Capitolo 3 La scrittura di sé come cura e spazio per prendersi cura
3.2 Scrivere di sé oggi: la scrittura come cura
3.2.2 Di “cura” e di “scrittura”
Le pratiche di carattere auto-formativo e di cura di sé non costituiscono certo una novità del nostro tempo ma “appartengono a una tradizione antica, che risale alle origini stesse della cultura occidentale ed è evoluta con essa”163, spiega sempre
Formenti. Pensiamo al motto “conosci te stesso”, alla nascita e sviluppo della psicanalisi o alla valenza pedagogica di metodi e tecniche formative nell’educazione degli adulti. La stretta relazione tra sviluppo di sé e pratiche introspettive ha radici lontane e ci accompagna anche oggi.
161 Batini F. e Zaccaria R., Per un orientamento narrativo, Franco Angeli, Milano 2000, pag. 22, citato in Santini
V., Il metodo autobiografico come intervento formativo sull’anziano istituzionalizzato, articolo annesso al report di una ricerca condotta in una casa di riposo, disponibile in rete all’indirizzo http://nuke.netapprendere.it/LinkClick.aspx?fileticket=nRdIPpEO%2B7c%3D&tabid=61&mid=386 (ultima cons. 4/10/2015), sito citato.
162 Formenti L., Una metodologia autonarrativa per il lavoro sociale, in Animazione Sociale, n. 12, Dicembre 2003,
pagg. 29-41.
163 Formenti L, La formazione autobiografica: confronti tra modelli e riflessioni, tra teoria e prassi, Guerini Studio,
58
La corrispondenza intima, i diari, i monologhi interiori, le scritture personali non costituiscono solo mezzi di autoconoscenza, ma dei veri e propri strumenti epistemologici di autocostruzione del soggetto, sostiene l’esperta. È riduttivo considerare queste forme introspettive delle mere tecniche fine a sé stesse; potremmo, suggerisce, definirle in senso meno utilitaristico alla stregua di Foucault delle tecnologie, ovvero delle “matrici di ragion pratica”164.
È stato Michel Foucault165, spiega il pedagogista Franco Cambi, a riaccendere l’attenzione sulla cura di sé con i suoi studi sull’età ellenistica. Il concetto, infatti, era fondamentale per lo sviluppo della saggezza in quell’epoca lontana: le filosofie ellenistiche, in particolare platonici, epicurei, stoici ne rappresentano degli esponenti.
L’attenzione all’occuparsi di sé stesso è stata fin da subito considerata una pratica che
richiede sacrifici, compiti pratici, meditazioni, appunti, letture.
Nel mondo romano, con Epitteto, Marco Aurelio, viene ugualmente coltivato il pensiero per la cura di sé puntando al legame tra virtù e ascesi. La parresìa, ovvero il movimento di dirigersi verso sé stessi, ci spiega Cambi, rappresenta in quell’epoca una forma di scavo interiore finalizzata ad un maggior controllo razionale, al dominio di sé e delle proprie emozioni.
Dal Cristianesimo in poi la cura sui (cura di sé) diviene fondamentale per la crescita spirituale di ognuno avvicinando il concetto a quello di trascendenza.
L’occuparsi di sé stesso è un principio che attraversa le epoche storiche: continua ad essere presente nel medioevo, lo troviamo nell’età moderna e nel Rinascimento (si pensi a Montaigne) giungendo fino ai giorni nostri, per dirlo con le parole di Cambi, con una “triplice valenza: psicologica, etica, educativa”166.
Secondo Foucault l’uomo contemporaneo ricorre alla cura di sé stesso per affrontare le crisi, per coltivare la propria identità e/o per ritrovarla. Il filosofo, in estrema sintesi, sostiene una visione ermeneutica dell’uomo di oggi, in continua ricerca e tensione tra quelli che sono i mezzi di dominio esercitati dagli impianti del sapere e le
tecnologie del sé, strumenti che egli ha a disposizione durante l’esperienza di vita.
Nell’analisi dell’evoluzione dei sistemi di pensiero e delle modalità di autoconoscenza umana Foucault individua, per l’appunto, diverse tecnologie167: quelle volte a trasformare, manipolare, produrre oggetti; quelle dei segni, dei simboli e dei significati; quelle che hanno il potere di regolare i comportamenti e le condotte
164 Ibidem, pag. 33. (L’autrice qui si riferisce al pensiero del filosofo ermeneutico Michel Foucault). 165 Cambi F., La cura di sé come processo formativo, Laterza, Roma, 2010, pagg. 83-85.
166 Ibidem, pag. 84.
167 Portis L., Le metodologie autobiografiche, articolo disponibile sul sito dell’associazione AIMC di Asti:
http://www.aimcasti.it/pag-formazione/materiali/elogio-
margine/laboratori/autobiografia/Le%20metodologie%20autobiografiche.pdf (ultima cons. 02/08/2015), sito citato.
59
umane ed infine, le tecnologie del sé, che consentono alle persone, per proprio conto o con l’aiuto di altri, di realizzare delle modificazioni, delle trasformazioni nel proprio corpo o nell’anima, al fine di ottenere felicità, saggezza, perfezione.
La scrittura autobiografica appartiene certamente alle tecnologie di tipo simbolico in quanto utilizza il medium linguistico, ma rientra a pieno titolo tra le tecnologie del sé, in quanto “permette agli individui di riflettere sul proprio operato e sulle proprie azioni e di compiere operazioni sui propri pensieri e sulla propria anima e ancor più di trasformarsi”168. Le tecnologie del sé rappresentano dei procedimenti per cui un adulto diviene soggetto cosciente che riflette, si occupa di sé stesso: tra queste si annovera la scrittura autobiografica.
Scrivere, in autobiografia, è cura in quanto rappresenta un mezzo pedagogico per prendersi cura della propria esperienza di vita. Ma cura intesa in che senso?
Se nella lingua italiana esiste una sola parola per definire in modo generico il concetto di cura169, in inglese troviamo due termini che si riferiscono a due diverse accezioni. Il termine care che indica il prendersi cura, e quello cure per definire la cura come guarigione, terapia. La cura apportata dalla scrittura autobiografica è più vicina al primo di questi significati e va nel senso di occuparsi di qualcosa con attenzione. L’espressione greca epimeleisthai heautou, ricorrente nei testi che hanno per oggetto la prospettiva autobiografica, vuole proprio significare occuparsi di sé stessi e averne
cura. In particolare epimeleisthai, la parola che indica cura - fa notare Lucia Portis
nell’articolo testé citato - si usa per riferirsi al contadino che segue e coltiva i suoi campi o al re che si occupa della città e dei suoi abitanti o del medico che prende in carico un paziente. Attraverso questo significato si intuisce come la cura sia fatta di
azioni concrete e non rappresenti un pensiero astratto. La stessa pratica di scrivere
come cura di sé è un’attività che richiede esercizi precisi, e come tecnologia del sé, esige serietà, impegno, necessita di tempo per sé stessi.
Cura di sé, quindi, intesa come cura della propria identità170; l’attenzione a
prendersi cura della propria storia per star bene con sé stessi.
168 Portis L., op. cit., pag. 1.
169 Formenti L. (a cura di) Attraversare la cura. Relazioni, contesti e pratiche della scrittura di sé, Centro Studi Erickson, 2oo9, pag. 50.
170 Oliver Sacks, famoso neurologo recentemente scomparso, in una sua famosa opera a tal proposito esclama: "Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità, il cui senso, è la nostra vita, ognuno di noi costruisce e vive un racconto, […] questo racconto è noi stessi, la nostra identità. Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi, possedere, se necessario ripossedere, la storia del nostro vissuto […] l'uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé”, tratto da: Sacks O., L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Milano, Adelphi, 1986, pagg.153-154, in Schettini B., La pratica autobiografica come cura di sé lungo il corso della vita, abstract disponibile inhttp://www.didaweb.net/risorse/scheda.php?id=2979, (ultima cons. 4/10/2015).
60
L’autobiografia, rispondendo alla profonda domanda ‘chi sono?’ mira a mettere in
risalto la singolarità e la specificità di ogni persona, la cui storia è il frutto di tutte le
esperienze compiute, sentite, vissute. Alla domanda ‘cosa sono?’, ognuno di noi potrebbe rispondere, per contro, elencando ruoli, qualità, abilità, senza dire nulla della propria interiorità.
Quello che viene raccontato in un testo autobiografico è la storia di una persona la cui identità è unica e irripetibile, sostiene Hannah Arendt. Si tratta però, precisa Adriana Cavarero171, di una identità relazionale e contestuale, che si costruisce nel rapportarsi con altri all’interno di cornici culturali e di senso. Poiché ognuno di noi, aggiunge la filosofa, vede nell’altro un sé narrabile, occorre riconoscere all’autobiografia il merito di permettere a ciascuno di raccontare/ascoltare la propria storia.