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La letteratura, da arte che era, diviene quindi merce chiamata a rispondere ad esigenze commerciali. Questa mutazione richiede che ci si interroghi sulla sua nuova natura fino anche a cambiargli nome, ricorrendo ad una variazione (paraletteratura) piuttosto che ad un aggettivo posposto (“popolare”, “di consumo”, appunto). Michele Rak, introducendo la categoria, mette l'accento sull'importanza fondamentale di questo prefisso “-para” come di un porsi a lato; un situarsi “come un campo di contraddizione di un altro campo individuato come letteratura”.94 Se ne parla ora, dopo essersi così

dilungati su di una fenomenologia del feuilleton, proprio perché in questo spostamento dalla letteratura tout court ad un ambito affiancato, l'idea e la pratica del consumo è

“discussion” che appariva sul periodico fantascientifico Amazing, di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo.

92 Eco, Apocalittici e integrati, cit., p. 250. 93 Ibid., p. 244.

94 Michele Rak, Appunti sulla dinamica del sistema dell'informazione estitica: i generi della

paraletteratura e la cultura di massa, in Arnaud, Lacassin, Tortel (a cura di), La paraletteratura, cit.,

centrale. “Questa differenza [...] è fortemente recepita […] nel momento della scelta e quindi nel momento del consumo, la cui rilevanza economica non può che provocare una forte retroazione sull'intero processo costitutivo di questi generi riorientando di volta in volta le scelte degli scrittori e degli editori/distributori”.95 In questo senso la

paraletteratura, ovvero “il romanzo «popolare» o d'intrattenimento, il romanzo poliziesco e di fantascienza, talvolta il fotoromanzo ed il fumetto”96 è espressione di una

cultura veramente contemporanea e di massa, se è vero che “il rapporto produzione- consumo costituisce la regola fondamentale della società industriale avanzata ed anche quella della cultura che essa produce”.97

La centralità del consumo ha allora le sue ben materiali conseguenze, che sono, prevedibilmente, in continuità con quanto già osservato per il romanzo popolare: prima fra tutte la regolarità periodica dell'immissione nel mercato, che favorisce la pubblicazione e la costituzione di “serie” (si pensi solo a Mondadori con il protrarsi delle sue “Giallo Mondadori”, “Segretissimo” e ovviamente “Urania”). Com'è evidente questi raggruppamenti si coagulano attorno alla sfuggente etichetta del genere proprio perché la ricerca di un pubblico vasto (che si è già detta essere una coazione sia economica che contenutistica) tende a strutturare l'attrattiva delle merci secondo le coordinate del già noto, sapendo che “il lettore della paraletteratura sceglie proprio quell'«unico testo» che è il genere”.98 Come già si può intuire siamo nuovamente tornati

al tema della gaia e smemorata piacevolezza della letteratura popolare, declinata in senso più epistemologico: “per il lettore la scelta di un genere è la scelta di un modello di lettura del reale. Ma […] un modello […] prevedibile” egli “non si attende sorprese se non in misura tale da non modificare la pregoduta operatività del modello”.99 Il

lettore conosce se stesso, sa bene cosa sceglie, ma proprio questa consapevolezza è ciò che rischia di favorire un mercato sempre più appiattito ed omologato. Così almeno tanti critici, anche di fantascienza, hanno a lungo creduto.

Fra di loro una delle più celebri firme della fantascienza internazionale, il polacco Stanislaw Lem, che ha colto con lucida ironia la dialettica che informa questo genere, scisso fra l'impossibilità di evadere dalla costrizioni commerciali della letteratura triviale e il desiderio di essere invitato al banchetto della cultura con la lettera

95 Ivi. 96 Ibid., p. 10. 97 Ibid., p. 29. 98 Ibid,. P 28. 99 Ibid., p. 30.

maiuscola. Proprio in tale contraddizione l'autore di Solaris rinviene la peculiarità della

science fiction. Le sue incarnazioni si comportano esattamente come i prodotti di largo

consumo, invecchiano subito e saturano il mercato, mischiano la più fine elucubrazione filosofica ai più triti degli stereotipi e così facendo sono “the true embodiment of kitsch”, quel kitsch che è tale proprio perché riproduce, ma in catena di montaggio, i più alti pinnacoli dell'ingegno umano. L'unica via d'uscita da questa condanna lo scrittore accorto non la trova nell'applicare i modelli dell'avanguardia artistica alla letteratura di genere, ma nel riuso consapevole delle sue forme deteriori, nel fare come Philip Kindred Dick che “mette il trash contro il trash stesso”.100

Si può allora capire la condizione della letteratura di massa solo riconoscendo che essa è divenuta tale proprio grazie “all'esistenza di una «società di massa» e dei fenomeni che la caratterizzano (consumismo, mass-media, industria della cultura)”.101

Per questa via si giunge, insieme a Petronio, alla conclusione che, come nella fantascienza, “in ogni «genere» possono esservi (vi sono) opere «alte», cioè originali, personalizzate (di massa) e altre «di consumo» (per la massa)”.102 La nozione di consumo acquista allora centralità proprio perché rientra fra i caratteri principali della

società di massa, nella sua configurazione almeno europea e statunitense.

A partire da De Certeau e da Bourdieu, molti sono stati i tentativi di esaminare le pratiche del consumo non solo attraverso la lente ereditata dalla teorica critica, ma anche secondo modelli capaci di articolare in maniera problematica il rapporto fra produzione, distribuzione e fruizione delle merci massificate. Nell'ambito dell'antropologia, per esempio:

“I nuovi studi di cultura materiale insistono dunque su una peculiare “vita sociale delle cose” […] In primo luogo, per un'attenzione volta alle forme del consumo oltre e forse più che a quelle della produzione [...] In secondo luogo, per l'interesse verso gli oggetti ordinari e più banali che popolano la quotidianità, inclusi quelli prodotti serialmente dall'industria. […] Da qui la necessità di affrontare il fenomeno del consumo di massa, e di farlo in una prospettiva

100 Stanislaw Lem, Science Fiction: A Hopeless Case – With Exceptions, in Id., Microworlds: writings

on Science Fiction and Fantasy, First Harvest/HBJ edition, Orlando, 1986, pp. 67 - 129. Ho così

tradotto, per ragioni stilistiche, l'originale “makes trash battle against trash”.

101 Ulrich Schulz-Buschhaus, Considerazione storiche sulla «trivialliteratur», in Petronio e Schulz- Buschhaus (a cura di), “Trivialliteratur?”, cit., p. 17.

molto diversa da quella sviluppata dalla sociologia novecentesca nella sua critica al consumismo. […] Negli ultimi decenni, non poche analisi socio-antropologiche hanno tentato di superare questa visione “apocalittica”, studiando etnograficamente il consumo di massa come un'arena di comportamenti culturali e di configurazioni simboliche, attraverso cui le persone e i gruppi sociali attribuiscono significati al proprio mondo e alla propria vita.”.103

Mi pare che in maniera simile si siano mossi anche Stuart Hall ed i Cultural

Studies, studiando le culture giovanili, le soap e tanti fenomeni di costume entrati a far

parte del mondo contemporaneo e, dunque, da annoverare fra i possibili oggetti di studio. Favorire l'ingresso di tali fenomeni nel novero delle realtà scientificamente indagabili significava prendere anche il coraggio di sporcarcisi le mani e, nel farlo, riconoscere alla massa una dignità in grado di superare il carattere indistinto connaturato al termine. Riconoscere il meccanismo che riduce l'uomo a dente di un ingranaggio senza per questo dimenticare che non sempre il dente si piega ad ogni movimento della macchina.

Concentrandosi sul discorso dei media, ad esempio, lo studioso inglese ma di origini giamaicane, descriveva la codifica e la decodifica di un messaggio televisivo. suggerendo che essi “benché «relativamente autonomi» in rapporto all'intero processo comunicativo, costituiscono momenti determinati”.104 Tenendo presente questo e che “la

«forma del messaggio» è la «forma d'apparenza» necessaria, la forma in cui necessariamente «appare» l'evento nel suo passaggio dalla fonte al destinatario”105 egli

ricostruiva tre posizionamenti base (egemonico-dominante, negoziato e oppositivo) che potevano essere adottati dal consumatore di un messaggio televisivo. Questa prima riflessione doveva aprire la strada al superamento di un dualismo insito nelle concezioni contemporanee di cultura popolare, necessariamente turbate dall'aver visto le grandi masse (e in particolare le classi lavoratrici) divenire acquirenti principali di prodotti culturali standardizzati. Le secche da cui Hall voleva liberarsi erano quelle delle due ipotesi contrapposte che o intendevano i consumatori come “vittime di una «narcosi culturale»” e quindi “forza puramente passiva ed elementare”, oppure postulavano una

103 Fabio Dei e Pietro Meloni, Antropologia della cultura materiale, Carocci, Roma, 2015, p. 66 - 68. 104 Stuart Hall, Codifica e decodifica del discorso televisivo, in Id., Il soggetto e la differenza, Meltemi,

Roma, 2006, p. 34. 105 Ibid., p. 35.

cultura popolare “coesa, autentica e autonoma che sopravvive fuori dal campo di forza delle relazioni di potere e dominio culturale”.106 Per far questo serviva concepire una

“dialettica della lotta culturale”107 in cui si articolasse il fatto che “il principio

strutturante del «popolare» risiede nelle tensione e nelle opposizioni tra ciò che appartiene al dominio (centrale) della cultura d'élite o dominante e la cultura della “periferia»108 e che perciò questa lotta, concepita come processo storico, assumesse, di

volta in volta, le forme più varie: “incorporazione, distorsione, resistenza, negoziazione, recupero”.109