Sara Morganti
Università per Stranieri di Perugia Abstract
L’articolo si propone di evidenziare, a vari livelli, alcune influenze dan-tesche rintracciabili nella produzione di Gianni Celati (n. 1937). Affron-tando l’opera dello scrittore contemporaneo è infatti facile imbattersi in aperte citazioni e riferimenti al padre della lingua italiana, sia per quan-to riguarda la produzione narrativa che quella critica. Dante compare fra le pagine della raccolta di racconti Cinema naturale (2001), come fra quelle della più recente raccolta di saggi Conversazioni del vento vo-latore (2011) e per dichiarazione dello stesso autore sappiamo che la struttura dei tre romanzi che compongono la raccolta Parlamenti buf-fi (1989) ricalca quella della Commedia dantesca. Si farà poi accenno all’importante concetto di immaginazione («fantasticazione» per Celati) e al suo rapporto con la parola in Dante e Celati, passando anche attra-verso una fondamentale lezione americana di Calvino: Visibilità.
Keywords: Celati; Dante; fantasia; immaginazione; parola.
Abstract
The article aims to underline, to a various extent, some of the influences of Dante Alighieri in Gianni Celati’s writing. While studying this author it is easy to find literary quotations and references to the father of the Italian language, both in the narrative and critical works of the contem-porary writer. For instance, the reader may find Dante among the pages of the short stories collection Cinema naturale (2001), as well as among those of the more recent essays collection Conversazioni del vento vola-tore (2011). In addition, it was the very Celati who stated that the struc-ture of his novels later published under the title Parlamenti buffi (1989) replicates the one of Dante’s Commedia. The article will then focuses on the notion of imagination («fantasticazione» in Celati’s words) and its relation with language in Dante and Celati, mediated by the fundamen-tal Calvino’s memo for the next millennium: Visibility.
L’intervento si propone come una sorta di piccola e assolutamente non esaustiva antologia di luoghi dan-teschi all’interno della prosa e della saggistica di Gian-ni Celati. Una raccolta di riferimenti, aperte citazioGian-ni, omaggi e parallelismi. Gran parte delle opere narra-tive di Celati sono state raccolte da Nunzia Palmieri e Marco Belpoliti, con la collaborazione dello stesso autore, nel «Meridiano» edito nel 2016 a lui dedicato. Per agevolare la consultazione dei testi, le citazioni contenute all’interno del contributo saranno tratte, ove possibile, da questa edizione di riferimento (da ora abbreviata con la sigla M). Per i testi non contenu-ti all’interno della raccolta e per i riferimencontenu-ti ad altri autori si rinvia alla Bibliografia.
Come vedremo, è stato da più parti evidenziato come la presenza di Dante sia ampiamente rintrac-ciabile all’interno del corpus testuale celatiano. A tal proposito, credo sia possibile effettuare una distinzio-ne per individuare almeno tre diversi livelli di inter-testualità. In un movimento che idealmente procede dal riferimento più immediato a quello più mediato possiamo trovare, ad un primo livello, le citazioni più o meno dirette di passi tratti dalle opere di Dante, dal-la Vita nova, al Convivio, al De vulgari eloquentia, aldal-la Divina commedia. Ad un livello intermedio troviamo invece, all’interno dei testi di Celati, quelli che sono calchi e rielaborazioni di topoi, strutture e lessico tipi-camente danteschi. Infine, più esterni al testo sono gli
interventi e i commenti sull’opera di Dante contenuti in saggi e interviste dell’autore, interventi che testi-moniano l’influenza che il grande poeta ha avuto sulla sua vita, non solo in termini di debito letterario, ma anche umano.
Vorrei partire dal livello più interno, facendo solo qualche esempio per mettere in luce quanto diffu-se siano le citazioni dantesche nell’arco di tutta la produzione celatiana. Possiamo infatti servirci di una recente raccolta di racconti come Selve d’amore (2013), in cui troviamo citati numerosi passi della Vita nova1, così come del testo teatrale Recita dell’at-tore Vecchiatto (1996), in cui la citazione dal De vul-gari eloquentia «Nos cui mundus est patria» (I, VI, 3) vuole simboleggiare una sovrapposizione tra la figura dell’esule Dante e quella del vecchio attore dimentica-to e dedidimentica-to alla stesura di sonetti: «Viaggiadimentica-tore, vagò e visse d’accatto» (Celati 2014, pos 1241 di 1376), scri-ve infatti Vecchiatto in un suo sonetto autobiografico. Un passo del Convivio di Dante (I, 3) viene invece cita-to in esergo a Cinema naturale (2001), raccolta di rac-conti dalla lunga gestazione: l’immagine della nave in balìa del vento e delle onde, che per Dante è metafora della propria condizione di esule, viene da Celati uti-lizzata come la risposta che la sua raccolta di racconti darebbe qualora venisse interrogata sulla sua vita (M, p. 1271). In questa stessa raccolta troviamo un rac-conto intitolato “Storia della modella” (M, pp. 1418-1438), in cui il narratore protagonista tenta di spie-gare Dante al signor Fuzzi, dentista e facoltoso amico della modella impazzita, su sua espressa richiesta. Per quanto il signor Fuzzi ami mostrarsi desideroso di ap-prendere, però, il tempo scarseggia sempre fra partite di golf, uscite in barca e visite al club, e il protagonista può solo spiegargli pochissimi canti della Divina com-media. Qui i commenti sul testo dantesco costellano l’intero racconto.
Gli avrò spiegato trenta terzine, sì e no, non c’era mai tempo. Ma perché voleva studiare Dante? Per sfizio, era dentista, voleva mettere nel suo studio qualche verso famoso in una cornice dorata. […] Dopo due mesi che andavo a spiegargli Dante al sabato, eravamo ancora al terzo canto, appena dentro le porte dell’in-ferno, con le anime là che aspettano l’arrivo della nave di Caronte. Facevo dei riassunti svelti altrimenti non si andava avanti di un passo, ad esempio la spiaggia nell’aria scura, il tumulto delle anime che gridano e piangono, gli ignavi nudi con le vespe e i mosconi
1 «Vedendola sulla soglia della mia stanza, avrei potuto dire con Dante: “Apparuit iam beatitudo mea”. […] Ma è stato proprio un “incipit vita nova”, scritto nel libro della memoria, come dice Dante. […] E io mi dicevo, come Dante: “Ecce deus qui veniens dominabitur mihi”. […] e io mi dicevo con Dante: “Heu miser, quia…” eccetera eccetera» (M, p. 1700).
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che li pungono, le lacrime mescolate al sangue che gli scendono dal viso e sono raccolte a terra dai vermi. Tutto in riassunto, non c’era tempo di leggere. Ogni tanto il Fuzzi diceva: “Ah, bello questo”, poi doveva scappar via (M, pp. 1420-1421).
Il narratore riesce pian piano ad addentrarsi fino al primo cerchio dell’Inferno: «Credo fossimo arrivati all’incontro con i grandi poeti nell’aldilà, il nobile castello cerchiato da sette mura, la luminosa vita nel limbo», ma per il signor Fuzzi nessun passo sembra adatto da inserire nella sua cornice dorata, in mezzo a tutte quelle «grida e bestemmie degli ignavi contro Dio» (M, p. 1424). Dopo la sparizione della modella, il nostro narratore deve definitivamente interrompere le visite dai Fuzzi e solo con l’immaginazione potrà spingersi fino al canto V, desiderando con ardore di spiegare all’affascinante signora Fuzzi «la bella storia di Paolo e Francesca, le anime vaganti che volano come gru in fila gridando i loro lamenti, nel turbine dei venti contrari che non le lasciano mai sostare» (M, p. 1437). Se la figura del narratore si accosta in qual-che modo a quella di Dante, il gradino sociale cui ap-partengono gli altri personaggi del racconto sembra una sorta di inquietante oltretomba dantesco. L’am-biente in cui egli si trova a gravitare, tra tutti coloro che paiono essere stati «benedetti dal cielo» (M, pp. 1421, 1423 e 1426), poiché sempre riescono a dire e fare la cosa giusta, altro non è per lui che un «girone dell’umana specie» (M, pp. 1423 e 1437), un luogo po-polato da personaggi indistinti, confondibili l’uno con l’altro «come se fossero in penombra, tipo le anime di Dante» (M, p. 1425). Allo stesso modo l’amministra-tore Baruch, il responsabile incaricato di compilare il rapporto sulla storia della modella, è l’anello di con-tatto fra il narratore e un invisibile inquisitore mas-simo, la cui figura viene espressamente paragonata a quella di Cacciaguida2. Il racconto termina con una moderna immagine del giudizio finale: un consesso di giudici che a capo chino assegna le colpe in base alle decisioni prese dall’inquisitore massimo e le anime stanche dei mortali che, sedute su delle sedie, aspet-tano di sapere se ci sarà indulgenza in nome dell’amo-re supdell’amo-remo che era stato loro promesso.
Dopo l’esordio letterario del 1971, quando Comiche viene pubblicato per Einaudi nella collana «La ricerca letteraria» diretta da Davico Bonino, Sanguineti e Manganelli, Celati si dedica a tre romanzi intitolati Le avventure di Guizzardi, La banda dei sospiri e Luna-rio del paradiso. Nel 1989 questi «racconti lunghi» (Marcoaldi 1989) andranno a comporre la trilogia
2 «Io me lo figuravo come Cacciaguida, un’anima in uno sprazzo di luce. Chi? Cacciaguida, quello che Dante incontra nel paradiso, tipo un po’ da inquisitore» (M, p. 1438).
che prenderà il nome di Parlamenti buffi. Tale titolo si riferisce all’atto di tener parlamenti, ovvero con-versazioni, discorsi, convegni per raccontare storie o fare dei ragionamenti. E se questi ragionamenti son buffi meglio, perché, secondo l’autore, questo raccon-tare storie «è, sì, un semplice menar la lingua […], ma è anche il modo migliore per dimenticare le disgrazie della nostra vita» scherzandoci su (Ibid). E se i prota-gonisti sono in effetti immersi in un flusso di «verbi-gerazioni», termine spesso utilizzato da Celati, queste parole li guidano attraverso un percorso che in qual-che modo li eleva, ricalcando quella tripartizione qual-che caratterizza proprio la Divina commedia3:
Da giovane […] l’unico autore che riuscivo davvero a far mio era Dante, proprio perché potevo leggerlo a spizzichi e a bocconi... aiutato anche dal fatto che mio padre, un artigiano con nessun tipo di studi alle spal-le, recitava a memoria, chissà come, alcuni pezzi della Divina Commedia. Da qui l’idea, perseguita allora con arroganza giovanile, che l’unico modo di scrivere do-vesse rispondere per forza a questa triplice scansio-ne (inferno, purgatorio, paradiso). Proprio questo, in fondo, è il nucleo centrale delle tre diverse parti dei Parlamenti buffi. Ecco così in successione l’inferno del Guizzardi, istrione paranoico che attraversa in modo rocambolesco le infinite demenze della quotidianità; il purgatorio del piccolo Garibaldi, protagonista de La banda dei sospiri, che vive il suo approccio alla ses-sualità in una famiglia squinternata, concentrato di farneticazioni e infantilismi. E infine il Lunario del paradiso, storia di un viaggio d’iniziazione amorosa compiuto da un ragazzo perennemente oscillante tra l’ululato e la malinconia, prescelti a poli estremi del linguaggio (Marcoaldi 1989).
E già Calvino lo aveva scritto nel 1973 per il risvolto di copertina della prima edizione di Le avventure di Guizzardi4, che di «moderno viaggio dantesco» (cit. in M, p. 1736) si trattava, così come Celati lo
avreb-3 A tal proposito cfr. anche Spunta 2004, p. 65 e Lausten P.,
L’Abbandono del soggetto: un’analisi del soggetto narrato e quello narrante nell’opera di Gianni Celati, in «Revue Romane»,
37, 1 (2002), 105-32, p. 108.
4 «Andrà ricordato come diverse allusioni alla Commedia potessero riscontrarsi in Comiche e soprattutto in Guizzardi: si può seguire il filo di svenimenti e risvegli incantati, richiami al topos dell’indicibilità, similitudini come la seguente, “piuttosto navigando come una barchetta rotta che non affondi per la sua natura legnosa e proceda dondolando dai flutti portata in cullìo riposante non si sa dove” [in M con modifiche minime, p. 222], in cui Celati pare attuare una sintesi fra diverse reminiscen-ze dantesche […], per approdare a una chiara eco del XXXIII dell’Inferno, dove Danci si mette in salvo dai casigliani inferoci-ti, datisi al suo inseguimento, finendo su un camion di lordura: per effetto di una curva “scervellatissima” piomba “definitivo di testa e collo in quel vituperio delle genti di questa valanga di spazzatura” [in M p. 218]» (Iacoli 2011, pp. 87-88).
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be ribadito nella quarta di copertina dell’edizione del 1994: «Volevo scrivere una trilogia, con un Inferno, un Purgatorio e un Paradiso. […] Pensavo che in que-sta trilogia bisognava passare attraverso l’inferno e il purgatorio, per smetterla una buona volta con tutte le lamentele sulla vita» (cit. in M, p. 1737). Un percorso che è una sorta di purificazione dunque, di espiazione di quel grande peccato che è lamentarsi dell’esistenza.
E infatti quando arriviamo al paradiso, stavolta aper-tamente esplicitato nel titolo, esso si presenta come una sorta di rinascita, portando con sé un rimando ad un’altra opera di Dante. Secondo Celati si dovrebbe «scrivere storie cadendo in uno stato di dormiveglia, per dimenticarsi tutto e trovare così la strada verso una “vita nova” – come avverrà nel terzo libro, Lu-nario del paradiso» (cit. in M, p. 1738). Occorre qui una breve precisazione sull’edizione di riferimento, poiché il testo ha subito notevoli modifiche nel corso degli anni. È in particolare nelle ultime due edizioni (1989 e 1996) che il protagonista assume i tratti di un appassionato studente, che spesso e apertamente cita Dante5. Edizioni in cui sono presenti «molti rimandi espliciti a una sorta di cammino d’elevazione […] per sottolineare il passaggio dalla comicità giullaresca di Guizzardi all’“impresa dello spirito” guidata dall’ispirazione amorosa, sulla falsariga dell’itinerario dantesco» (M, p. 1749) e in cui troviamo anche un lessico dalle «forme più apertamente stilnovistiche» (Camilletti 2016, p. 5), soprattutto per quanto riguar-da la descrizione del sentimento provato per la ragaz-za amata, figura in cui il protagonista desidera «tra-smutarsi», in un vero e proprio «rapimento gaudioso» (M, p. 537).
In un altro senso vicina alla Commedia è anche la prima raccolta di racconti di Celati, pubblicata dopo un silenzio editoriale durato sette anni. Si tratta di Narratori delle pianure (1985), che apre con la bel-lissima dedica: «A quelli che mi hanno raccontato sto-rie, molte delle quali sono qui trascritte» (M, p. 733). La struttura narrativa di questo testo deriva proprio dall’incontro e dal dialogo con altri: ad ogni incontro corrisponde un racconto o, in altri termini, «spunta-no voci da tutte le parti, e certe volte due frasi so«spunta-no già racconti», dice Celati stavolta riferendosi a Dante (Celati 2011, p. 42). E anche se in Dante le voci sono moltissime, essendoci un «insorgere di voci e suoni
5 «Con la faccia di Antje che avevo visto, attrazione fenomenale, ci facevo sogni d’amore, come Dante e la vita nuova» (M, p. 513). E ancora, numerosi sono i passi in cui il poeta viene nominato: «Dante, Tristano e Isotta, Chaucer, il Roman de la rose» (M, p. 571); «Goethe, Heine, Baudelaire, Shakespeare e Dante» (M, p. 650); «Dante Petrarca Boccaccio» (M, p. 671); «Shakespeare, Dante, Tasso, Cervantes, Pickwick, Stendhal, eccetera» (M, p. 676).
da tutte le parti, e dunque una musica, un cosmo, uno spazio pieno», mentre in Celati i toni sono minori e il meraviglioso ridotto ad un’«infinita miseria» (cit. in Iacoli 2011, p. 82), secondo la sua poetica lo scrittore non può fare altro che disporsi all’ascolto: ascoltare queste voci, come nell’aldilà dantesco, e raccontare ciò che è già stato detto.
Siamo ampiamente entrati nel terzo livello di ri-ferimenti con i commenti di Celati su Dante, ma già avevamo avuto modo di intravederlo nell’incipit della citazione tratta dall’intervista di Marcoaldi (1989). I riferimenti dell’autore all’amore del proprio padre per Dante sono infatti costanti. Anche in una conver-sazione avuta con Massimo Rizzante nel 2005, Celati diceva: «Io vengo da una famiglia con un padre che a tavola recitava Ariosto o Dante, e considerava il suo massimo patrimonio uno scaffale di classici italiani6» (Rizzante 2017, p. 76). Questa passione è dunque quasi un’eredità o quanto meno un bagaglio cultu-rale che Celati porta con sé fin dall’infanzia. L’ammi-razione per la lingua di Dante è stata anche espressa dall’autore in un’intervista rilasciata nel 1995, poco dopo l’uscita della riscrittura in prosa di un altro im-prescindibile classico come l’Orlando innamorato di Boiardo. Si tratta di un articolo sull’importanza e gli effetti benefici (se non addirittura curativi) della lettura e della rilettura dei classici, in cui la lingua di Dante viene definita «una lingua che si estende a tutti i dialetti e tutte le acquisizioni, dove non c’è ancora la differenza che noi facciamo fra lingua scritta e lin-gua orale, tra linlin-gua alta e linlin-gua bassa» (Celati 1995, p.11): insomma un meraviglioso esempio di italiano unificato che Celati cerca di replicare nella sua nar-rativa. Una lingua che possa diventare fisica e corpo-rea, una lingua che possa rendersi visibile. A questo proposito, sia Rebecca West (2000, pp. 91-92) che Marina Spunta (2004, pp. 65-66) citano un passo del Purgatorio in cui Dante esprime con una sinestesia la sintesi tanto ambita fra linguaggio e immagine. Si tratta della nozione di letteratura come visione che è propria di Dante e che viene espressa con quel «vi-sibile parlare» (Pg., X, v. 95) che descrive l’assoluto realismo dei bassorilievi che il poeta si trova davanti, tale da confondere i sensi e far sì che i dialoghi pos-sano essere addirittura visti con gli occhi. Letteratu-ra come esperienza sensoriale completa dunque, che coinvolga sia la vista che l’udito, poiché la lettura di un testo (da fare idealmente ad alta voce) dovrebbe proiettare anche un’immagine del suo contenuto
nel-6 Trasposizione letteraria di questo padre amante dei classici è evidentemente il padre del protagonista di Lunario del
paradiso, il quale infatti «leggeva tanti libri […], aveva la sua
biblioteca con Dante, Petrarca e Ariosto, e gli piaceva scrivere lettere in stile magno» (M., p. 506).
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la mente del lettore. Importante qui ricordare che le immagini proiettate nella mente di Dante in un altro canto del Purgatorio fanno da apertura ad una delle lezioni americane di Calvino, sodale e amico di Celati. Si tratta di Visibilità, in cui il famoso verso «Poi piovve dentro a l’alta fantasia» (Pg., XVII, v. 25) viene citato per spiegare come le immagini si formino direttamen-te nella mendirettamen-te del poeta, a mo’ di pioggia che cade su di lui per volere divino. Si tratta del tentativo di Dante di definire l’immaginazione, l’«alta fantasia» appunto, che Calvino paragona ad immagini cinematografiche, ad un vero e proprio «“cinema mentale” dell’imma-ginazione» (Calvino 1993, p. 93). Questa metafora si ritrova nel titolo della già citata raccolta di raccon-ti di Celaraccon-ti Cinema naturale, nel cui esergo l’autore sottolinea che «scrivendo o leggendo dei racconti si vedono paesaggi, si vedono figure, si sentono voci: è un cinema naturale della mente» (M, p. 1271). Molto è già stato detto sul concetto di «fantasticazione» in Celati, termine che sembrerebbe coniato dalla fusione di fantasia e immaginazione e che giunge allo scrit-tore dal De anima di Aristotele, passando attraverso Giambattista Vico7. Termine fondamentale per la sua poetica, in quanto solo attraverso la «fantasticazione» è possibile la letteratura8. Basti qui evidenziare come l’autore ambisca a collegare, in un doppio movimento, la parola e l’immagine: il lavoro letterario (o forse più in generale quello artistico) deve derivare da un dia-logo costante con altri e con la tradizione, senza che esso si riduca ad un prodotto di autori separati. Dal già detto, dalla parola, dalla voce (da quella che Celati spesso definisce «prosa del mondo»), lo scrittore può iniziare a porsi domande, immaginare, fantasticare, traendo ispirazione per il proprio lavoro e generando un’opera che non farà altro che creare nuove immagi-ni nella sua mente e in quelle dei lettori, immagiimmagi-ni tali da rendere superfluo anche il cinema americano.
Bibliografia
Calvino I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Mondadori, 1993.
Camilletti F., Vitae novae per la modernità: stilno-vismo ed erranza del desiderio in Delfini e Celati, in «The Italianist», 36, 2016, pp. 1-17.
Celati G., Conversazioni del vento volatore, Macerata, Quodlibet, 2011.
Celati G., Recita dell’attore Vecchiatto, Milano, Feltri-nelli, 2014, versione ebook.
7 A tal proposito si rimanda al volume di Rorato L. e Spunta M. (a cura di), Letteratura come fantasticazione, Lewiston, The Edwin Mellen Press, 2009.
8 Vedi in particolare il Dialogo sulla fantasia con Massimo Riz-zante del 2005, la cui ultima pubblicazione col titolo Sulla
fanta-sia si trova in Celati 2011, pp. 70-80.
Celati G., Romanzi, cronache e racconti, a cura di Bel-politi M. e Palmieri N., Milano, I Meridiani Mondadori,