Capitolo 3 La scrittura di sé come cura e spazio per prendersi cura
3.3 Proprietà che rendono la scrittura autobiografica uno spazio di cura
3.3.2 Proprietà generative, trasformative, formative e progettuali della scrittura di sé
La scrittura autobiografica, si è detto, non serve solo per conoscersi meglio, ma possiede molte altre proprietà che procurano effetti benefici per chi vi ricorre o per chi, in contesti di cura, viene accompagnato all’uso dello strumento. Vediamo quali sono queste proprietà e funzioni.
Innanzitutto, il fatto di soffermarsi e scrivere di sé stimola il pensiero umano a
cercare ulteriori vie di senso192 e ad aprire le porte a diverse possibilità interpretative. Osservarsi attraverso lo sguardo autobiografico, sostiene Formenti, porta alla ricerca di nuovi ordini, nuovi equilibri e in certo senso prepara al cambiamento.
Le scritture autobiografiche possono, inoltre, far allontanare dai recinti del pensiero razionale, che è solito procedere per schemi fissi, entro contorni conosciuti, seguire logiche sedimentate. Possono essere evocate anche parole che sfuggono allo stretto controllo della ragione, espressioni che danno voce alla nostra identità molteplice (si veda precedente capitolo), alle esperienze sensoriali, alle nostre emozioni, anche a quelle contrastanti. La fusione, con-fusione di questi frammenti dà vita a parole meno controllate, più selvatiche - direbbe Formenti - perché più legate all’intimo sentire. Se scrivendo si crea un certo spiazzamento, o un momentaneo disorientamento, è proprio perché usciamo dagli schemi abituali di pensiero e di significazione, sperimentiamo elementi diversi, generativi di altri sensi, produttori di nuove connessioni: “La bellezza e la generatività della scrittura nascono dalla composizione con tutto ciò che l’Io non controlla”193, dichiara Formenti.
Quanto ritorna indietro dalla scrittura può essere descritto attraverso un’immagine: una persona china sulla battigia, intenta a selezionare conchiglie e quella sensazione
192 Ibidem, pag. 39.
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di sorpresa percepita nel constatare che, quanto viene dolcemente riportato a riva dalle onde del mare può essere qualcosa di più e di diverso da quello che si aspettava di trovare o che si stava cercando.
Richiamare ricordi attraverso la memoria autobiografica non è quindi solo una pratica riproduttiva, fine a se stessa, ma rifondativa194, perché, oltre ad essere generativa di sensi e significati nuovi, chiama in causa anche la capacità e la volontà
di cambiare. Scrivere di sé stessi si rivela uno strumento in grado di stimolare la
capacità proattiva a rileggere la propria storia personale sia in termini di ri-
comprensione di quella precedente, sia in senso progettuale, come esperienza in
divenire. In questo modo l’autobiografia dimostra la sua valenza euristico – epistemologica, perché porta, chi si racconta, ad una maggiore conoscenza. L’intelligenza autobiografica, che secondo Demetrio è “l’intelligenza di capire per il tramite del meglio capirsi”195 apre le porte a ricordi, scene di vita, vicende, mettendo in moto intrecci che ci permettono anche di apprendere nuove cose su noi stessi. Scrivere di sé aiuta a costruire e ricostruire, frammento su frammento, il racconto
della nostra identità, che non è di certo fissa, stabile e unica, ma un’identità che si sta
vivendo e costruendo anche mentre si scrive, attivando una riflessione sulla
riflessione. Vedere le cose sotto un’altra luce ci aiuta a concepirci come diversi e ad
affermare, con le parole di Bruno Schettini, che “non è tutto qui”196.
L’esigenza di raccontarsi è insita in ogni persona. Spesso matura, come abbiamo visto, in seguito a momenti cruciali, incongruenze, punti di svolta197 per ritrovare un
equilibrio. Spesso le scritture assecondano il bisogno di dare senso e unitarietà agli eventi di tipo personale e professionale della propria esistenza. Raccontarsi attraverso la sguardo riflessivo della scrittura autobiografica permette di vedersi in un’ottica emancipativa198. Il valore pedagogico dell’autobiografia deriva dall’apertura al cambiamento e alla possibilità di miglioramento che persegue tale pratica.
Le finalità formative e pedagogiche della forma autobiografica acquisiscono una maggiore evidenza, spiega Antonella Bolzoni, se dal racconto di sé si passa alla scrittura di sé, questo perché, rispetto alla forma orale, lo scrivere permette quel distanziamento che porta a livelli più alti di riflessione personale. Chiarisce in questo senso l’autrice: “La mancata trascrizione dei processi riflessivi priva infatti il
194 Fragomeni G., Marra I., La narrazione autobiografica come strumento di mediazione, op. cit.
195 Demetrio D., (a cura di), L'educatore auto(bio)grafo: il metodo delle storie di vita nelle relazioni d'aiuto,
Unicopli, Milano, 1999, pag. 12.
196 Fragomeni G., Marra I., op. cit.
197 Si veda primo capitolo, par. 1.6 (Smorti, Bruner, Burke concordano che i punti di svolta sollecitano
l’autonarrazione).
198 Sirignano F.M., Il metodo autobiografico come strumento per migliorare l’efficacia dell’azione formativa.
Riflessioni e spunti pedagogici, Piano Nazionale Qualità e Merito 2011/2012 MIUR, disponibile in rete: www.pestalozzi.cc/ic/wp-content/.../03/13_metodo_autobiografico.pdf (ultima cons. 3/10/2015).
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narratore di un supporto che permette la loro rielaborazione; i pensieri solo pensati e i sentimenti solo vissuti, essendo transitori ed evanescenti come la parola orale”199. Non scrivendo si rischia di perdere le sensazioni, le intuizioni legate all’oggetto del nostro racconto e con esse l’originalità che avevano. Fissare le parole con la scrittura crea, invece, una base da consultare e riconsultare ogni volta che se ne sente il desiderio, la necessità; dona il piacere di osservarci, vedere cambiamenti, operare nuove elaborazioni. La trascrizione aiuta l’individuo a potenziare le proprie capacità di autoanalisi, ad un primo livello; ad un secondo livello permette al soggetto di avere, grazie al testo, una base per riflettere, un’occasione di approfondimento, una sorta di circolo virtuoso200 fatto di rimandi tra pensiero autobiografico e scrittura.
La scrittura autobiografica aiuta a reclinarsi su sé stessi.
Tradurre le esperienze, anche quelle negative o che ci disorientano, in parole aiuta a riflettere sulle proprie vicende, rielabora emozioni e ricordi, rivendica uno spazio privato di carattere introspettivo201.
La scrittura è dinamica: compone sintesi, ristrutturazioni. Gli eventi che riportiamo
dal passato attraverso la scrittura svelano la nostra molteplicità, i molti ruoli rivestiti, i nostri conflitti e i nostri successi. Tutto quanto riportato dalla memoria autobiografica ha effetto benefico solo se è “promessa di ulteriore futuro per la mente”202, quindi se conduce ad un dopo, ad uno sviluppo, a un miglioramento. La scrittura di sé diviene formativa e pedagogica nel tentativo di apprendere di continuo dalla nostra esperienza, senza rinnegare ciò che siamo stati o abbiamo fatto nel passato, nella consapevolezza che la vita è in continua evoluzione e trasformazione. Compie un lavoro autobiografico chi desidera prendere coscienza di sé sul piano della percezione, dell’emozione e del pensiero. Una appropriazione della conoscenza del soggetto da parte del soggetto stesso, in prospettiva evolutiva. Per usare un’espressione contenuta in molti testi di Demetrio, l’autobiografia è un
viaggio formativo.
Eseguire un lavoro autobiografico implica l’andare oltre il presente, comporta un orientamento consapevole o inconsapevole da parte del soggetto verso una
progettualità futura. Chi scrive di sé, se da una parte ripercorre le tappe e le scelte
vissute, dall’altra proprio nello scrivere lascia trasparire e rivela le sue ambizioni, i suoi desideri, i suoi progetti riflette sulle differenze, si rende implicitamente disponibile a mettere in conto un certo cambiamento perché appare più chiaro cosa
199 Bolzoni A., Oltre l’oralità, in D. Demetrio (a cura di), L’educatore Autobiografo. Il metodo delle storie di vita
nelle relazioni d’aiuto, Unicopli, Milano, 1999, pag. 44.
200 Ivi.
201 Ibidem, pag. 42-43.
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vuole e non vuole. La scrittura personale, portando alla riflessione, rende l’individuo più consapevole e capace di scegliere, una volta che ha fatto i conti con la sua storia; invita a non chiudere mai i conti con la propria esperienza, a considerarla aperta203, a ricominciare se necessario da capo.
L’autobiografia è una pratica trasformativa perché implica un desiderio e una intenzione a migliorarsi. Ma Demetrio mette in guardia dal credere che sia così semplice e spontaneo: ci deve essere un atto deliberato, un intervento voluto, che non sia solo di auto gratificazione ma che apporti un cambiamento verso una certa maturazione204.
L’autobiografia, quindi, è un impegno serio, non affatto assimilabile alla scrittura libera, brada. È la ricerca di una rappresentazione di sé che sia credibile innanzitutto a noi stessi e poi agli altri. L’alterità - ribadisce Demetrio - è sempre presente in autobiografia, anche solo come quell’ alter ego che ci chiede di conversare con noi stessi205.
Scrivere rappresenta allo stesso tempo un soffermarsi su di sé e un muoversi verso un percorso dinamico e trasformativo; ed ancora, è scendere nell’interiorità di sé stessi senza però isolarsi e dimenticare le relazioni in cui siamo immersi. Infine, richiamando il titolo di un libro di Demetrio, si può affermare che un percorso autobiografico rappresenta un viaggio del sé nel mondo, mai pago, perciò errante.
203 Poggio B., Mi racconti una storia? Il metodo narrativo nelle scienze sociali, Carocci, Roma, 2004, pag. 63. 204 Demetrio D., Scritture erranti, op. cit., pag. 48.
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