Capitolo 3 La scrittura di sé come cura e spazio per prendersi cura
3.2 Scrivere di sé oggi: la scrittura come cura
3.2.3 La scrittura come “spazio” di cura e per prendersi cura
Una volta esposto il valore della scrittura e della scrittura di sé, una volta riconosciuta la capacità dell’autobiografia di occuparsi di sé stessi, resta da specificare cosa si intenda, nella presente trattazione, con il termine “spazio” e in che modo questo sia legato al concetto di cura e alla pratica della scrittura.
Cercando di riflettere sulle parole e le espressioni più idonee a descrivere la portata della prospettiva autobiografica, ad esaltare caratteristiche, processi, possibilità offerti dalla scrittura di sé, ho presto scoperto che un lessico di tipo funzionale come
strumento, risorsa, supporto, dispositivo, non era del tutto esauriente. Questi
termini avrebbero di certo messo in rilievo l’importanza e le proprietà fornite dallo sguardo autobiografico al fine di dimostrarne l’apporto benefico di cura, ma non avrebbero dato conto dell’aspetto intenzionale, voluto, dedicato, cercato. Sarebbe servito, a mio avviso, un termine più ampio, poliedrico, che richiamasse sia gli aspetti di introspezione che quelli di condivisione; una parola che non fosse una scatola chiusa o un mezzo ma una possibilità. Il termine spazio si è rivelato a mio parere il più idoneo ad essere collegato alla cura autobiografica risultando adeguato sia se interpretato come luogo o contesto specifico, sia inteso come condizione esistenziale. Lo spazio a cui mi riferisco trova certamente, a livello di significato, dei referenti in luoghi e contesti fisici (l’habitat, la casa, il lavoro), ma vuole indicare anche, in senso più ampio, un luogo interiore di vissuti e relazioni, uno spazio identitario, spirituale, etico. Lo spazio che vedo collegato alla scrittura autobiografica vuole rappresentare
171 Il riferimento è alla recensione del libro della filosofa Adriana Cavarero Tu che mi guardi, tu che mi racconti,
Feltrinelli, Milano, 1997, disponibile presso il sito della LUA all’indirizzo,
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l’opportunità e l’esperienza di aver cura della propria identità, spazio come tempo con sé stessi e per sé stessi. Questo intendo con scrittura come spazio di cura.
Partendo da queste mie considerazioni ritengo interessante e stimolante riportare degli ulteriori spunti di riflessione sul concetto di spazio, utili ad osservare sotto una particolare luce il legame tra cura e scrittura autobiografica e, soprattutto, focalizzarne gli apporti benefici e di miglioramento.
Nel suo recente testo La cura di sé come processo formativo172, il formatore Franco
Cambi, affrontando nodi e questioni inerenti la costruzione e lo sviluppo identitario del soggetto postmoderno, parla dello spazio come ogni possibile luogo “da assumere come esperienza, da indagare e assimilare, per renderlo occasione di approfondimento della coscienza di sé e del mondo”173. L’autore, infatti, ritiene che l’individuo impegnato nella cura di sé possa crescere e si possa formare anche attraversando luoghi e spazi, considerandoli come occasioni di apprendimento, depositari di esperienza e conoscenza. Il suo invito è a transitarli in modo attivo per
imparare174. Con queste ultime parole Cambi chiarisce la sua concezione di formazione: di tipo attivo, dinamico, una forma di cura di sé. Definisce la pratica del camminare e dell’attraversare degli spazi non solo come un’attività fisica, ma una specie di filosofia formativa del soggetto, che cerca di dare senso al proprio essere nel mondo.
Trovo che i concetti di spazio e di attraversare riportati dall’autore possano abbracciare in toto il senso di cura possibile nella scrittura autobiografica: un’opportunità, un momento, che una persona può ritagliarsi per prendersi cura della propria individualità, stare meglio con sé e con gli altri, prestare attenzione ai propri ruoli, alle proprie idee, ai propri progetti, alle proprie azioni. Un occasione dedicata a sé stessi per attraversare in senso formativo spazi veri e simbolici, relazioni, emozioni, percorsi, compiti, ruoli.
Cambi specifica che in realtà potremmo considerare l’esistenza di quattro tipi di
spazi175. Gli spazi naturali che ci circondano, quelli sociali in cui viviamo e ci relazioniamo, quelli simbolici all’interno dei quali apprendiamo e comunichiamo ed infine quelli immaginari. Rappresentano tutti spazi plasmati dalla cultura, spazi collettivi e plurali, ci tiene a far presente l’autore. Tra questi spazi, quelli immaginari, su cui è interessante soffermarci per questa argomentazione, sono come specchi: compiono proiezioni, astrazioni, stimolano il soggetto allo scavo interiore e
172 Cambi F., La cura di sé come processo formativo, Laterza, Roma, 2010, pagg. 99-108. 173 Ibidem, pag. 101.
174 Ibidem, pag. 108. 175 Ibidem, pag. 107.
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smuovono la relazione tra identità, tra interpretazione e cultura, tra il dentro e il fuori. Sono gli spazi del teatro, del laboratorio, del racconto, spazi che immaginano
scenari attuali o possibili. Anche in questo troviamo forti correlazioni con il pensiero
autobiografico, di tipo abduttivo, generativo, il pensiero al congiuntivo, l’aprire alle possibilità interpretative, al cambiamento, il pensarsi in avanti.
Per concludere vorrei riportare un’ulteriore considerazione dell’autore in sostegno al riconoscimento del nesso tra scrittura di sé e cura di sé. Egli ammette su questa linea che il soggetto postmoderno alla ricerca di sé stesso, oggi, può contare su vari tipi di pratiche volte alla cura sui: dalla narrativa ai viaggi, dalla scrittura autobiografica alla consulenza filosofica, dal teatro all’arte, dalla pittura alla poesia. Ci si prende cura di sé, sostiene, anche semplicemente partecipando a conversazioni, o brainstorming in contesti dove avvengono scambi e confronti di esperienze e riflessioni; ci si prende cura di sé nella meditazione o nella riflessione interiore. Quelli che elenca non sono contesti sanitari o terapeutici, sono pratiche culturali che hanno a cuore la cura di sé, intesa come “ricerca di una comprensione (di sé, dell’esperienza, degli altri) da un lato, e di uno sviluppo come crescita (di sé, della mente, del proprio ethos) dall’altro”176. La cura di sé quindi può essere considerata allo stesso tempo sia un dispositivo interiore, sia un insieme di pratiche. Come l’autobiografia.
La proposta autobiografica può considerarsi, in definitiva, “spazio per sé” e strumento di “cura di sé", afferma Formenti177. Spazio come ritaglio personale dalla complessità e dal caos della vita, silenzio e pausa da ritmi incalzanti, occasione di presa di contatto con sé stessi, un modo per prendersi cura della propria crescita, un valido strumento auto terapeutico che porta benessere.