e la lettura pratiche etiche condivise che inevitabilmente conducono all’incontro con l’altro22.
Sul piano narrativo, gli elementi che Whitehead individua come paradigmatici della
trauma fiction sono l’intertestualità, la ripetitività (di immagini, motivi, espressioni linguistiche e
frammenti della trama) e la dispersione e frantumazione della voce narrativa. Lasciando da parte l’intertestualità e la frantumazione della voce narrante, che saranno analizzati successivamente in relazione al paesaggio nell’opera di Lahiri, in questo paragrafo intendo sottolineare piuttosto la connessione tra malinconia e trauma fiction. Come dichiara Anne Whitehead, “repetition mimics the effects of trauma, for it suggests the insistent return of the event and the disruption of narrative chronology or progression”23. La ripetizione presenta dei tratti ambigui, poiché da un lato intrappola la narrazione nel passato, inchiodandola all’evento traumatico, mentre contemporaneamente essa si muove verso l’asse temporale del presente alla ricerca di una catarsi e del superamento del senso di sofferenza. Questa dicotomia, che in sintesi richiama la dialettica tra malinconia e lutto in Freud, è quella che LaCapra descrive con l’opposizione tra acting-out e working-through24: il primo rappresenta la risposta patologica e il processo di preservazione del senso di perdita, il secondo archivia la perdita e ne insegue il superamento25.
22 Sono numerosi i contributi sull’ethical turn nella letteratura contemporanea in lingua inglese. Ethics and Nostalgia
in the Contemporary Novel di John J. Su è uno studio molto interessante sull’evoluzione in chiave ‘etica’ della
narrativa contemporanea anglofona. Secondo Su, la letteratura etnica, soprattutto americana, ha sviluppato un interesse notevole nei confronti di un approccio etico ereditato dalla lezione di Emmanuel Lévinas. Occorre precisare che una medesima direzione verso una ethics of alterity di stampo post-lévinasiano è stata recentemente presa in esame negli studi che Onega e Ganteau hanno dedicato alla fiction contemporanea: cfr. S. ONEGA, J. GANTEAU (eds), Ethics and Trauma in Contemporary British Fiction, Amsterdam and New York, Rodopi, 2011; S.
ONEGA, J. GANTEAU (eds), Contemporary Trauma Narratives: Liminality and the Ethics of Form, New York, Routledge,
2014. Inoltre, come osserva Jane Hiddleston, l’opera di Lévinas, con la sua distinzione tra il dire (la potenzialità del linguaggio) e il dit (essenza e contenuto) è ritenuta un punto di riferimento importante in ambito postcoloniale. Secondo Hiddleston, Lévinas infatti propone una visione della lingua in cui si articola la relazione tra il sé è l’altro, “a space in which the Other faces the self in all its possible forms”: J. HIDDLESTON, Understanding Postcolonialism, Oxon, Routledge, 2009, p. 18.
23 A. WHITEHEAD, Trauma Fiction, cit., p. 86.
24 Whitehead sostiene che LaCapra non solo riformula la dicotomia freudiana tra malinconia e lutto, ma riprende
anche la distinzione di Pierre Janet tra traumatic memory e narrative memory: cfr. Ivi, p. 87.
25 In tal senso la scrittura diventa uno strumento di riparazione, come sostiene Stefano Ferrari nella sua indagine
condotta soprattutto su Leopardi, oppure, nelle parole di Laurey Vickroy, uno strumento di scriptoteraphy, tipico della letteratura contemporanea in cui la rappresentazione di eventi traumatici è un aspetto saliente: cfr. S. FERRARI, Scrittura come riparazione. Saggio su letteratura e psicoanalisi, Bari-Roma, Laterza, 1994; L. VICKROY, Trauma and Survival in Contemporary Fiction, Charlottesville, University of Virginia Press, 2002.
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L’opposizione tra cristallizzazione sul piano temporale ed elaborazione della sofferenza, che si sviluppa lungo un continuum cronologico, mette in evidenza come la trauma fiction sia interessata da una certa ossessione nei confronti del tempo. La narrazione e il ricordo di eventi passati incalza chi racconta gli eventi traumatici, un ritorno temporale che rievoca il concetto freudiano di Nachträglichkeit. Il passato che riemerge nel presente si articola in forme che, come osservano Onega e Ganteau, spesso rimandano al romance, per ambientazione gotica e spettrale, scenari spettacolari o eccessivi, e toni narrativi incerti26. Queste strategie sarebbero finalizzate alla frantumazione della linearità temporale in un andamento ritmico distorto che riproduce la coazione a ripetere di chi soffre a causa di un evento traumatico. Rispetto allo stile realistico, l’intrusione di elementi romantici nella narrazione del trauma trova una sua significatività soprattutto in relazione alle vicende gravi della nostra contemporaneità, come le tensioni del periodo successivo alla decolonizzazione o il deflagrare del terrorismo.
Una delle critiche più severe che sono state formulate nei confronti della trauma fiction investe il carattere fortemente eurocentrico dei discorsi di Caruth, Felman e Whitehead. Secondo Stef Craps, per il quale “trauma theory needs to become more inclusive and culturally sensitive by acknowledging the sufferings of non-Western and minority groups more fully, for their own sake, and on their own terms”27, il modello inaugurato da Caruth evidenzia il limite di ignorare i traumi che non rientrano nel perimetro storico e culturale dell’Occidente. La convergenza tra trauma studies e teoria postcoloniale, per Craps e Buelens, nasce dalla necessità di infrangere i paradigmi eurocentrici su cui si fonda il modello ‘classico’ della teoria del trauma, contribuendo alla creazione di un senso di solidarietà interculturale. Tra i tropi ricorrenti nelle opere degli scrittori che hanno riflettuto sul trauma della colonizzazione, Craps
26 Onega e Ganteau ritengono che l’intersezione tra romance e trauma fiction si manifesti soprattutto come poetics of
romance che “provides a means for fiction to attempt to say what historiography, history and perhaps critical
theory fail to grasp and convey”: S. ONEGA, J. GANTEAU, ‘Introduction: Traumatic Realism and Romance in
Contemporary British Narrative’, in ID. (eds), Trauma and Romance in Contemporary British Literature, New York,
Routledge, 2013, p. 11.
27 S. CRAPS, ‘Beyond Eurocentrism: Trauma Theory in the Global Age’, in G. BUELENS, S. DURRANT, R.
EAGLESTONE (eds), The Future of Trauma Theory: Contemporary Literary and Cultural Criticism, Oxon, Routledge,
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e Buelens citano l’insiduous trauma, paesaggi che sembrano stregati, tracce sepolte in forma palinsestica, il carattere realistico della narrazione, e la variazione del punto di vista che