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Splendori di una forma d’arte minore che ha attraversato i

Nel documento Gentes - anno V numero 5 - dicembre 2018 (pagine 75-81)

secoli: la “letteratura iconica”

Ivan Orsini

Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali Regione Emilia-Romagna

Abstract

Si prenderanno in esame i carmina figurata del poeta della tarda latini-tà Publilio Optaziano Porfirio in cui, oltre ad altri espedienti retorici e prosodici, l’autore scelse spesso di rappresentare una figura o un ogget-to del mondo cristiano tramite il tesogget-to ed una sua riproduzione grafica utilizzando lo stesso testo come fosse la tavolozza di un pittore. Questo percorso di ricerca espressiva, che si rifaceva alla poesia greca alessan-drina e che era entrato nel mondo romano con Levio, trovò dopo Opta-ziano altri estimatori e cultori nell’alto Medioevo, ad esempio nell’irlan-dese Sedulio Scoto e nel tedesco Rabano Mauro (cfr. il suo De laudibus

sanctae crucis). La nostra indagine sarà dedicata alla disamina di questa

nuova via artistico-letteraria, che ha offerto eccezionalmente ai lettori la dimensione del sacro in forme iconico-testuali. Cercheremo di rico-noscere quali sono state le sue modalità di interazione con il contesto storico compreso tra la tarda latinità e l’alto Medioevo. Quali influenze sulla cultura religiosa, cristiana ma anche pagana, coeva e posteriore ha esercitato questo tipo di poesia, che dimostra addirittura punti di con-tatto con i cruciverba contemporanei?

Keywords: Optaziano, alessandrina, Medioevo, croce.

Abstract

We will examine the carmina figurata of the late Latin poet Publilius Op-tatianus Porfirius in which, in addition to other rhetorical and prosodic expedients, the autor often chose to represent a figure or an object of the Christian world through not only the text but also its graphic repro-duction using the same text as if it were a painter’s palette. This path of expressive research, which was based on Alexandrian Greek poetry and had entered the Roman world with Levius, found after Optaziano other admirers and lovers in the early Middle Ages, for example in the Irish Sedulius Scotus and in the German Rabanus Maurus (cfr. his De laudibus

sanctae crucis). Our investigation will be dedicated to the examination

of this new artistic-literary way, which has exceptionally offered to re-aders the dimension of the sacred in iconic-textual forms. We are going to recognize what were its modalities of interaction with the historical context between late Latinity and the early Middle Ages. Which influen-ces on religious, Christian but pagan too, contemporary and later cultu-re have been exerted by this kind of poetry, which even shows points of contact with contemporary crosswords?

Keywords: hierophany, Optatianus, Alexandrian, Middle Ages, cross.

Publilio Optaziano Porfirio è figura di letterato poco conosciuta anche negli stessi ambienti della filologia classica. Se si entra nella biblioteca del Dipartimen-to di Lettere classiche e Italianistica dell’Università di Bologna e si rincorre sugli scaffali la lettera “O” alla ricerca del nostro, ci si imbatte nell’edizione critica, pregevolissima, di Giovanni Polara, uscita nel 1976 per i tipi di Paravia, nel volume UTET che ripropone il

corpus optazianeo nell’originale latino e in traduzione

italiana, altra opera del Polara, e infine in una miscel-lanea di studi inglesi e tedeschi alquanto corposa, di oltre cinquecento pagine. Dalla produzione letteraria del senatore, originario forse dell’Africa (ipotesi che poggia su alcuni indizi testuali), come anche da fonti esterne alla produzione stessa, emerge poco o nulla che sia in certo qual modo utile ad illuminare la bio-grafia. Fu contemporaneo dell’imperatore Costantino il Grande e, probabilmente, quasi suo coetaneo. Come già accennato, raggiunse una posizione di assoluto prestigio a Roma nel ruolo di senatore, nel 324

parte-cipò alla spedizione militare contro i Sarmati e l’anno successivo, nel 325, non poté prendere parte ai grandi festeggiamenti che si tennero nell’Urbe per celebrare i venti anni di regno di Costantino, in quanto Optazia-no era stato in precedenza allontanato da Roma dallo stesso imperatore e – sembra – inviato in esilio pres-so la località africana di Siga. Pare anche che non sia durato tanti anni il periodo trascorso lontano da quel mondo fascinoso della capitale imperiale che lo aveva accolto tempo addietro: forse dal 324 al 326. Nel giro di pochissimi anni, quindi, sarebbe riuscito a ricon-quistare il favore del dominus e a rientrare a Roma ri-uscendo addirittura a farsi eleggere praefectus Acaiae,

praefectus Urbis e anche comes, titolo interpretabile

come funzionario, consigliere favorito dell’imperato-re. Dunque, vi furono un prima e un dopo nella vita e nella carriera di Optaziano, determinati dall’even-to traumatico dell’esilio. Non è ancora chiaro il mo-tivo dell’esilio: forse un adulterio, forse uno o più riti magici non ben accolti nell’ambiente che circondava l’autore. Comunque, al di là delle ragioni dell’allonta-namento coatto, a determinare il giro di vita dall’esi-lio a un secondo florido periodo romano fu la parte più cospicua dell’intero corpus optazianeo: i carmi celebrano tutti, da un lato, la grandezza e la potenza, dall’altro lato, la magnanimità e la clemenza, insom-ma la pietas cristiana dell’imperatore.

Di Optaziano tutto si può dire tranne che infiammi il cuore e la fantasia di un lettore. La sua non era e non è una poesia in grado di conquistare lo spirito umano, era piuttosto una poesia che oggigiorno de-finiremmo “cerebrale”. Seduceva la mente del lettore e, si badi bene, solo del lettore, in quanto le sue ca-ratteristiche distintive sono tali da escludere sin dalla sua epoca una qualsivoglia fruizione efficace sul piano orale. Noi uomini del XXI secolo non possiamo ren-dercene conto adeguatamente, perché disponiamo soltanto di pochi manoscritti che riportano l’origina-le fisionomia grafica di queste composizioni, ma sin dai tempi del nostro le opere venivano trasferite sulla pagina del libro (stava ormai tramontando l’era del

volumen di papiro) ricorrendo all’inchiostro nero per

il testo “normale”, orizzontale, e ad altri colori quali il rosso o l’oro per decorare la superficie scrittoria, ma anche e soprattutto per evidenziare parole e ver-si intercalati entro il tradizionale reticolo lineare del testo. Sappiamo che Optaziano era solito adattare una griglia disegnata al foglio, decidere quali forme e di-rezioni avrebbero dovuto assumere il messaggio o i messaggi da incastonare nel foglio e, infine, riempi-re le riempi-restanti caselle rimaste vuote con versi di senso compiuto e ordinati secondo la prosodia e alcuni tipi di metro, il più importante dei quali fu indubbiamen-te l’esametro. Come si può facilmenindubbiamen-te immaginare, un

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simile procedimento compositivo doveva fare fronte a numerosi vincoli che ne restringevano di molto il rag-gio di manovra. Di qui l’andamento dei versi sempre piuttosto monocorde sotto il profilo tematico.

Come già accennato, Optaziano dedica quasi tutto il corpus alla celebrazione di Costantino e delle sue qualità morali e militari che lo facevano primeggia-re quale esempio sublime di miles Christi. Altro tema assolutamente prioritario era il crogiolo di nodi pro-blematici prodotti dalle difficoltà tecniche con cui egli desiderava continuamente confrontarsi. Certo, non perde mai occasione di sminuire le proprie capacità versificatorie; tuttavia è altamente probabile che si tratti di un locus communis e che, al contrario, fosse ben consapevole delle sue risorse.

Le opere di Optaziano testimoniano di un autore provvisto di una solida cultura classica. È difficile in-terpretare l’autodefinizione “ruris (…) vates” (Carm. XV, 15): forse il poeta denunciava i suoi umili natali? Oppure un’origine esterna a quella di Roma? Inoltre, al v. 11 compare il riferimento a “superi”, divinità su-periori inquadrabili in una logica pagana. Questo e altri passi presenti nella parte finale del corpus opta-zianeo ci inducono a credere che i riferimenti cristia-ni nella sua produzione non discendano da una fede sinceramente coltivata, ma semplicemente da ragioni di opportunismo personale, per entrare nuovamente nelle grazie dell’imperatore. Si firma “Publilius Op-tatianus Porfyrius” in un verso intrecciato del carme XXI e confessa di avere composto pochi pezzi (cfr. an-che Carm. X, 13), forse non particolarmente avvincen-ti, tra cui anche alcuni scherzosi.

Veniamo ora al punto cruciale del nostro intervento. Perché si può definire “iconica” questa letteratura? I messaggi di cromia diversa rispetto al resto del “qua-drato testuale” danno vita ora a figure geometriche semplici oppure concentriche, ora ad altari per safici, ora a una bandiera, ora a simboli del credo cri-stiano quali croci, il monogramma di Cristo in quattro versioni distinte, talora accompagnato da espressioni abbreviate inneggianti a Cristo oppure celebranti gli anniversari di regno di Costantino e dei suoi figli. La letteratura iconica trovò nel nostro autore probabil-mente il suo più valido rappresentante nell’antichità, anche se questo genere letterario rivela importanti antesignani nel mondo ellenistico come Leonida di Alessandria e, al tempo del primo impero romano, come il medico di Adriano Giulio Vesino. Tra II e I secolo a.C. compose carmi di questo tenore l’alessan-drineggiante Levio, la cui produzione ha purtroppo incontrato l’oblio. Esaminiamo più da vicino alcuni componimenti di Optaziano, a cominciare dal carme I. Qui si affida la preghiera del perdono alla musa della poesia comica Talia, perché la porti fino a

Costanti-no. La scelta di questa musa era dettata dalla natura né epica né tragica della produzione optazianea. Con procedimento metonimico leggermente claudicante si fa riferimento a Talia, nume tutelare delle nostre poesie, in rappresentanza del libretto poetico compo-sto dall’autore prima della caduta in disgrazia presso l’imperatore. Pare che il senatore, già prima della forte cesura cui andò incontro la sua vita privata e politica, si fosse dedicato all’arte versificatoria approntando opere in cui la componente figurativa doveva avere un ruolo sicuramente non marginale (Carm. I, 3-4, “ostro tota nitens, argento auroque coruscis/scripta notis, picto limite dicta notans”).

Come afferma Polara

«Il poeta mette a confronto due diverse edizioni del-le sue opere: la prima, ricca, di quando lui occupava alte cariche a corte, era su pergamena colorata di por-pora, con le lettere d’argento per il testo e d’oro per i

versus intexti; la seconda, che comprendeva

i carmi dell’esilio, era su semplice pergamena bianca, con let-tere nere per i versi dei carmi e rosse per i versus intexti» (Po-lara 2004, p. 54, n. 2).

Il passaggio di condizione da uno stato di benessere a uno di marginalizzazione dovuto all’esilio si riflesse ovviamente anche sulle forme figurative dei versi. Si-curamente Optaziano poté conservare il patrimonio personale a Roma, dove erano rimasti il figlio e la casa (Carm. I, vv. 15-16, “Cum [l’imperatore, n.d.a.] dede-rit clemens veniam, natumque laremque/reddidedede-rit (…)”), ma le condizioni di vita in esilio non gli permet-tevano di impreziosire dei consueti materiali deco-rativi le pagine dei suoi scritti. Il ruolo centrale che nel carme I assumono la lontananza forzata da casa e, soprattutto, la veste editoriale delle poesie ci induce a concludere quanto fosse importante quest’ultimo aspetto nella prospettiva dell’autore. La tristezza e la nostalgia del confinato, con la continua speranza che siano respinte le accuse mosse contro di lui e apparen-temente connesse alla dimensione coniugale, ritorna-no nel carme II. L’incipit (Carm. II, 1) riassume i con-tenuti e motiva l’intera produzione giunta sino a noi: “Sancte, tui vatis, Caesar, miserere serenus”. Costanti-no è padre della patria, grande condottiero e costrut-tore di pace, viene invitato a perdonare Optaziano e a richiamarlo nell’Urbe. L’atto di clemenza avrebbe permesso anche un livello qualitativo superiore delle poesie che l’autore poteva al momento tributare a Co-stantino, presentato con tratti semidivini: cionondi-meno, non sarebbe mancata una costruzione raffinata e meditata dei versi. Il carme III esprime un desiderio programmatico, che però rimane inappagato nel

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sente testo: la raffigurazione del volto di Costantino con i versi intrecciati. Questo auspicio sembra però essere solo lo spunto a partire dal quale avviare una riflessione di poetica sul ruolo e sulla dignità contem-poranee della “poesia iconica”. Optaziano, infatti, rile-va nella tecnica dei versus intexti un grado di difficoltà maggiore rispetto alla tecnica tradizionale (Carm. III, 13-14: “nexus lege solutis/ (…) metris”) e, pertan-to, vanno riconosciuti i dovuti meriti al poeta-arti-sta, il quale, però, dimostra anche un altro pregio, a più riprese nei diversi componimenti evidenziato. Si tratta di “versu consignare aurea saecla”: il poeta si vedrebbe, quindi, incaricato dell’onore ed onere di suggellare nella propria opera le linee e gli eventi di un’età aurea, perché pacificata, per trasmetterne in un certo senso la testimonianza ai posteri. Però, ciò che ci lascia perplessi è il risultato concreto di questo progetto culturale: l’epoca costantiniana appare solo in controluce grazie a rari e vaghi cenni; piuttosto, campeggiano nelle pagine solo la celebrazione pane-giristica dell’augusto, l’ansia del rientro dall’esilio e, in particolare, la volontà di dare prova matura e con-sapevole della propria costruzione artistico-lettera-ria. Non dimentichiamoci poi che, nel momento in cui esalta le imprese guerresche, addirittura paragona l’impegno bellico a quello da lui profuso nella stesura dei versi intrecciati, segno della grande autostima di Optaziano, che è il motivo per il quale il suo cantiere poetico campeggia in ogni composizione. Si potreb-be anzi concludere che questo sia il tema principale della produzione, che è metaletteraria e autocelebra-tiva; Costantino e l’età aurea da questo instaurata in fondo paiono quasi argomenti di scuola, non ispirati da sinceri sentimenti di lode, come, del resto, capita nella lettura di molta letteratura encomiastica. Inol-tre, due espressioni, “audenter” (ritorna come “audax (…) / (…) Musa” in Carm. VI, 1-2) e “per devia” (v. 20), spingono a credere alla natura altamente innovativa della sperimentazione poetica di Optaziano: perlome-no, egli così la concepiva, probabilmente restituendo il sentire comune. Anche il carme V, come tutti gli altri, nella tradizione medievale manoscritta, si presenta accompagnato da uno scolio che indica il numero di lettere, sempre uguale, per ciascun verso e spiega la chiave di interpretazione dell’opera. Oltre alla lettura consueta per linee orizzontali è possibile, ma anche necessario – seguendo i “nastri cromatici” che, come abbiamo scritto, contraddistinguevano le edizioni tar-doantiche e medievali – procedere per vie oblique, a zigzag, e così scoprire significati ulteriori cui dà adito il testo di partenza. La direzione di lettura del testo, in tal modo, si fa plurivoca, l’oggetto-testo non è più un minuscolo rotolo di papiro, monodimensionale, che si distende indefinitamente da sinistra a destra

o viceversa, piuttosto acquisisce una seconda dimen-sione: la larghezza. Il testo assume le dimensioni di un quadrato di lettere su cui è possibile scoprire in-sospettati percorsi. I contenuti del carme sono ricon-ducibili a tre livelli:1. lettura orizzontale, tradizionale; 2. lettura dell’interno delle parti evidenziate con co-lore speciale; 3. lettura delle stesse parti evidenziate. Il livello 1 elogia i successi militari passati e presenti del padre Costantino e quelli presenti e futuri dei figli maschi: Crispo, Costantino II e Costanzo. Alle batta-glie vinte conseguono tempi di pace e prosperità ga-rantiti dall’augustus e dai tre caesares. È significativo e per nulla scontato che Optaziano, in questa come in tante altre poesie, rifletta sul proprio versificare, se-gno di un’alta coscienza di sé e di considerazione del proprio talento, che peraltro ammanta delle vesti del mito classico quando quest’ultimo aveva ormai perso valore sacrale e vi si ricorreva solo per impreziosire il proprio dettato, in ossequio a una tradizione pluri-secolare. La lettura 2, invece, pur nella sua laconicità, porta all’attenzione alcuni elementi assai interessan-ti. Anzitutto, si dice “cum sic scripta placent” [“poiché piacciono i versi così scritti”], il che significa che pia-cesse ai contemporanei di Optaziano questo genere letterario tanto particolare e che, di conseguenza, ve-nissero stesi numerosi componimenti così strutturati, che tuttavia non sono giunti sino a noi. Inoltre, questi versi sono definiti “devia” [“cose difficili”] e le Muse poetano per se stesse: una certa autoreferenzialità da parte del poeta è ineliminabile. “Pingens loquitur (...) Camena” [“Canta dipingendo (...) la Camena” n.d.a.]: come non sentir echeggiare l’oraziano “ut pictu-ra poësis”? L’ultimo verso, di intonazione cristiana, spera nella buona salute del poeta fra diecu anni e in quella dell’imperatore e dei tre figli, in onore dei quali si celebreranno i Trentennali.

La lettura 3 semplicemente sottolinea i venten-nali dalla presa del potere ad opera di Costantino e i decennali dei suoi due figli più grandi. Il carme VI propone una figurazione geometrica che rinvia, sul-la base delsul-la lettura lineare del testo, a truppe schie-rate sul campo di battaglia. Come un esercito, prima dello scontro, può dispiegarsi sul terreno secondo formazioni diverse e, di conseguenza, dare luogo a schieramenti ed esiti del conflitto differenti, così dal-la giustapposizione differente delle parole di alcune parti del testo discendono significati diversi. In que-sto, come nei carmi XV e XXV, la lettura iconica del testo non esaurisce, assieme alla lettura tradizionale e a quella dei versi intrecciati, le possibili significazio-ni del composignificazio-nimento, che anzi racchiude in sé altre potenziali letture conformemente appunto alla va-riabilità dell’ordine delle parole fino a ottenere molti altri testi. Questa scelta dimostra la tensione

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sta dell’autore verso una densità semantica del testo sempre più elevata, fondata su di una logica combi-natoria che non presuppone più soltanto la staticità delle parole e il loro incardinamento all’interno di un quadrato pieno di lettere, ma si muove anche nella di-rezione di una movimentazione ragionata di termini collocati in posizioni fisse che complica le risonanze concettuali dell’opera e ne arricchisce i profili, con-ferendole al contempo una identità inevitabilmente sfuggente e, per certi versi, opaca. Ciò che preme nota-re a proposito del carme VIII, a parte il riconoscimen-to dell’importante ascendenza per Costantino e i suoi figli da Costanzo Cloro e, ancora prima, da Claudio II il Gotico (275-276 d.C.), è l’immagine che emerge dal quadrato. Questa è la prima di una serie di occorrenze del monogramma Cristico greco XP, inscritto entro le lettere del nome latino di Gesù, ossia IESVS. Si tratta indubbiamente di una delle più felici rese grafiche del monogramma nella poesia optazianea, ma non l’u-nica: infatti, lo incontriamo anche nei carmi XIV, XIX e XXIV. Il carme IX propone l’immagine della palma, simbolo di vittoria militare nel mondo romano paga-no e di pace in ambito cristiapaga-no.

Il carme XVI propone una nuova frontiera del nostro, cui poi seguiranno altri analoghi esemplari. All’inter-no del quadrato complessivo determinate lettere pos-sono essere lettere ora in latino ora in greco: di qui derivano ora motti latini ora motti greci. Ecco un altro percorso di ricerca sperimentale condotto da Opta-ziano: l’uso di determinate lettere di un testo sia in latino sia in greco non ci permette stavolta di accosta-re campi diversi dello scibile (ad esempio, arte e pit-tura), ma di incanalare e spostare il campo di tensioni verso la sfera linguistica. Il carme XIX presenta l’im-magine di un navigante al timone di una barca su cui si innalza l’albero costituito dal monogramma Cristi-co. Il pescatore è allora un pescatore di anime, Simon Pietro? Inoltre, per la prima volta dall’inizio del

cor-pus incontriamo versus intexti in parte latini in parte

greci: i punti di congiunzione tra gli uni e gli altri mo-strano l’uso di grafemi identificabili come lettere ora di un alfabeto ora dell’altro. È proprio in tali frangenti che arriviamo al cuore della poesia iconica: la singola lettera dismette la sua identità specifica, legata a un definito codice linguistico, e mantiene soltanto la na-tura grafica, quasi come un arabesco primordiale. Il carme XXb associa, invece, la lettura dei versi e la

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