Capitolo 5 La scrittura autobiografica e l’operatore sociale: tra cura d
5.4 Scrivere di sé come spazio di autoriflessione e apprendimento
5.4.1 La scrittura di sé come spazio autoriflessivo
L’attenzione e la riflessione attorno al rapporto tra conoscenze teoriche e pratiche
quotidiane, come si è ricordando aprendo il capitolo, sono d’aiuto ad ogni
professionista al fine di mantenere una connessione che non sbilanci un polo rispetto all’altro. Specialmente per chi svolge una professione di aiuto, afferma in un recente contributo Alessandro Sicora, cercare l’interazione tra la teoria e la pratica, anziché vederle in contrapposizione, è utile a mettere in evidenza la ricchezza conoscitiva che deriva dall’apprendimento esperienziale325.
Sulla stessa linea il pensiero di Franca Olivetti Manoukian che, in un’intervista rilasciata alla rivista Animazione Sociale in tema di costruzione di competenze professionali da parte degli operatori sociali, invita a considerare l’importanza di utilizzare la conoscenza che viene dall’esperienza in una prospettiva che connette teoria e pratica. Nel lavoro sociale, e non solo, ammette l’esperta, spesso purtroppo gli operatori non riescono a fare degli esiti delle proprie azioni un apprendimento: “Insistiamo nel fare le cose che abitualmente facciamo, siamo meno abituati a utilizzare i ritorni delle nostre azioni come informazioni per riformulare le nostre pratiche lavorative”326. Ciò che conosciamo nel mentre dell’esperienza, ciò che accade nell’incontro e nella relazione di aiuto, spiega, rappresentano elementi da osservare con attenzione e che assumono valore nel momento in cui possono aprire varchi in situazioni spesso intricate e complesse.
La riflessione è una strategia utile ad intrecciare teoria e prassi, ad operare rimandi
reciproci tra conoscenze teoriche ed esperienze concrete, a generare nuove idee, nuove prospettive. È in questa cornice concettuale che si inserisce la scrittura di sé per l’operatore di aiuto, rappresentando un’occasione e uno spazio per riflettere ed
imparare dall’esperienza. Nel concreto, all’interno del quotidiano professionale, può
costituire una forma di azione riflessiva al fine di sviluppare quella che Donald Schön ha definito conoscenza nel corso dell’azione.
Nell’impossibilità di approfondire in questa sede le vaste teorie dedicate alla riflessività nelle professioni di cura e di aiuto (si pensi a Luigina Mortari in campo formativo, Donald Schön per le scienze umane, Alessandro Sicora per il servizio sociale) trovo utile fornire alcuni riferimenti basilari sul tema, con lo scopo di presentare ed immaginare la scrittura di sé come spazio riflessivo, rifacendomi soprattutto agli studi e ai testi di Alessandro Sicora, assistente sociale specialista, ricercatore ed insegnante universitario, esperto in materia.
325 Sicora A., Diventare Professionisti Riflessivi, Animazione Sociale n. 287, Dicembre 2014, pag. 91.
326 Camarlinghi R e D’Angella F. (a cura di) Intervista a Franca Olivetti Manoukian, Lavorare alla luce
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Cosa si intende per riflessività e per pratiche riflessive nelle professioni di cura?
Se guardiamo in particolare al servizio sociale, nella letteratura specifica, frequenti sono gli inviti alla riflessività come modo per qualificare la professione e migliorarne le prestazioni327 e non solo in studi e scritti odierni. È possibile rintracciare questa esortazione già nei testi di Dal Pra Ponticelli, per la quale la riflessività è strettamente connessa alla formazione permanente e al desiderio di verificare il proprio lavoro di continuo328; o in quelli di Franca Ferrario, secondo la quale grazie all’analisi e alla sistematizzazione dell’agire si può passare da una teoria della pratica a una per la pratica329. Come osserva giustamente Sicora, risultano meno frequenti in letteratura le indicazioni di tipo pratico per l’esercizio di tale riflessività.
Donald Schön, spiega l’autore, ha il merito di aver “portato al centro dell’attenzione epistemologica delle professioni il tema delle riflessività. Il professionista competente […] conosce nell’azione, riflette sull’azione e nel corso dell’azione”330. Nelle sue ricerche Schön indica due principali modalità per l’esercizio della riflessività da parte di un operatore331: la reflection on action, riflessione sull’azione, che avviene su
quanto è stato già esperito e realizzato; la reflection in action, che si sviluppa nel corso dell’azione professionale, grazie anche ad alcune abilità dell’operatore, per esempio la capacità di valutare in itinere, ma anche un certo intuito.
Per quanto concerne la riflessione sull’azione, osserva Sicora, al fine di maturare nuovi apprendimenti l’operatore sociale ha a disposizione alcune strategie, come la formazione permanente, la supervisione, la documentazione professionale.
Per la riflessione nel corso dell’azione, invece, pare più difficile fornire indicazioni precise nel lavoro sociale, ma è possibile, quantomeno, suggerire alcuni fattori che la possono facilitare: un contesto lavorativo che predispone a rielaborazioni del lavoro personale, un ambiente che tollera l’errore e permette occasioni di consapevolezza e apprendimento, che sollecita forme di lavoro sulle emozioni personali, che prevede momenti di sperimentazione e scambio di nuove modalità operative332.
327 Sicora A., Riflessività e autovalutazione nel servizio sociale, in Campanini A. (a cura di), La valutazione nel
servizio sociale. Proposte e strumenti per la qualità dell'intervento professionale, Carocci, Roma, 2006, pag. 63.
328 Dal Pra Ponticelli, Lineamenti di Servizio Sociale, Astrolabio, Roma, 1987, pag. 51.
329 Ferrario F., Le dimensioni dell’intervento sociale. Un modello unitario centrato sul compito, Ed. NIS, Roma,
1996, pagg. 51-52.
330 Sicora A., Riflessività e autovalutazione nel servizio sociale, in Campanini A. (a cura di), op. cit., pag. 64. 331 Si fa riferimento al testo Schön D., Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica
professionale, Dedalo, Bari, 1993, pagg. 76-80.
332 Ibidem, pagg. 65-73. Nel riportare questi fattori facilitanti i processi riflessivi e di apprendimento, concordo
pienamente nel non sottovalutare il ruolo dell’organizzazione nella reale possibilità di esercizio della riflessività all’interno della pratica professionale. Una considerazione personale che porto con me da tempo, e che a sua volta è frutto della mia esperienza professionale e formazione, riguarda proprio le possibilità di esercizio della
riflessività. Se tale compito è troppo sbilanciato sulla dimensione individuale dell’operatore, a mio avviso, rischia di ridursi ad un esercizio solitario (con possibili derive estreme di vittimismo o di protagonismo) che fa perdere di vista il peso e l’influenza della cornice organizzativa. Marcare, sollecitare possibilità riflessive esclusivamente sul singolo professionista presuppone l’esistenza di una costante disponibilità all’apprendimento, un’apertura al
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“Si può parlare di pratica riflessiva quando l’azione dell’operatore incorpora gli esiti del processo di riesame che lo stesso operatore ha attivato su precedenti azioni, ovvero su ciò che è accaduto, e sulle emozioni, i valori e gli assunti conoscitivi in gioco”333. È una definizione che mostra l’andamento ciclico tra pensiero e azione, rappresentato da Sicora con l’acronimo ERA - esperienza, riflessione, azione - ciclo costruito sull’intreccio tra 1) ciò di cui si fa esperienza, 2) ciò che la riflessione mi fa imparare da questa, 3) come agisco in base alla nuova prospettiva acquisita334.
In letteratura si può parlare, nello specifico, di scrittura riflessiva quando vi è un uso deliberato della parola scritta come strategia per operare riflessioni sull’esperienza e ricavarne degli apprendimenti335. Gli operatori possono trovare nella
scrittura riflessiva, ci spiega Sicora, delle occasioni per esaminare le proprie
esperienze, per ordinare pensieri, azioni, sensazioni, registrare dettagli significativi affinché rimangano. Riportare in maniera riflessiva la pratica lavorativa su un foglio spiega, mette in connessione tra loro informazioni ed esperienze, elementi teorici e prassi, operando tentativi di generalizzazioni utili alla pratica. La scrittura riflessiva nell’operatore di aiuto “Sviluppa capacità di analisi, creatività e pensiero critico”336. Una penna e un foglio bianco ci aiutano a dare un senso anche alle esperienze negative, agli errori, e a far scaturire miglioramenti, accorgimenti per il futuro.
Rifacendosi alla principale letteratura in materia, Sicora fornisce preziose indicazioni che possono facilitare ed indurre l’operatore sociale a scrivere in maniera riflessiva sulla propria pratica lavorativa, distinguendo tra strategie analitiche e creative337. Le prime rappresentano un’analisi di tipo descrittivo della situazione, accompagnata da elaborazioni ed elementi personali. Le seconde separano nettamente la parte di descrizione dalla riflessione e fanno uso del pensiero metaforico ed immaginativo. Nella tabella successiva, riprendendo fedelmente il testo di Sicora, si fornisce qualche esempio di scrittura riflessiva338:
nuovo da parte di organizzazioni ed istituzioni; processi che invece nell’esperienza concreta non vengono così frequentemente facilitati, per mantenere equilibri esistenti, indicazioni gerarchiche. L’apertura alla riflessività dovrebbe coinvolgere, per portare all’apprendimento e al miglioramento, non solo il livello individuale ed operativo ma anche quello organizzativo ed istituzionale. Ma questo è un nodo che non possiamo sciogliere in questa trattazione e che chiama in causa la sociologia dell’organizzazione.
333 Sicora A., Diventare Professionisti Riflessivi, op. cit., pag. 91. (Il corsivo su riesame è mio). 334 Ivi.
335 Sicora, Errore e Apprendimento nelle Professioni di aiuto, Maggioli, Bologna, 2010, pag. 114. 336 Ibidem, pag. 117.
337 Ibidem, pag. 120.
338 Per un approfondimento si consulti Sicora, Errore e Apprendimento nelle Professioni di aiuto, op. cit., pag. 121,
dove l’autore, nell’ indicare tali strategie, riprende ed elabora anche il pensiero di autori come M. Jasper, G. Rolfe, S. Schutz. Si veda tabella a pag. 121 e nota n. 36.
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Strategie analitiche
- diario di bordo;
- analisi di incidenti ed eventi critici; - scritture di esplorazione di un problema;
- analisi SWOT su specifiche situazioni (punti di forza, debolezza, rischi, opportunità); - scritture che esaminano la situazione con prospettive alternative;
- utilizzi di esercizi strutturati per la riflessività (ciclo di Gibbs, per esempio);
- scritture che individuano 3 cose al giorno: 3 cose che ho imparato,3 consigli per il futuro,etc ; - la scrittura di un evento riassumendolo con un certo numero di parole (per esempio un sms); - una pagina al giorno per registrare le esperienze.
Strategie creative
- costruire mappe concettuali;
- scrivere come se si fosse un’altra persona; - scrivere in stile giornalistico;
- scrivere una lettera da non spedire; - scrivere a una persona intima; - scrivere poesie;
- scrivere una storia inventata.
Tratto da: Sicora, Errore e Apprendimento nelle Professioni di aiuto, Maggioli, Bologna, 2010, pag. 121.
Particolarmente efficace per la riflessione sia sul metodo che sulla dimensione
personale ed emotiva, sia per gli studenti (tirocinio), sia per gli operatori alle prese
con situazioni nuove o critiche, risulta essere il diario o giornale di bordo339:
annotazioni, registrazioni oggettive e/o soggettive, conoscenze e apprendimenti rispetto esperienze, note dal punto di vista metodologico, organizzativo, appunti personali e commenti, riflessioni, connessioni tra casistiche e teorie. I diari di bordo, spiega Sicora, rappresentano per il professionista uno spazio/ tempo dedicato a sé stessi, un appuntamento per fermarsi e raccogliere descrizioni, intuizioni, valutazioni, sensazioni, pensieri, in senso riflessivo, ma anche critico, perché portano a chiedersi cosa implica ciò che si è scritto. Nel servizio sociale, scritture personali e diario giornaliero si trasformano in momenti per riflessioni teorico/pratiche ma anche in spazi per la soggettività e i sentimenti dell’operatore340.
Tutta la letteratura, continua Sicora, riconosce vantaggi nel tenere questi diari che, come asserisce Luigina Mortari, costituiscono a lungo andare delle miniere di apprendimento341. Demetrio stesso, per concludere, nel suo testo L’educatore
autobiografo, precisamente nelle parte in cui illustra un percorso autobiografico di
tipo autoformativo con educatori, introduce un esempio diario autoosservativo342
contenente episodi salienti della vita professionale (da dimenticare, da ricordare, negativi, positivi, imprevisti, ecc.) da rivisitare per riflettere e imparare.