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4 I dati raccolti

Nel documento Gentes - anno V numero 5 - dicembre 2018 (pagine 126-129)

Osservando la classe in cui mi trovavo (di livello B1), era possibile rendersi conto di come gli studenti aves-sero già delle competenze linguistiche di base nella lingua italiana e avessero il desiderio di consolidar-le, in particolare a livello grammaticaconsolidar-le, nonostante il livello linguistico posseduto consentisse loro già di

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esprimersi. Dal questionario emergeva come la con-sapevolezza linguistica dei soggetti fosse maggiore quanto maggiore era il tempo trascorso dal momento in cui avevano iniziato a studiare la lingua; inoltre, è interessante notare che i soggetti giudicavano l’italia-no in proporzione più difficile a mal’italia-no a mal’italia-no che il loro percorso di apprendimento proseguiva. Questo e altri aspetti, come quello legato alla volontà di man-tenere e tramandare la propria lingua ai figli, sono stati oggetto di approfondimento nell’intervista. Dati i limiti di spazio funzionali alla pubblicazione del pre-sente articolo, non è stato possibile fare un resocon-to esaustivo di tutresocon-to ciò che è emerso dal mio studio; pertanto ho scelto di sviluppare in questa sede solo alcuni temi.

L’analisi dei risultati relativamente al questionario ha messo in risalto alcune tendenze: la predominan-za del genere maschile nel campione osservato (34 uomini su 55 utenti) e di una fascia d’età prevalen-te: quella tra i 19 e i 25 anni, sebbene l’età dei sog-getti comprendesse fino al sessantesimo anno d’età. Il campione era composto da soggetti provenienti da 26 Paesi diversi, tra cui i più rappresentati sono stati: Nigeria (9), Marocco (5) e Gambia (4). Associando i Paesi di provenienza a macro aree mondiali, è stato rilevato come la maggioranza (23 persone) prove-nissero da Stati appartenenti all’Africa Sub Sahriana (Gambia, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Sierra Le-one e Ghana); a cui faceva seguito l’America centrale e meridionale (Brasile, Perù, Ecuador, Bolivia, Santo Domingo e Haiti) con 7 informanti a pari numero con l’Asia. Quest’ultima raggruppava Paesi collocati in Asia centrale o Turkestan (Kazakistan), Asia orienta-le o Estremo Oriente (Cina), Asia meridionaorienta-le (India, Iran e Pakistan) e sud-est asiatico (Filippine). Otto persone provenivano dall’area Maghreb (Marocco, Algeria e Tunisia) e 5 da Paesi dell’Europa orientale (Albania, Romania, Bulgaria, Georgia e Ucraina). La maggior parte degli informanti (31) si trovava in Italia da circa 1 anno e vi erano alcuni nati in Italia (3) fa-centi parte della cosiddetta seconda generazione, ov-vero minorenni nati in territorio italiano da genitori stranieri. Le lingue madri più rappresentate sono sta-te, in ordine decrescensta-te, le seguenti: l’arabo (9 par-lanti madrelingua), le lingue senegalesi (6), l’inglese (6) e le lingue nigeriane (5). Il campione era costituito da una grande varietà di idiomi, alcuni dei quali ho raggruppato convenzionalmente in lingue nigeriane (Igbo, Ika, Etsako, Edo), lingue senegalesi (Mandinka, Wolof e Pulaar), lingue della Costa d’Avorio (Malinke e Agni), lingue ghanesi (Hausa e Katokali), lingue male-si (Bambara) e lingue della Sierra Leone (Mende). Nel repertorio linguistico dei soggetti la lingua straniera maggiormente conosciuta è l’inglese, seguito dal

fran-cese. Il campione tende a essere scolarizzato: la mag-gioranza degli individui è andata a scuola per più di 7 anni nel Paese di origine. 41 informanti non hanno dichiarato l’ultimo lavoro svolto: 49 su 55 risultavano essere disoccupati.

Circa le opinioni riguardo la lingua italiana, questa era ritenuta per lo più difficile (23), facile (15), mol-to difficile (8) e molmol-to facile (8). L’abilità linguistica considerata più difficile è risultata essere parlare (29), seguita da scrivere (12) ascoltare (9) e leggere (3): “saper parlare con gli altri” oltre ad essere consi-derata l’abilità linguistica più difficile è stata ritenuta anche la più importante (39), seguita da “saper capire un discorso / TV/ radio” (14), “saper scrivere” (8) e da “saper leggere” (5). Secondo 18 utenti occorrereb-be solo qualche mese per imparare occorrereb-bene l’italiano, per 14 è necessario almeno 1 anno di studio, per 10 più di un anno, per 8 tra i 3-4 anni e per 5 più di 4 anni. 42 apprendenti ritengono sia più facile apprendere una lingua straniera da bambini, tra di essi 18 sono don-ne e 24 uomini. In 20 ritengono che sia più facile per i propri figli imparare l’italiano, la maggioranza (29) non ha figli. 37 informanti su 55 vorrebbero che i pro-pri figli continuino a parlare nella propro-pria lingua (9 non hanno risposto alla domanda). Molti hanno moti-vato la risposta positiva alla domanda con perché “È importante parlare la lingua dei genitori”: da ciò po-trebbe trasparire il desiderio del mantenimento del-la propria identità culturale nell’ambito del progetto migratorio. La grammatica è considerata l’elemento più importante su cui concentrarsi da 35 utenti, a cui fanno seguito le parole (25), l’alfabeto (8), la lettura e scrittura (2). La maggioranza vuole imparare bene l’italiano per “parlare bene con gli italiani” (33), per migliorare il proprio lavoro (13), per avere la carta di soggiorno (12), per seguire meglio i propri figli (5) e per motivi di studio (1). Tra i 5 informanti che hanno risposto di voler imparare bene l’italiano per seguire meglio i propri figli, 3 sono minorenni.

Per ciò che concerne l’intervista, le domande sono state le seguenti: «quanti anni hai? Da dove vieni? Da quanto tempo sei in Italia? Perché frequenti questo corso? Perché vuoi imparare a parlare bene l’italiano? Quante altre lingue straniere conosci oltre l’italiano? (Se ne conosci altre) Sono state più facili da impara-re rispetto all’italiano? Che cosa ti piace faimpara-re di più in classe? Che cosa ti piace fare di meno? (Ad esempio tra parlare/ leggere/ scrivere). Se pensi alla tua vita di tutti i giorni, quali sono le cose che pensi di non saper fare bene in italiano e che invece vorresti saper fare bene? (Per esempio quando hai pensato: ah… Se sapessi... Scrivere… Dire… Leggere… Capire… Parla-re…Ascoltare). Tra le cose che fate a scuola, qual è la cosa più importante per imparare bene l’italiano? Ci

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Laboratori della comunicazione linguistica Gentes, anno V numero 5 - dicembre 2018

sono cose che vorresti studiare che però non si fan-no a scuola? Quanto tempo ci vuole secondo te per imparare bene l’italiano? Secondo te, un bambino fa più o meno fatica di un adulto come te a imparare una lingua straniera? Pensi che sia importante per i tuoi figli imparare bene l’italiano? Perché? Pensi che sia importante che i tuoi figli continuino a parlare nella tua lingua? Perché?».

La prima intervista è stata quella a una donna di nome Linda, di quarantuno anni, proveniente dal Perù e in Italia da sei anni. Linda vuole imparare bene l’italiano per comunicare bene: è un’insegnante e vuo-le insegnare l’italiano nel suo paese, una volta fatto-vi ritorno e per conoscere la cultura italiana. Nel suo paese la varietà spagnola parlata è il Castigliano; ma, come lei racconta, si parlano anche le numerose va-rietà del Quechua. Di seguito riporto un estratto in cui si evince come viene percepita dai parlanti la diglos-sia presente diglos-sia nel suo Paese d’origine diglos-sia in Italia e le sue opinioni circa lo studio della lingua italiana: «La mia mamma non ci lasciava parlare, imparare (il Quechua). Porqué noi como avevamo la campagna, c’avevamo dei contadini…I contadini venivano de la montagna, no? A lavorare da noi, porqué sono della foresta, quasi della foresta, allora loro parlavano fun-damentalmente el Quechua y la mamma non voleva che noi inter…agiamo con loro perché imparavamo male dopo il Castigliano. Infatti per questo quasi tan-ti Peruviani non parlamo bene neanche il Castan-tigliano porqué c’abbiamo questa meschia de lingue». Com’è il tuo rapporto con l’italiano? «Eh… È un bel rapporto porqué tu vai a descubrire, a capire… Qualche volta credi che è l’italiano quello che parli, invece o è ma-gari… O è Perugino o è… Che ne so… Segundo con che la famiglia siamo noi. Noi lavoriamo sempre con le famiglie, allora…Segundo…Ci sono le meschie della famiglia, no? Qualche volta c’è la parte Umbra, c’è la parte magari Napoletana…O sea c’è questa meschia e piano piano impari, qualche volta anche male…Chi è cosciente dice…’No, non emparar questo porqué quel-lo non è italiano’…Però tu ormai quel-lo hai imparado...In questo senso. Però tocca leggere tanto, sentire tanto i giornali…Queste cose ufficiali che impari meglio. Dopo dici ‘magari questo non è l’italiano vero’, comin-ci a capire piano piano si non è el vero italiano». Per Linda, tra le abilità più importanti da sviluppare in classe, parlare è la preminente, ma anche la scrittura lo è, da lei definita una “sfida”.

Se sbaglia parlando, vuole essere corretta: «Anche nella vita quotidiana mi piace che qualcuno mi dica ‘guarda Linda che questo se dice così’ o magari me digano che quello non è l’italiano. Ma sì, ho sentito parlar questo a un italiano, ma non è l’italiano, magari è un Perugino, un Calabrese…Che ne se yo…Capito…

Quello è il casino». E ancora: «Devi essere consape-vole che quella parola è dialetto, no? E il parlarlo con-sapevolmente». Secondo te per quanti anni bisogna studiare l’italiano per impararlo bene? «Io conosco delle persone che stanno 15/20 anni in Italia e non parlano niente italiano…Segundo: el impegno de ogni persona. Se tu abiti con le persone de le stesso Paese parlate sempre la stessa lingua. Però se tu abiti con le persone italiane y per forza imparate di parlare piano piano l’italiano. Poi anche ci vuole la volontà, no? Si non prendi un libro, a vedere la grammatica y cercar de capir como è formado, soprattutto la estruttura grammaticale, tutto questo, è difficile de capire cosa stai dicendo, quando si dice…Perché la grammatica è molto pesante: l’italiano. Ya maschile e femminile è un casino, figuratevi altre cose, no? È un casino sol-tanto lo basico…». Pensi che sia più facile imparare una lingua straniera da bambino? «La mia amica c’ha un bambino de due anni che ha messo troppo a dire qualche parola…Allora, il babbo è spagnolo, gli parla il Castigliano e sta abituando ya quasi un anno in Italia, ha cominciato ad andare a la escuola y momentanea-mente…En casa se parla soltanto españolo, sente l’ita-liano e certo lui ha cominciato a dire le prime parole (in italiano) porqué è andato all’asilo. Sta parlando ya l’italiano pero a lui lo faranno un’altra confusione se la mamma, tutti, gli parlano a casa en españolo…O sea è tutto segundo la realtà in cui si trova questo bambi-no…Se il bambino cresce circondato da persone che parlano l’italiano seguro che lui parlerà l’italiano con più…O sea, più veloce, no? Con più facilità…E sembra anche già più grandicino comincerà a mettere l’altra lingua para non fargli confusione, no? La segunda lin-gua che sarebbe de el paese de origine dei genitori… Penso, in questo senso…». Quindi secondo te i geni-tori in questo caso si dovrebbero sforzare di parlare l’italiano a casa? «Prima i genitori devono impegnarsi si loro hanno deciso de rimanere in Italia, per forza devono imparare e bene l’italiano, per farlo imparare bene anche…Perché sennò i bambini, possono parlar-lo…O sea con una certa difficoltà. Come noi in Perù parliamo male lo spagnolo per regione porqué ognu-no parla come vuole…Iguale penso anche in italiaognu-no. Si una persona straniera parla in itañolo, come noi con lo spagnolo, c’avrà qualche confusione…Certo che lo fanno el lavoro più pesante gli insegnanti de scuola, no? In questo senso». Pensi sia giusto che i tuoi figli parlino la tua lingua e perché? «La nostra lingua deve esser sempre emparado, no però, dove il payse dove ci troviamo dobbiamo imparar per forza la lingua… Anche per cultura, capito? Poi imparare altre lingue è sempre una ricchezza fundamentale porqué la lingua te fa vedere altre culture, te fa trovare altre realtà, te fa raggiungere altre cose che non è imaginado mai…

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La lingua madre non dobbiamo lasciare di trasmet-terla ai figli, questo senz’altro. Cercherei di parlargli l’italiano perché ya l’italiano è molto pesante, figurate per uno che c’ha la confusione… Penso, porqué l’orto-grafia e la grammatica è molto forte… In questo senso pesante».

Luca è un ragazzo di quindici anni, nato in Italia, che ha fatto ritorno in Cina alcuni anni per approfondire la lingua cinese. Frequenta la scuola secondaria su-periore e le sue insegnanti gli hanno consigliato di partecipare alle lezioni del CPIA due volte a settima-na «per rafforzare il suo italiano, per essere più bravo del solito e per ripartire dalle basi». Vuole imparare a parlarlo bene per lavoro, infatti i suoi genitori si sono trasferiti qui per lavorare. Inoltre, l’italiano gli piace e vuole continuare a vivere qui lavorando. Oltre al cinese, conosce e studia a scuola il francese e l’in-glese. Di seguito riporto alcune parti dell’intervista in cui chiedo al soggetto quali difficoltà linguistiche ha incontrato sia rispetto all’italiano sia rispetto a una lingua tipologicamente diversa come il cinese e come percepisca questa sua “identità sospesa” di ragazzo nato in Italia da genitori cinesi: Ti senti pienamente padrone del cinese, della tua lingua madre o qualcosa ti sfugge? «Visto che il cinese è una lingua molto dif-ficile bisogna ogni giorno capirne due o tre caratteri nuovi per ricordarselo altrimenti entro 2/3 anni te lo dimentichi del tutto». A casa, in famiglia, parlano cinese: «Essendo la mia madre lingua i miei genito-ri cercano anche di aiutarmi col cinese, cercando di farmelo ricordare». Le lingue straniere che studi/co-nosci sono più facili da imparare rispetto all’italiano? «Io credo dipenda dalla volontà dello studio, in quale lingua vuoi approfondire. Per me l’italiano è più faci-le». Qual è l’attività che ti piace fare di più in classe? «Possiamo dire che non c’è molta cosa che mi piace… Mi piace l’aria che c’è intorno, c’è divertimento, in cui il prof. usa le parole per farci ridere e studiare l’italia-no». Luca dice che tra le attività fatte in classe tutte sono importanti e ascoltare è per lui la più difficile. Quando gli chiedo cosa vorrebbe saper fare meglio in italiano, risponde che vorrebbe saperlo parlare me-glio: «A volte mi inceppo con la lingua…Scandire bene le parole, cercare di comunicare per bene». Riguar-do alla grammatica dice: «Bisogna approfondirla per parlare più bene l’italiano»; gli chiedo quindi se vor-rebbe studiare più grammatica e lui risponde: «Since-ramente no, però bisogna anche accettare di studiare più grammatica». Quanto tempo ci vuole secondo te per imparare bene l’italiano? «Dipende dalla volontà che ci metti…Perché alcune persone potrebbero im-parare anche dalla TV, leggendo libri oppure… Ascol-tando… I miei genitori la maggior parte li aiuto io con l’italiano per tradurre perché visto che sono nato qui

in Italia e sto frequentando le scuole pensano che io devo approfittarne sia con il cinese sia con l’italiano… Impararli tutti e due». Secondo lui i genitori stranieri di un bambino nato in Italia dovrebbero parlare italia-no a casa per favorirgli l’apprendimento. Luca vorreb-be inoltre che i suoi figli imparassero vorreb-bene l’italiano e conoscessero anche la sua lingua poiché spera un domani di poter far ritorno in Cina con loro.

La terza intervista è stata svolta a un ragazzo tede-sco di venticinque anni, in Italia da un anno. Marcus dice di frequentare il CPIA perché vuole migliorare le sue conoscenze grammaticali e la sua motivazione è intrinseca perché vuole «imparare bene la lingua per vivere bene in Italia». Conosce molte lingue straniere che lo avvantaggiano nell’apprendimento dell’italiano e dice che quest’ultimo è più facile da imparare per-ché appreso «nel bagno della lingua». Vorrebbe fare più attività orali, fare «discorsi adatti al livello della classe» perché secondo lui «lo studente può capire alcune regole da solo, cresce da solo nella coscien-za della lingua». La sua consapevolezcoscien-za linguistica è molto alta: «mi rendo conto ogni minuto che sbaglio in una frase» e dice di aver difficoltà nella compren-sione quando la velocità di una conversazione con più parlanti aumenta. Viceversa, nella sua esperien-za, il parlare italiano tra stranieri è più facile per chi apprende perché la velocità di eloquio è ridotta e i concetti sono meno complessi. Gli piace che in classe gli si spieghi la cultura, ma con poche parole e vor-rebbe imparare la “lingua parlata” e le espressioni di uso comune. Secondo lui la quantità di tempo che un parlante impiega per imparare l’italiano dipende da se stesso e dalla propria volontà oltreché dal contat-to che facilita il tutcontat-to. Secondo Marcus, un adulcontat-to che impara una lingua straniera corre il rischio di tradur-re troppo, menttradur-re per il bambino l’apptradur-rendimento è come un gioco, per cui è più semplice. Al proprio figlio parlerebbe nella propria lingua, cercando di favorirne il bilinguismo.

Nel documento Gentes - anno V numero 5 - dicembre 2018 (pagine 126-129)

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