• Non ci sono risultati.

Capitolo 5 La scrittura autobiografica e l’operatore sociale: tra cura d

5.3 Scrivere di sé per aver cura del proprio fare e del proprio essere professionale

Come si è anticipato nei primi capitoli, e a comprova di quanto si va sostenendo, è possibile osservare quanto oggi la formazione autobiografica313 venga riconosciuta ed utilizzata anche all’interno dei percorsi di preparazione accademica e nell’aggiornamento delle professioni socio educative, di cura, servizio alla persona, per l’acquisizione da parte degli operatori di una maggiore consapevolezza su cosa

comporta il ruolo, cosa si è, cosa si vuole diventare. In molti casi, come nel percorso

accademico che prepara ad esercitare la professione di assistente sociale, il momento del tirocinio si rivela ricco di sollecitazioni auto narrative (diario del tirocinio); la scrittura personale viene inoltre caldamente consigliata anche nei percorsi di supervisione, come strumento per accrescere autoconsapevolezza, apprendimento e a garanzia dell’efficacia dell’azione professionale314

Nel corso e nello svolgimento di una professione di cura, soprattutto per chi è a contatto quotidianamente col disagio e la sofferenza, la strategia dello scrivere di sé può apportare benefici ed effetti positivi all’operatore, alla relazione di cura e all’intervento (sociale, educativo, formativo) che si va a mettere in pratica. I metodi auto narrativi ad uso degli operatori sociali, conferma Formenti, sono un valido “antidoto al burn-out”315, perché evitano fasi di scoraggiamento e depressione, specialmente quando al grande investimento ed energia personali sopraggiungono

313 Si veda il testo omonimo di Laura Formenti a cui abbiamo più volte fatto riferimento nei precedenti capitoli. 314 Bartolomei A., Passera A.L., op. cit., pag. 363.

315 Formenti L., Una metodologia autonarrativa per il lavoro sociale, in Animazione Sociale, n. 12, Dicembre 2003,

110

insuccessi, ritiri, difficoltà dovute a scelte organizzative, comportamenti degli utenti, errori professionali. Aiutano l’operatore a sentirsi in continua ricerca e ad accrescere

l’attenzione, la creatività, e quella che l’autrice con un termine, a mio avviso molto

ricco, chiama pensabilità.

Scrivere di sé è uno spazio, un modo, un’occasione per aver cura del proprio fare e del proprio essere professionisti. Attraverso la scrittura di sé in ambito professionale

l’operatore sociale, sostiene Formenti, matura alcune consapevolezze che possono smuovere miglioramenti rispetto al modo di essere e di operare316.

Innanzitutto scrivendo di sé l’operatore sociale maggiora la consapevolezza di essere

depositario di una storia professionale e di saperi legati alla pratica, alla metodologia.

Comprende anche come lo strumento principale del processo di aiuto sia proprio la

relazione, e che questa richieda al professionista di mettere in gioco non solo tecniche e

procedure, ma anche la dimensione personale. “Ricostruire la storia personale e professionale significa fare la manutenzione ordinaria e straordinaria di questo strumento educativo e curativo che siamo noi e chiedersi 'Come ci entro io con la mia storia?”317.

In secondo luogo scrivendo di sé l’operatore rinnova stupore e attenzione per la storia

degli altri. Chi entra in contatto con l’operatore lo fa come soggetto unico, integro e non

frammentato come lo sono i servizi e le procedure. Nei loro racconti le persone che si rivolgono all’operatore sociale svelano le loro problematiche, i loro insuccessi ma anche delle aspettative e delle competenze, talvolta inespresse. Pensiamo al lavoro educativo e di cura nei confronti delle famiglie, e al sostegno che la pratica autobiografica può fornire all’operatore per dare il giusto spazio al loro raccontarsi, entrare con loro in relazione con una corretta postura, rispettosa della loro storia318. Le famiglie in una visone sistemica sono storie in evoluzione, in trasformazione, con i propri miti e valori. Raccontano di esperienze, apprendimenti che silenziosamente sono avvenuti ogni giorno nel corso del tempo, apprendimenti che, grazie al sollecito di racconti e scritture, possono divenire di secondo livello319. Sta all’operatore ascoltare in modo attento attraverso un approccio autobiografico, per comprendere al meglio, ai fini del progetto, ogni storia nella sua unicità.

La terza consapevolezza, facilitata dall’uso di una prospettiva autobiografica, secondo Formenti, riguarda “l’essenza stessa della relazione, del raccontarsi in una relazione: è la

316 Ivi.

317 Ivi.

318 Formenti L., West L., Costruire spazi di immaginazione auto/biografica, Inserto Animazione Sociale, n. 242,

maggio 2010, pagg. 35-36.

319 Mi riferisco ai vari livelli di apprendimento teorizzati da Gregory Bateson, nel suo testo Verso un’Ecologia della

mente, Adelphi, Milano, 1976, pagg. 78-82. Un primo livello di apprendimento che permette di correggere l’errore, un secondo che riconsidera il senso dell’esperienza e compie modifiche in modi e metodi, il terzo il cosiddetto deutero apprendimento, che permette all’individuo di imparare ad imparare.

111

scoperta delle risonanze320, che legano, spiega l’autrice, l’utente all’operatore, la famiglia di uno alla famiglia dell’altro e allo stesso modo le emozioni, i ruoli. Alcune esperienze risuonano come rimandi e analogie nella relazione di aiuto. Risonanze a cui l’operatore

può prestare attenzione, consapevole del fatto che non esiste neutralità relazionale tra

l’uno e l’altro. Questo tipo di attenzione autobiografica nella relazione di aiuto può anzi, dice Formenti, “iniettare sensibilità nelle pratiche di intervento sociale, sanitario, assistenziale”321 senza, di converso, cadere nel buonismo del basta un po’ di ascolto e una pacca nella spalla. Si è detto infatti che l’uso dello sguardo autobiografico come approccio e come strumento di supporto alle metodologie di lavoro esige metodicità e non improvvisazione. Cura dell’ascolto, della relazione, delle competenze a comunicare, restituire, validare quanto emerge e una certa disposizione a riflettere sia sui presupposti sia sugli esiti, come vedremo meglio nel paragrafo dedicato alla riflessione.

Al fine di comprendere il valore della competenza autobiografica all’interno delle pratiche di lavoro sociale, educativo, formativo, occorre considerarla sia in termini di ascolto e attenzione alle storie degli utenti come supporto professionale a beneficio del processo di aiuto, sia in termini di cura della relazione e dell’incontro

con l’utente.

Assumere una prospettiva autobiografica può aiutare a prendere in considerazione la

soglia dei servizi ed innescare riflessioni intorno alle modalità di accoglienza.

L’attenzione autobiografica alle storie dell’utenza aiuta il professionista ad evitare, per esempio, che l’eccessiva burocratizzazione, tecnicizzazione, l’esigua disponibilità di risorse e di tempo allontanino proprio quegli utenti che ne avrebbero più bisogno o quelli più faticosi da incontrare; può scongiurare interventi routinari e freddi. I Servizi sono luoghi dove ricevere servizi e forme di cura ma che non devono perdere di vista la possibilità di essere anche un luogo educativo, oltre che prestazionale, dove si incontrano persone, culture, problemi, risorse. Prestare attenzione, e non solo guardare con preoccupazione, a queste interconnessioni, può generare negli operatori e nei servizi, idee e proposte creative, inedite, trasversali a quelle che ci si abitua a definire categorie di intervento. Queste riflessioni sulle modalità di approccio e accoglienza possono essere facilitate anche da una sana abitudine alla scrittura di sé

dell’operatore come esercizio del pensiero sull’azione.

In sintesi, la pratica autobiografica può aiutare l’operatore ad aver cura della

relazione, del contesto di aiuto, in senso generativo e trasformativo, e soprattutto ad

320 Formenti L., Una metodologia autonarrativa per il lavoro sociale, op. cit., pag. 35. 321 Ibidem, pag. 36.

112

evitare atteggiamenti di spersonalizzazione, standardizzazione, normatività eccessiva, assenza di pensiero e creatività322.

Lo sguardo autobiografico come uno dei modi possibili per mettere in pratica, quelli che per il servizio sociale costituiscono i principi, i valori e i fondamenti della disciplina e, in particolar modo, quegli “atteggiamenti distintivi e qualificanti la specificità dell’assistente sociale”323 quali la personalizzazione e l’individualizzazione, l’accettazione, l’assenza di giudizio, la fiducia, il rispetto, la riservatezza, il non sostituirsi alla persona con cui si compie un percorso di aiuto, riconoscendola come protagonista della sua storia.

In conclusione, la competenza autobiografica costituisce, per i professionisti della cura, da una parte un valido stimolo a maturare o potenziare uno sguardo maggiormente centrato sui destinatari degli interventi324; dall’altra, rappresenta un’occasione, uno spazio per l’operatore stesso, per pensare, riflettere, interrogarsi, migliorarsi anche attraverso il pensiero autobiografico e la scrittura di sé.

Tutte queste considerazioni portano ad immaginare l’autobiografia come risorsa per prendersi cura del proprio fare e del proprio essere professionale.

5.4 Scrivere di sé come spazio di autoriflessione e