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La cultura come produzione e scam- scam-bio di merci-testi-informazione: il

Nel documento Gentes - anno V numero 5 - dicembre 2018 (pagine 136-140)

La fonologia come modello per una scienza della

II. La cultura come produzione e scam- scam-bio di merci-testi-informazione: il

mo-dello binario

Ricapitolando potremmo dire, quindi, che la lingua, attraverso la forma incaricata di segmentare e ordi-nare gli elementi del lato fonico della parola, fornisce alle comunità umane quei necessari strumenti logici attraverso i quali è possibile condurre in porto ogni tentativo di intellezione della realtà circostante. Al tempo stesso la fonologia o scienza dei suoni della lingua (Sprachgebildelautlehre), in quanto scienza in-caricata della scoperta e formalizzazione dei principi e delle «[...] regole secondo le quali si ordina l’aspetto fonico della parola» (Trubeckoj 1939, p. 6), assume il compito di fornire alle scienze della cultura apparati categoriali e terminologici nonché procedure appli-cative utili alla ricerca e alla descrizione dei principi di funzionamento di tutti quei sistemi senza i quali, secondo Eco, neanche potremmo parlare di umanità e società. Secondo Levi-Strauss, quindi, occorre ado-perare nelle scienze sociali «[...] un metodo analogo per quanto riguarda la forma [...] a quello adottato dalla fonologia [...]» (Levi-Strauss 1958, p. 48). Inol-tre, essa, in quanto metadescrizione scientifica di un fenomeno sociale inserita nel vivo della dinamica culturale e dei suoi processi storici sarà in grado di modificare l’oggetto della sua descrizione in direzio-ni almeno in parte conformi alla descrizione stessa. «La descrizione agisce sull’oggetto descritto e il lin-guaggio, che ha ricevuto una grammatica, non è più quello che era prima della sua descrizione» Lotman 1985, p. 83). Il carattere vincolante della metastruttu-ra sulla struttumetastruttu-ra sarà gametastruttu-rantito non da una tendenza normativa17 delle scienze semio-linguistiche, da più parti osteggiata e ritenuta come una mistificazione ad opera di chi si sentiva minacciato dalle presunte mire espansionistiche ed imperialistiche della semi-otica,18 ma dal loro essere parte attiva della

concre-17 «La semiotica [...] è dunque una disciplina descrittiva, e non prescrittiva, nel senso che il suo compito non è quello di indica-re comportamenti comunicativi adeguati» (Traini 2006, p. 16). «Nel caso della linguistica è particolarmenteimportante insiste-re sul caratteinsiste-re scientifico e non pinsiste-rescrittivo dello studio» (Mar-tinet 1960, p. 13).

18 Tendenze che, secondo De Mauro, non corrispondono all’o-riginale progetto scientifico saussuriano: lo studioso svizzero, infatti, «[...] prospettava l’ideale d’una linguistica introversa, at-tenta a non compromettere la propria autonoma verginità con poco casti rapporti con altre scienze […]» (De Mauro 1965, p.

ta e quotidiana prassi comunicativa. Riferendosi alle metadescrizioni che cultura e linguaggio offrono di sé stesse per mano dei critici, dei teorici, dei legislato-ri ecc., Lotman legislato-ricorda che «queste metadesclegislato-rizioni si inseriscono nel vivo processo storico [...]» (ivi, p. 129). Solo così è possibile affermare, con Eco, che

«[...] significare la significazione, o comunicare circa la comunicazione, non possono non influenzare l’universo del parlare, del significare, del comunicare. [...] spiegare come e perché comunica oggi (la gente) significa fatalmente determinare il modo in cui e le ragioni per cui comunicherà domani.»

(Eco 1975, pp. 44-45).

A quale modello fonologico facciamo riferimento quando ne parliamo in termini di così alto potenzia-le euristico, descrittivo e modellizzante nei confronti dell’intera cultura, sia da un punto di vista stretta-mente teoretico sia da un punto di vista più largamen-te operativo ed applicativo? La fonologia sta vivendo attualmente una fase di profonda revisione dei pro-pri paradigmi dominanti che, nonostante massicce e spesso controverse rielaborazioni (si veda il caso del modello fonologico sviluppato da Noam Chomsky e Morris Halle nell’ambito del più generale progetto della grammatica generativa), ruotano sempre in-torno alle tesi della scuola di Praga. In particolare, al centro del dibattito attuale troviamo una serrata cri-tica di quel paradigma segmentale che, come è noto, è forse il reale fondamento dell’intera epistemologia strutturale e della visione del mondo e della cultura ad essa collegata. L’idea che all’interno della lingua, descritta come un sistema funzionale nel quale “tut-to si tiene”, fossero rintracciabili delle unità minime, dei segmenti discreti non ulteriormente frammenta-bili è stato il punto di partenza comune per l’analisi di tutti gli aspetti non solo della lingua ma della cul-tura in generale; non a caso sul modello della

fonolo-117). Il tradimento odierno e conclamato nei confronti dell’ini-ziale e progettuale “riservatezza” della scienza dei segni da par-te di un campo di studi (cfr. Eco 1975, p. 18, Deriu 2004, pp. 13-14) divenuto al contrario eccessivamente onnivoro e dispersivo è denunciato in tempi non sospetti da Francesco Casetti il quale registra con preoccupazione questa vocazione della odierna semiologia: «[…] con una generosità tutta giovanile - che molti naturalmente hanno subito accusato di ‘imperialismo’ - la semi-otica s’è messa a curiosare negli angoli più impensati; le zone da esplorare si sono moltiplicate coinvolgendo il cinema, il teatro, la segnaletica stradale, la musica, l’ideologia, la pubblicità, la te-levisione [...] scienza che non si vergogna di andare a finire in territori che spettano alla psicoanalisi, o alla linguistica, o alla sociologia, o alle scienze letterarie, o alla filmologia, o alla psico-logia, o alla storia dell’arte, o alla critica. […] Nasce qui l’impres-sione [...] che la semiotica non abbia un proprio alveo ‘naturale’ [...]», la semiotica, quindi, «[…] sfrutterebbe i ‘residui’ che le al-tre scienze le affidano» (Casetti 1977, pp. 19-20).

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gia strutturale verrà edificato l’intero impianto della semantica strutturale hjelmsleviano-greimasiana che, come è noto, rappresenta uno dei più compiuti ed espliciti tentativi di adoperare il piano descrittivo delle funzioni della lingua elaborato dalla fonologia strutturale come modello per una teoria generale del-la cultura e del senso.19 Inoltre, del-la stessa applicazione del paradigma segmentale in fonologia non è altro che un prestito operato a partire da categorie elaborate sin dall’antichità soprattutto grazie all’avvento della scrittura. Come spiega Federico Albano Leoni,

«il concetto di unità minima, come elemento naturale della costituzione fonica delle lingue [...] nasce dalla messa a punto e dalla diffusione delle scritture alfabetiche [...] risale alle definizioni e alle riflessioni greche di e su gràmma “lettera” e stoicheìon “elemento” e ai succedanei latini littera e elementum [...] il gràmma e la littera sono stati, in quanto visibili e persistenti, i sostegni sostanziali della

concettualizzazione dell’unità minima [...]»20 (Albano Leoni 2009, p. 83).

Nell’ambito della fonologia strutturale e di una teo-ria dei sistemi culturali su di essa edificata, il paradig-ma segmentale, ovvero la possibilità di una descrizio-ne per stati discreti e tratti pertidescrizio-nenti di tutte le categorie linguistico-culturali elaborate dall’uomo nonché dei processi logici e delle forme di ragiona-mento che ne sono responsabili, ha rappresentato il reale fondamento per la formulazione di quelle proce-dure analitiche basate sui criteri differenziali ed op-positivi del binarismo, attraverso le quali si pensava di poter pervenire ad un inventario completo e finito di tutti i fonemi della lingua e delle opposizioni fono-logiche che ne garantiscono valore linguistico ed esi-stenza semiotica.21 All’interno della teoria fonologica il binarismo ha due compiti ben precisi; da una parte quello di mostrare le condizioni minime necessarie affinché si possa produrre valore, dall’altra quello di dimostrare che «[...] l’operazione binaria, in quanto processo di identificazione e di differenziazione, co-stituisce un’operazione logica fondamentale del pen-siero umano [...]» (Heilmann 1963, p. XXI). Da un pun-to di vista teoretico ed applicativo, quindi, il binarismo,

19  Consapevoli dei rischi e delle incongruenze a cui si è andati storicamente incontro ogni volta che si è cercato di applicare il mo-dello descrittivo e normativo elaborato per il piano dell’espressione al piano del contenuto (v. Martinet 1961, pp. 65-66), decidiamo, comunque, di insistere su questa scelta metodologica.

20  Littera est pars minima vocis articulatae (Albano Leoni 2009, p. 84).

21 Infatti, come sostiene Trubeckoj, «L’inventario dei fonemi di una lingua è in verità solo un correlato del sistema delle oppo-sizioni fonologiche. [...] in fonologia la parte principale è quella delle opposizioni distintive e non quella dei fonemi.» (Trubeckoj 1939, p. 80).

fornisce, o ha fornito per lungo tempo, gli strumenti per descrivere le operazioni semio-cognitive e le cate-gorie di pensiero alla base della cultura o di qualun-que sottosistema ad essa collegato.22 Come abbiamo già detto, nella sua forma essenziale il binarismo si ritrova quale principio base della semantica struttu-rale di Greimas sotto forma di struttura elementare della significazione organizzata, come le opposizioni fonologiche classificate da Trubeckoj, su un sistema di relazioni binarie differenziali tra unità discrete seg-mentate dal sistema. Come spiega Greimas, «1. Perce-pire differenze significa cogliere almeno due termi-ni-oggetto come simultaneamente presenti. 2. Percepire differenze significa cogliere la relazione tra i termini, collegarli in un modo o in un altro» (Greimas 1966, p. 38). Secondo il semiologo lituano, «[...] il solo modo di affrontare il problema della significazione consiste nell’affermare l’esistenza, sul piano della percezione, di determinate discontinuità, e quella di scarti differenziali (secondo Levi-Strauss), creatori di significazione [...]» (ivi, pp. 37-38). Tanto la fonologia strutturale quanto la semantica strutturale dimostra-no che l’identità e la rilevanza semio-linguistica di ogni termine di un sistema sono determinate non in positivo mediante il possesso di alcune caratteristi-che definibili, come le proprietà fonico-acusticaratteristi-che de-scritte dalla fonetica, ma solo in negativo a partire dalla relazione di opposizione e dalle differenze con gli altri termini del sistema ed è perciò deducibile a partire da essi. «Ogni fonema ha un valore fonologica-mente definibile solo in quanto il sistema delle oppo-sizioni fonologiche mostra un determinato ordina-mento e struttura» (Trubeckoj 1939, p. 80). Anche Saussure, Jakobson e Deleuze sono d’accordo sulla natura strettamente oppositiva e relazionale del fone-ma (che, secondo William Freefone-man Twaddell, è addi-rittura un artificio metalinguistico privo di corrispon-denza con la realtà fisico-empirica):23 «è facile mostrare che la presenza di questo suono determina-to non ha valore che per l’opposizione con altri suoni presenti» (Saussure 2002, p. 17; v. Jakobson 1963, p.

22  Per Roland Barthes, al contrario, non è affatto certo che tutti i paradigmi semiologici si fondino sulla relazione binaria e sull’opposizione (cfr. Barthes 1964, p. 59).

23  Contro questa posizione troviamo, a sorpresa, Levi-Strauss, che ribadisce la natura sostanziale, e non solo relazionale, del fonema: «[...] gli elementi differenziali che sono al termine dell’analisi fonologica hanno un’esistenza oggettiva da tre punti di vista: psicologico, fisiologico e anche fisico […]», (Levi-Strauss 1958, p. 48). Da sottolineare come Roman Jakobson, difensore del paradigma differenziale, spenda parole anche a difesa del-la realtà del fonema. Egli, infatti, spiega come «[...] ogni tratto distintivo, e quindi ogni fonema indagato dal linguista, abbia il suo costante elemento corrispondente ad ogni stadio dell’atto linguistico e possa così essere identificabile a tutti i livelli acces-sibili all’osservazione […]», (Jakobson 1963, p. 89).

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Laboratori della comunicazione linguistica Gentes, anno V numero 5 - dicembre 2018

89; v. Deleuze 1976, p. 25). E ancora, secondo il lingui-sta svizzero «[...] la lingua poggia su un certo numero di differenze o opposizioni che essa riconosce e non si preoccupa essenzialmente del valore assoluto di cia-scuno dei termini opposti [...]» (Saussure 2002 p. 33). Senza un qualche genere di relazione logica che asse-gna loro una posizione ed una funzione, secondo una concezione topologica e funzionale del sistema della lingua (v. Deleuze 1976, p. 20), i termini di un sistema neanche esisterebbero come oggetti semioticamente definibili riducendosi a eventi di natura psicologica, fisiologica e fisica. Cosa tra l’altro confermata, a livello generale, dallo stesso Greimas, il quale identificava nella relazione di giunzione tra due termini la condi-zione minima per una loro esistenza semiotica (v. Greimas 1983). Il metodo delle opposizioni, facendosi carico di quel basilare principio saussuriano che vede nella relazione e negli scarti differenziali tra termini di un sistema i reali fondamenti della semiosi e della significazione, cerca di rintracciare nella forma fono-logica le principali forme di “dialogo” tra sistemi cul-turali diversi o parti di uno stesso sistema. La possibi-lità di estendere le nozioni di relazione e sistema dal piano della lingua a quello più generale dell’intera cultura24 applicandole innanzitutto allo studio ed alla descrizione della struttura sociale ovvero dei si-stemi di parentela, porta Levi-Strauss ad affermare che tanto la cultura quanto la lingua «[...] si edificano attraverso opposizioni e correlazioni, vale a dire at-traverso relazioni logiche» (Levi-Strauss 1958, p. 84). Relazioni logiche, opposizioni e correlazioni individuate e formalizzate per la prima volta in ambito fonologico da Nickolaj Trubeckoj (che parte dagli studi pionieristici di Jespersen, Winteler e Swe-et), il quale, non a caso, classificava i vari tipi di oppo-sizione proprio a partire 1) dalla relazione esistente tra ogni singola coppia di opposizione e l’intero siste-ma fonologico, 2) dalla relazione tra i singoli membri di un’opposizione. A partire da questi criteri, egli poté ricavare e classificare un inventario finito di fonemi e tratti distintivi nonché i vari tipi di opposizioni fono-logiche che ne caratterizzano le relazioni; opposizioni che possono andare dalle bilaterali e plurilaterali, iso-late e proporzionali alle privative, graduali ed equi-pollenti fino alle opposizioni costanti e alle opposizio-ni neutralizzabili; tutte queste categorie danno luogo successivamente ad ulteriori sottospecie (v. Trubeckoj

24  Cassirer, sulla scorta del linguista Meillet e di scienziati come Cuvier, Goethe e Darwin, applica i concetti di relazione e struttura in uso nelle scienze biologiche alla descrizione della lingua affermando il principio, olistico, di mutua e reciproca in-terdipendenza tra i termini di un sistema tale che ogni elemento ne presuppone necessariamente altri ed è a sua volta presuppo-sto e ricavabile da questi (cfr. Cassirer 1946, pp. 70-81)

1939; Barthes 1964, pp. 61-72). Le opposizioni bilate-rali e quelle plurilatebilate-rali si differenziano in quanto, nel primo caso, la base di confronto, ovvero i tratti in comune ai due termini dell’opposizione, è propria solo dei due termini dell’opposizione mentre nel se-condo caso è comune ad altri membri dello stesso si-stema. Un esempio di opposizione bilaterale offerto da Trubeckoj a proposito del sistema fonologico del tedesco è l’opposizione tra occlusiva dentale sorda e occlusiva dentale sonora /t/ - /d/ la cui base d’oppo-sizione (occlusiva dentale) non è presente in nessun altro membro del sistema. Al contrario, l’opposizione tra occlusiva dentale sorda e occlusiva bilabiale sorda /t/ - /p/ è plurilaterale in quanto la base di opposizio-ne (occlusiva sorda) è condivisa con il foopposizio-nema /k/ (occlusiva velare sorda). Infatti /p/ /t/ /k/ formano una correlazione (v. Saussure 2002, p. 18). Le opposi-zioni plurilaterali sono più numerose rispetto alle bi-laterali (nel sistema tedesco sono circa il 93% dell’in-tero inventario di opposizioni consonantiche) ed è in virtù del loro minor numero che le opposizioni bilate-rali definiscono meglio l’identità dei fonemi (sono più informative e qualificanti). La differenza tra opposi-zioni proporzionali ed opposiopposi-zioni isolate riguarda invece la condivisione con altre coppie o il possesso esclusivo della coppia di tratti che serve a differenzia-re i fonemi. L’opposizione tra occlusiva bilabiale sorda e sonora /p/ - /b/ essendo determinata dalla diffe-renza sordo-sonoro è proporzionale in quanto pre-sente anche nelle altre coppie di occlusive /t/ - /d/ e /k/ - /g/. Al contrario, l’opposizione tra polivibrante alveolare sonora e laterale alveolare sonora /r/ - /l/ essendo l’unica che permette di disgiungere due fone-mi attraverso la differenza polivibrante-laterale è iso-lata. Andando avanti incontriamo le opposizioni pri-vative ovvero «[...] quelle opposizioni nelle quali un termine è contrassegnato dalla presenza di un certo segno o marca (Merkmal) e l’altro dalla sua assenza» (Trubeckoj 1939, p. 89). L’opposizione sordo-sonoro è un caso di opposizione privativa in quanto un termi-ne, quello sordo, è definito dall’assenza di un tratto presente nell’altro (e viceversa). Il fonema sordo, per-tanto, verrà definito anche come non sonoro. L’oppo-sizione privativa ha luogo attraverso la negazione, in un termine, di un tratto affermato nell’altro (il primo sarà non marcato il secondo marcato) e trova largo uso anche nella semantica greimasiana. Essa si distin-gue in particolar modo dalle opposizioni qualitative, che stabiliscono relazioni di contrarietà, in virtù del fatto che quest’ultima ha luogo tra due termini polari pieni del tipo ‘A – B’ e non ‘A – non A’: «[...]; sullo sfon-do di un medesimo asse, si oppongono due termini pieni, e cioè definiti ognuno attraverso un tratto» (Paolucci 2007, p. 99). In questo senso, è qualitativa

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un’opposizione del tipo occlusivo-dentale oppure dentale-velare mentre è privativa, come abbiamo vi-sto, un’opposizione del tipo non sonoro-sonoro dove i termini si oppongono attraverso l’applicazione dell’o-peratore logico a un argomento non.25 Abbiamo, infi-ne, le opposizioni graduali (tralasciando le opposizio-ni equipollenti e le opposizioopposizio-ni costanti e neutralizzabili), che risultano molto interessanti in quanto dimostrano che i fonemi si definiscono non solo in base alle opposizioni istituite dai tratti distin-tivi, ma anche in base al grado di possesso dei tratti. In questo senso, non è necessariamente vero che ogni fonema implica una scelta netta tra il sì e il no (Graffi, Scalise 2002, p. 94), senza la possibilità di scelte inter-medie, come sostenevano sia Jakobson che Martinet: «la nozione di messaggio intermedio non ha senso [...] non si può concepire una realtà linguistica che non sia proprio /b/, o che sia quasi /p/. Ogni segmento di un enunciato riconosciuto come italiano deve essere ne-cessariamente identificabile o come /b/ o come /p/, o come uno degli altri 28 fonemi della lingua italiana [...]» (Martinet 1960, p. 31). Al contrario, l’idea che il fonema possa essere un’entità graduata e fuzzy (nel senso di Lakoff) lungo un continuum (Eco 1975, pp. 237-238) che, partendo dal prototipo perfetto e idea-le, conduce gradualmente alle varianti peggio esegui-te e meno riconoscibili vuoi per incompeesegui-tenza (sog-getti non madrelingua) vuoi per disturbi nella comunicazione (rumore), ci sembra alla base della definizione, formulata da Daniel Jones, di fonema come famiglia di suoni situati per approssimazione esecutiva intorno al prototipo (sul prototipo e sulla nozione kantiana di schema v. Wittgenstein 1953; Violi 1997). Graduali sono, pertanto, quelle «[...] op-posizioni i cui termini sono contrassegnati da un di-verso grado della stessa particolarità [...]» (Trubeckoj 1939, p. 89), cosa che avviene soprattutto all’interno del sistema vocalico che, come è noto, differenzia i propri termini in base al grado di altezza e avanza-mento-arretramento della lingua, livello di tensione e rilassamento e infine arrotondamento o meno delle labbra. La concezione gradualista del fonema funzio-na anche sul piano delle unità semantiche. Come spie-ga Patrizia Violi, con il concetto di gradualità si inten-de il livello di appartenenza e pertinenza di un singolo semema rispetto alla categoria semantico-lessicale di riferimento ma soprattutto rispetto al prototipo (o Tipo Cognitivo TC in Eco 1997, pp. 109-114). In base a questa logica non si parla più di appartenenza o esclusione ma di livelli graduali di appartenenza. Con la nozione di prototipo Violi designa una sorta di esemplare cognitivo medio alla base di ogni categoria

25  Sulla negazione, v. Virno 2013.

e specie. Tale esemplare prototipico non è costituito da un elenco fisso e circoscritto di proprietà analiti-che o primitivi/universali semiosici (cfr. Wierzbicka 1996), ma è piuttosto quello che in base a situazioni standardizzate abbiamo in mente quando ci riferiamo a un esemplare di quella classe. Ora, come spiega Vio-li, vi sono nell’esperienza comune casi che per un mo-tivo o per un altro si discostano dal prototipo essendo alcune proprietà semantiche narcotizzate26 ed altre magnificate (cfr. Eco 1984, p. 116). È proprio sulla base di questi casi eccentrici rispetto al modello ma per nulla anomali nella prassi comunicativa che è pos-sibile osservare processi di semantizzazione (costru-zione di nuove categorie semantiche o allargamento di categorie già esistenti) basati su modalità di attri-buzione categoriale del tutto sfumate e slegate dalla logica binaria dell’appartenenza/esclusione. In que-sto senso, quindi, il processo di attribuzione catego-riale funziona secondo un principio di gradualità pro-gressiva legato alla maggiore o minore distanza ed approssimazione da un centro semantico dato o pro-totipo. Non si parla più di appartenenza o esclusione secondo una logica manichea ma di diversi livelli ap-partenenza. La spendibilità dell’approccio fonologico nell’ambito di una teoria della cultura è evidente se si tiene conto dell’attenzione che all’interno della semi-otica lotmaniana viene riservata allo studio delle mo-dalità di dialogo, interazione e scontro tra sistemi di-versi o elementi di uno stesso sistema: «nessun sistema segnico dispone di un meccanismo che gli assicuri un funzionamento isolato» (Lotman 2006, p. 103). La semiotica della cultura è, secondo Lotman, «[…] scienza della correlazione funzionale dei diffe-renti sistemi segnici» (Ibid.). Ricondurre, come fa Le-vi-Strauss, l’organizzazione di sistemi culturali come quello che gestisce le relazioni di parentela27 o il si-gnificato profondo dei miti (v. Levi-Strauss 1978) al sistema fonologico della lingua28 (peraltro rifacen-dosi direttamente al modello binario di Trubeckoj e Jakobson, v. Levi-Strauss 1958, pp. 45-115), significa ricondurre ad esso, ed alle sue regole29, non solo un

26  Infatti, spiega Umberto Eco, «Se ogni proprietà semantica

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