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Ostacoli e difficoltà per il made in Italy agroalimentare nel mercato

Nel documento Gentes - anno V numero 5 - dicembre 2018 (pagine 179-187)

Il made in Italy agroalimentare in Cina tra potenzialità e

4. Ostacoli e difficoltà per il made in Italy agroalimentare nel mercato

cine-se

Nel quadro appena delineato, che mette in luce le ri-levanti opportunità di crescita per le imprese italiane del comparto agroalimentare interessate ad investire in Cina, è importante tuttavia sottolineare la presenza di fattori di criticità che agiscono da limitatori, tuttora, all’affermazione dei prodotti agroalimentari italiani nel mercato cinese. Tra questi vanno ricordati: il forte legame della popolazione locale con le proprie tradi-zioni gastronomiche; la presenza di barriere tariffarie e non tariffarie; le restrizioni sanitarie e i divieti asso-luti; le procedure amministrative onerose e dall’esito incerto; le certificazioni complesse; il sistema di auto-rizzazioni frammentario e stratificato; l’insufficienza dei canali distributivi locali; la scarsa conoscenza del sistema cinese da parte delle imprese italiane; feno-meni di contraffazione e italian sounding; l’assenza di catene della distribuzione italiane nonché la scarsa presenza di strutture alberghiere italiane.

Come già osservato, nell’alimentazione e nelle abi-tudini culinarie i cinesi hanno una delle più ricche e antiche tradizioni al mondo, di cui vanno molto fieri, che la rendono apprezzata anche all’estero. Il forte legame della popolazione locale con le proprie tradi-zioni gastronomiche, oltre a comportare, per le im-prese agroalimentari italiane, un’intensa attività di promozione, informazione e educazione al prodotto, fa sì che il diffondersi della cucina italiana in Cina non potrà mai sostituire le tradizioni alimentari locali. In altri termini, anche se nell’attuale contesto cinese la cucina italiana suscita un certo interesse per le sue proprietà salutari e per il bisogno di affermare un traguardo sociale, è tuttavia inverosimile che queste tendenze possano diventare un modello alimentare di massa.

Di qui la necessità, nell’approcciare il mercato ci-nese, di calarsi nella cultura locale, comprenderne le tradizioni e, successivamente, proporre i piatti italiani come alternativi e diversamente apprezzabili.

Nondimeno, i fattori che, ad oggi, più di tutti limi-tano l’esportazione e la distribuzione dei prodotti agroalimentari esteri in Cina sono rappresentati dalle barriere di natura tariffaria e non, che incidono signi-ficativamente sui costi, e spesso costituiscono degli ostacoli per le imprese, specie se di piccole dimensio-ni, che non riescono a sostenere lo sforzo

organizzati-vo necessario per superarli.

Anche se negli anni, in particolare dall’ingresso della Cina nel World Trade Organization (WTO), i dazi sono decisamente diminuiti, questi se sommati alla Value

Added Tax (VAT) continuano ad incidere in maniera

apprezzabile sul prezzo finale dei prodotti, scorag-giando l’acquisto dei prodotti importati da parte dei consumatori cinesi.

Un ulteriore fattore che limita la presenza di prodot-ti agroalimentari italiani (soprattutto quelli freschi) nel mercato cinese è la presenza di divieti assoluti all’importazione di alcune categorie di prodotti per ragioni sanitarie.

In Cina, infatti, ad oggi è vietata l’importazione dall’I-talia di tutti i prodotti ortofrutticoli freschi (ad ecce-zione dei kiwi, la cui importaecce-zione è ormai ammessa da qualsiasi regione italiana di provenienza, e degli agrumi, i cui negoziati bilateriali si sono conclusi po-sitivamente solo di recente); delle carni di origine bo-vina; delle carni di origine suina fresche e stagionate (ad eccezione dei prosciutti San Daniele e Parma, la cui esclusione dal divieto di importazione è il risulta-to di un negoziarisulta-to tra Italia e Cina durarisulta-to nove anni); delle carni di origine ovina e aviaria (Ice 2016, p. 3).

Oltre ai suddetti divieti di esportazione, in Cina sono presenti delle difficoltà e degli ostacoli all’importa-zione di alcune categorie di prodotto (acque mine-rali, riso, farine, kiwi, ecc.), causati spesso dalla non completa concordanza tra alcuni standard europei e cinesi e da una equivoca interpretazione della docu-mentazione da parte delle autorità doganali.

Va pure rilevato che, oltre ai dazi, ai divieti assoluti e agli ostacoli all’importazione, la procedura che re-gola l’importazione di prodotti agroalimentari in Cina è molto dettagliata e piuttosto macchinosa. L’azienda agroalimentare italiana che intenda vendere i propri prodotti in Cina, oltre a doversi obbligatoriamente re-gistrare sul sito della General Administration of

Qua-lity Supervision, Inspection and Quarantine (AQSIQ),

deve provvedere a fornire alle autorità cinesi un com-plesso di documenti (Ice 2016, p. 6): contratto di ven-dita o conferma dell’ordine; fattura; packing list;

car-go manifest; polizza di carico (bill of lading); avviso di

spedizione (dallo spedizioniere all’importatore); cer-tificato d’origine; cercer-tificato sanitario per l’esporta-zione; campione dell’etichetta conforme alla norma-tiva cinese; copie di campione dell’etichetta tradotte in cinese; certificato fitosanitario (richiesto anche per gli imballaggi in legno). Peraltro, l’etichettatu-ra dei prodotti agroalimentari importati in Cina, che deve contenere una serie di informazioni essenziali in lingua cinese, è oggetto di un minuzioso controllo da parte delle autorità doganali e il minimo errore può provocare il blocco dei prodotti (Ice 2016, p. 8).

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In merito a tutto ciò, è possibile affermare, in defi-nitiva, che l’ostacolo maggiore nell’esportare in Cina è strettamente connesso agli aspetti doganali per di-versi motivi: perché spesso la documentazione o l’e-tichetta è interpretata in maniera equivoca dalle au-torità doganali; perché i controlli e le ispezioni delle autorità doganali sono sempre più stretti alla precisa applicazione della normativa cinese, e questo provoca ritardi e lunghi tempi di sdoganamento, che nel caso dei prodotti agroalimentari possono causare il dete-rioramento della merce stessa; perché esiste un com-plesso sistema di regole non scritte, conoscenze e fa-voritismi (guanxi) che dettano, nella realtà operativa, le attività doganali.

Da quanto sopra esposto, è facile intuire l’importan-za che assume, per le imprese italiane intenzionate a esportare in Cina, l’attenta analisi delle problemati-cità doganali e l’individuazione dell’importatore più adatto.

A questo proposito, e nell’ambito delle pur ampie problematiche evidenziate, va rilevato che in Cina l’importazione, la distribuzione e il consumo di pro-dotti agroalimentari stranieri è un fenomeno relativa-mente recente, e ancora non si sono realizzati canali distributivi adeguati alle dimensioni del mercato ov-vero non esiste ancora un network sviluppato e pro-fessionale di importatori-distributori tale da poter so-stenere efficacemente l’offerta dei prodotti stranieri. Evidentemente tutto ciò rende assai difficile per l’im-presa italiana l’approccio al mercato cinese, dovendo farsi carico di tutta una serie di attività necessarie alla penetrazione del prodotto nel mercato.

Per di più la scarsa conoscenza del sistema cinese da parte delle imprese italiane, e delle caratteristiche del mercato locale, che richiede elevati investimenti, un forte impegno operativo, e obbliga ad attendere come minimo due o tre anni per vedere i primi risul-tati economici positivi, frenano notevolmente le ini-ziative imprenditoriali tese ad approcciare il difficile mercato cinese.

Non va peraltro sottovalutata l’assenza di catene alberghiere e della grande distribuzione italiane in Cina, che rappresenta un importante limite alla pe-netrazione dei prodotti agroalimentari italiani, co-stringendo le imprese italiane a indirizzare la propria offerta prevalentemente al canale Ho.Re.Ca.

(Hotel-lerie-Restaurant-Café) e, nello specifico, ai ristoranti

italiani in Cina.

Seppur la ristorazione in Cina sia una realtà già af-fermata e in continuo sviluppo, storica apripista della cucina italiana all’estero, questa presenta, tuttavia, dei vantaggi e degli svantaggi che giova approfondire.

Per quanto attiene i vantaggi e relativamente al biso-gno d’affermazione dello status sociale da parte della

nuova classe benestante cinese, è possibile osservare come il prodotto “cena fuori in un ristorante italia-no” sia indubbiamente più ostentabile dell’acquisto al supermercato di prodotti italiani. Per di più, data la scarsa educazione al corretto modo di cucinare ita-liano, il consumatore cinese nel ristorante italiano ha la possibilità di mangiare italiano senza dover saper come cucinarlo. In merito poi ad alcuni prodotti di nicchia (ad esempio i tartufi ma anche il grana pada-no e il prosciutto di Parma) la ristorazione è un canale rilevante per far conoscere il prodotto nei modi cor-retti.

Tuttavia, a fronte di questi vantaggi, c’è il grande rischio che il giro d’affari dell’impresa italiana re-sti circoscritto alla sola realtà del ristorante al quale l’offerta è indirizzata. In altri termini, il consumatore cinese non può giovarsi di una conoscenza della cuci-na italiacuci-na tale da permettergli di capire la corrispon-denza che esiste tra il piatto del ristorante italiano e i prodotti agroalimentari italiani proposti dalla grande distribuzione organizzata. Quindi, sebbene il cliente cinese ravvisi il valore dei prodotti agroalimentari ita-liani proposti al ristorante, non sarà poi in grado di riconoscerli nel supermercato, e quindi, molto proba-bilmente, non procederà all’acquisto.

In questo quadro, che sottolinea le criticità per il made in Italy agroalimentare, non è possibile, infine, sottacere la presenza di una minaccia particolarmente rilevante, come più volte ribadito, rappresentata dalla contraffazione alimentare e dall’italian sounding, che ostacolano la diffusione del made in Italy e rendono ancora più complesso per le imprese agroalimentari italiane l’ingresso in un mercato già caratterizzato da una cultura alimentare molto antica e radicata.

Invero, la contraffazione alimentare e il fenomeno dell’italian sounding, rappresentano un ostacolo par-ticolarmente forte alla diffusione del vero made in

Italy agroalimentare per diversi motivi. In primo

luo-go, perché in Cina il prodotto agroalimentare contraf-fatto ha anticipato la penetrazione di quello originale, e quindi il primo approccio del consumatore cinese è stato verso un “falso” prodotto agroalimentare italia-no, e ciò potrebbe aver distorto le percezioni sulla cu-cina italiana. In secondo luogo, perché il consumatore cinese non possiede una cultura dei prodotti agroali-mentari italiani tale da consentirgli di distinguere il prodotto contraffatto da quello vero, e ciò fa sì che il falso made in Italy sottragga spazio di mercato al pro-dotto autentico, frutto di tecniche di lavoro artigiana-le e di tradizioni fortemente artigiana-legate al territorio. Infine, c’è il rischio che si radichino nelle abitudini dei con-sumatori cinesi gusti e prodotti che poco hanno a che fare con il vero made in Italy agroalimentare.

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azioni volte a frenare i summenzionati fenomeni, sem-bra utile evidenziare, in ultima analisi, che la contraf-fazione alimentare e l’italian sounding in Cina devono essere combattuti, oltre che con gli strumenti norma-tivi, anche e soprattutto attraverso l’informazione, l’e-ducazione e la promozione dei prodotti agroalimenta-ri italiani autentici, per mettere il consumatore cinese nelle condizioni di saper distinguere autonomamente il prodotto italiano autentico da quello falso.

5. Fattori critici di successo e riflessioni conclusive

Nel quadro conoscitivo piuttosto articolato emerso dalla disamina circa le criticità e le opportunità offer-te dal mercato cinese nel comparto agroalimentare, è possibile identificare i fattori critici di successo da presidiare nell’accesso e nelle scelte distributive.

Evidentemente la comprensione del mercato cinese e dei suoi consumatori è il primo passo per definire la strategia più confacente per far pervenire i prodotti agroalimentari italiani ai consumatori cinesi. La com-prensione dei desiderata di un consumatore polie-drico, che non ha ancora affinato del tutto il proprio gusto, che acquista primariamente per ostentare la propria ricchezza e per acquisire uno status, che vive quotidianamente un conflitto tra la voglia di moderni-tà e l’attaccamento alle proprie radici, diventa senz’al-tro una priorità strategica per competere con succes-so in un mercato complessucces-so come la Cina. Considerate le peculiarità del mercato cinese, alcuni Autori sugge-riscono la strategia “position non locally, act locally”. Si tratterebbe di mantenere l’immagine occidentale per soddisfare i bisogni emozionali e identitari del con-sumatore cinese, e realizzare, nello stesso tempo, un forte adattamento delle strategie e politiche di marke-ting alle specificità culturali locali (Cfr. Vescovi, Trevi-siol 2011, pp. 501-502).

Se le imprese italiane saranno in grado di declina-re l’offerta nelle sue diverse componenti di prodotto, comunicazione, distribuzione e prezzo, creando un collegamento culturale tra l’Italia e la Cina, esaltando il made in Italy, ricco di connotati simbolici, nel “ri-spetto” dei valori cinesi, le opportunità che potranno dischiudersi per il comparto agroalimentare saranno significative.

Il tema del rispetto delle peculiarità culturali e delle tradizioni locali rappresenta, invero, un elemento ri-levante quando ci si riferisce a un mercato così lonta-no culturalmente e strutturalmente come la Cina.

La comprensione e l’avvicinamento alla cultura lo-cale, nell’ottica del consumatore, sono tra i più im-portanti fattori critici di successo nel mercato cinese. Pertanto, l’affermazione del made in Italy in un mer-cato come quello cinese, caratterizzato da un’identità culturale forte e pregnante, da valori profondi e

radi-cati, da una tradizione culinaria millenaria, richiede una capacità di adattamento culturale che non può prescindere da una puntuale conoscenza del Paese e delle sue caratteristiche.

Un altro aspetto da non trascurare è, peraltro, la centralità della relazione, la cui gestione è indispen-sabile per favorire l’entrata e lo sviluppo nel mercato cinese. È fondamentale che l’impresa sia in grado di costruirsi una rete di relazioni, che entri a far parte di un efficiente network distributivo, avvalendosi di partner, locali e non, affidabili, non sottovalutando le tipiche relazioni sociali e economiche cinesi, meglio note come guanxi. Giova anche sottolineare come la scelta di un partner, che già lavora con imprese stra-niere, capace di interfacciarsi con gli interlocutori esteri, che mostra una cultura aperta e internazionale, rappresenti un fattore critico di successo da prendere in considerazione.

Sulla base di quanto osservato, è possibile affermare come la distribuzione rappresenti un fattore rilevante in un mercato immenso e differenziato come quello cinese, non solo per rendere disponibili e accessibili i prodotti ai consumatori, ma anche come modalità di costruzione e comunicazione del valore di marca. Va da sé che nel comparto agroalimentare la variabile di-stributiva, e, nello specifico, il controllo del prodotto fino al momento dell’acquisto nel punto vendita, co-stituisce un fattore critico di successo (Cristini e Lugli, 2007). E le ragioni di ciò vanno ricercate proprio nel potenziale ruolo dei punti vendita in termini di comu-nicazione, che rappresenta una delle leve principali per gestire efficacemente l’entrata e la presenza in Cina (Vescovi 2011, p. 131). D’altronde, i consumatori cinesi sono alquanto influenzati, nelle decisioni d’ac-quisto, proprio dai rivenditori, che diventano pertan-to indispensabili nel successo del brand, specialmente quando occorre farlo conoscere e valorizzarlo.

I prodotti alimentari italiani possono arrivare al mercato finale sia attraverso il canale off-trade, costi-tuito dai punti vendita del commercio al dettaglio, sia attraverso il canale on-trade o canale Ho.Re.Ca. (Ho-tellerie-Restaurant-Café), con consumo diretto nel luogo di somministrazione, come bar e ristoranti.

È utile osservare, nell’ambito del primo canale, come rilevato da alcune ricerche, che la parte dell’offerta e della comunicazione collegata ai punti vendita rap-presenta spesso un punto di debolezza delle imprese italiane sul mercato cinese (Cfr. Vianelli et alii 2012, p. 226). I motivi vanno ricercati non solo nella dimensio-ne del mercato cidimensio-nese, che richiede investimenti mol-to elevati, spesso non affrontabili dalle PMI italiane, ma anche nella cronica debolezza e mancanza d’in-ternazionalità del sistema della grande distribuzione italiana, incapace di promuovere prodotti nazionali

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come invece riescono a fare, ad esempio, i competitor francesi e tedeschi. Difatti, per i prodotti agroalimen-tari, si nota che la distribuzione nel mercato cinese è appannaggio – oltre che delle catene di vendita al dettaglio locali – di quelle francesi, tedesche, ameri-cane o australiane, “che evidentemente non hanno un interesse specifico a promuovere i prodotti italiani” (Bertoli, Resciniti 2013, p. 26).

Tuttavia, per competere con successo nel difficile e dinamico mercato cinese, sono fattori critici, sia il costante controllo del canale distributivo da parte dell’impresa, sia la ricerca del rapporto con il consu-matore finale, in modo d’accrescere la conoscenza dei prodotti made in Italy e favorire, attraverso strategie di comunicazione pull, anche il sell out. La conoscenza del prodotto e la formazione del personale di vendi-ta costituiscono quindi le variabili chiave che, se ben gestite, potrebbero contribuire a un’effettiva valoriz-zazione del made in Italy nel mercato cinese. Queste stesse variabili sono particolarmente critiche anche nella gestione del canale on-trade, che per molte im-prese del made in Italy diventa la via privilegiata non solo per distribuire prodotti, ma anche e soprattutto diffondere stili di vita e di consumo.

Ad esempio, per quanto riguarda il vino, la cui distri-buzione in Cina è prevalentemente destinata al canale

on-trade, negli ultimi anni a Shanghai e nelle altre

cit-tà di primo livello hanno iniziato a svilupparsi molti

Wine shop, specializzati nella vendita di vini

d’impor-tazione.

Si tratta di una particolare evoluzione del punto vendita (wine concept store, coffee shop, ecc.), che si trasforma in punto di esperienza, facendo leva non unicamente sul prodotto, ma su un insieme di stimoli polisensoriali, generati mediante l’atmosfera del pun-to vendita. Pertanpun-to, il prodotpun-to diventa il mezzo per un’offerta più ampia, che tenta di valorizzare princi-palmente il concetto di esperienza per il consumato-re, in una logica di marketing esperienziale (Pine e Gilmore, 2000), nel cui ambito il punto vendita riveste un ruolo specifico nell’influenzare il comportamento del consumatore.

Sulla base di quanto finora esposto, è possibile os-servare che la principale sfida, che le imprese italiane si trovano a dover fronteggiare, è di tipo culturale, e risiede nella difficoltà di far percepire al mercato ci-nese l’elevato valore intrinseco dei prodotti made in

Italy. In altri termini, il “saper fare” distintivo del

pro-dotto italiano deve essere “fatto sapere” in maniera appropriata, promuovendo soprattutto la conoscenza e la competenza d’uso dello stesso.

Quindi, il fatto che il consumatore cinese non abbia maturato la competenza necessaria per distinguere e valutare le caratteristiche intrinseche dei prodotti,

come qualità e gusto, dovrebbe condurre gli operatori del comparto agroalimentare a considerare le logiche di marketing esperienziale, per quanto attiene le leve distribuzione e comunicazione, come fattore critico di successo per crescere nel mercato cinese. La sfida è fondamentalmente connessa alla capacità di creare, anche mediante la formazione di una classe di profes-sionisti del settore, un vissuto del prodotto che arric-chisca le tradizioni culinarie cinesi con il valore, l’arte e il piacere del cibo italiano.

In definitiva, logiche esperienziali e affermazione di un italian style nel rispetto della cultura locale sem-brano costituire il punto di riferimento per una stra-tegia di successo.

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