• Non ci sono risultati.

Darko Suvin e Fredric Jameson sono due fra gli studiosi che meglio sono riusciti ad articolare la relazione che intercorre fra fantascienza e pensiero utopico. I nomi dei due critici, fra i primi ad occuparsi in maniera approfondita e con i più sofisticati strumenti analitici dei problemi legati a questo genere, ricorreranno spesso in questo studio. In particolare il seminale libro Le metamorfosi della fantascienza di Darko Suvin, uscito nel 1979, fornirà nei passi che seguiranno la base per un concetto condiviso di fantascienza, pur con qualche minima correzione. Prima di concentrarci

trattato nel classico libro di Karl Polany, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 1974. Esso serve all’autore per introdurre il tema degli smottamenti sociali provocati dalla rivoluzione industriale e delle varie forme di resistenze a questo processo.

154 More, Utopia, cit., p. 127. 155 Baczko, L’utopia, cit., p. 21.

sull’avventuroso studio di Suvin vale forse la pena di soffermarsi per un attimo sui vari approcci critici alla letteratura fantascientifica, che si è fatta strada nell’accademia attraverso difficoltà e ritrosie.

È vulgata diffusa che il primo corso di livello universitario incentrato sulla fantascienza sia stato tenuto da Sam Moskowitz al City College di New York nel 1952. Un resoconto di quest’esperienza è stato successivamente pubblicato dallo stesso Moskowitz, affezionato lettore della prima ora e poi organizzatore di conventions, e ben testimonia il precario status della fantascienza del tempo.156 La somma finale disponibile

per coprire i costi fu di novanta dollari, inadeguata al minimo rimborso, tanto da spingere l’autore a definire l’insegnamento “un atto d’amore” e a lasciarne la pratica nel 1955, una volta trovato un impiego più remunerativo. Curiosamente, si trattava della responsabilità editoriale di un periodico per la vendita di cibo surgelato, il Frosted Food

Field.157 Nei tre corsi precedenti al suo nuovo lavoro Moskowitz aveva insegnato ad un

ridotto numero di studenti molto variegato (fra loro sia artisti che una governante) ospitando nelle sue lezioni scrittori del calibro di Isaac Asimov pur senza potergli mai offrire retribuzioni. Più che il ritorno economico, tuttavia, era il prestigio ed il riconoscimento garantito dalla partecipazione ad un corso universitario ad attirare gli autori di fantascienza. Come spiega bene l’autore stesso:

Offering to guest lecture at my class represented a form of redemption for many of the authors for selecting the science- fiction field to work in. […] One prominent author, Murray Leinster, had never graduated from grammar school! For them, it was the greatest ego booster in the world158

Pur con i limiti appena elencati questa prima esperienza accademica non si rivelò scevra di conseguenze e negli anni successivi iniziarono ad affacciarsi sempre più corsi nei college e nelle high schools del paese. La fantascienza dunque, oltre che un genere letterario iniziò ad essere materia di studio e di insegnamento, come dimostrato anche dalla serie di saggi pubblicati dal noto scrittore britannico Kingsley Amis nel 1959, con il titolo di New Maps of Hell.159 A questo punto, una rivista dedicata era l’ultimo,

156 Sam Moskowitz, The First College-Level course in Science Fiction, in «Science Fiction Studies», 1996, 3, pp. 411- 422.

157 Più che di una curiosità si tratta di uno dei numerosi indizi che connettono la storia della fantascienza degli anni Cinquanta al sempre più dinamico mondo dei consumi statunitensi.

158 Moskowitz, The First College-Level course in Science Fiction, cit., p. 416.

159 Kingsley Amis, New Maps of Hell, Penguin Books, London, 2012. Benché datato il volume rimane di grande autorità grazie alle sue acute osservazioni ed al suo stile vivace: si è rivelato inoltre di grande

decisivo, passaggio per l’ingresso nel mondo scientifico.

Così nel 1959 apparve per la prima volta Extrapolation, seguita nel ‘72 dalla britannica Foundation e, nel 1973, da Science Fiction Studies. Quest’ultima rivista, fondata dal già citato Darko Suvin insieme a Richard Dale Mullen, è spesso considerata come portavoce di una corrente critica di ispirazione marxista, pur avendo ospitato al suo interno uno spettro piuttosto ampio di proposte e di autori, non interamente ascrivibili agli approcci neo-marxisti cui si rifacevano Suvin e Jameson.160 Il secondo in

particolare, celebre critico e studioso di letteratura, deve parte del suo riconoscimento ad opere come Marxismo e forma e Postmoderno o la logica culturale del

tardocapitalismo161 che, spaziando tra vari temi e campi del sapere, si sono servite di

categorie ereditate dagli approcci marxiani alla filosofia per sondare i cambiamenti iscritti dalla modernità a vari prodotti culturali.

Oltre che da un orientamento filosofico-metodologico,162 la “marxist theory” è

caratterizzata anche da particolari interessi tematici, che contribuiscono a meglio distinguere questo da altri particolari approcci sorti a partire dagli anni Ottanta e che pur non rifuggendo le precedenti formulazioni ne hanno in parte preso le distanze secondo orizzonti più vicini al postmodernismo.163

A quella che è forse la principale di queste declinazioni teoriche si è già in parte fatto riferimento nel primo capitolo. Mi riferisco alla critica femminista che, con Donna Haraway e N. Katherine Hayles, ha esplorato i limiti, gli stereotipi e le convenzioni insiti nelle definizioni di genere, servendosi dell’immaginazione eccentrica di tanta celebre SF successiva agli anni Sessanta, da Ursula K. Le Guin a Joanna Russ e Octavia Butler. Una critica quindi attenta alle sfide che una certa fantascienza sensibile poneva al modello patriarcale dominante, sia nelle culture occidentali che all’interno di questa

ispirazione per il mio studio, riflettendo sul genere proprio alla fine del decennio qui discusso.

160 Patrick Parrinder, Science Fiction. Its Criticism and Teaching, Methuen, London, 1980, pp. XIII – XIX.

161 Fredric Jameson, Marxismo e forma, Liguori, Napoli, 1975. E dello stesso autore Postmodernismo

ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Fazi, Roma, 2007.

162 In realtà l’approccio, se può dirsi marxiano, non è certamente ortodosso e anzi tende alla combinazione e all’interpolazione di diversi strumenti analitici, dallo strutturalismo alla psicologica, passando per i cultural studies. Uno dei primi embrionali testi di questa corrente, non a caso, è spesso attribuito al critico inglese Raymond Williams; l’originale, apparso nel numero di dicembre 1956 del The Highway. Journal of the Workers Educational Associations, è stato poi ripubblicato. Vd. Raymond Williams, Science Fiction, in «Science Fiction Studies», 1998, 3, pp. 356 - 360.

163 Per un esempio dei confronti anche aspri fra questo indirizzo e un’impostazione maggiormente “decostruzionista” si veda la discussione che si è sviluppata fra il 1987 e il 1988 tra John Fekete da una parte e Suvin e Marc Angenot dall’altra. Vd. John Feket, The Stimulations of Simulations. Five

Theses on Science Fiction and Marxism, in «Science Fiction Studies», 1988, 3, pp. 312 - 323. La

particolare letteratura, come nel celebre racconto When it Changed, dove il pianeta

Whileaway è popolato, dopo una feroce epidemia, interamente da donne, che hanno

riorganizzato la società su basi nuove. A contatto dopo seicento anni con i primi individui di sesso maschile (adottando la prospettiva della narratrice sarebbe meglio dire “alieni”), la protagonista rifletteva:

Sometimes I laugh at the question those four men hedged about all evening and never quite dared to ask, looking at the lot of us, hicks in overalls, farmers in canvas pants and plain shirts: Which of you plays the role of the man? As if we had to produce a carbon copy of their mistakes!164

La fantascienza, per questi critici, assume dunque la forma di una costante riflessione sull’identità, sia essa sessuale o razziale, e sulla possibile progettualità consentita o meno dalle norme sociali vigenti.

Identità problematica non solo in termini di separazione fra generi e dislocazione di potere, ma anche in relazione alle abitudini amorose, a sessualità difficilmente ascrivili all’interno di una rigida concezione binaria (si pensi ai Ghenteniani di Ursula Le Guin,165 ermafroditi senza attributi univoci, che ogni 26 giorni diventano

alternativamente maschi o femmine) oppure identità in bilico tra l’uomo e un qualcos’altro che non è solo la macchina (il cyborg, come già detto) ma pure un soggetto razzialmente e biologicamente diverso. Se poi si pensa alle mutazioni post- nucleari o ai mondi virtuali che sempre più spesso, a partire dal progressivo successo dell’informatica consumer, hanno suggerito la creazione di universi finzionali dove tutto era concesso, continuo reinventarsi oppure continuo rinforzo di vecchie regole in nuovi mondi, si capisce come la fantascienza sia anche una proficua misurazione dell’alterità.

Critical race theory, queer theory, virtual theory, approcci postcolonial e via dicendo

potrebbero essere quindi ricondotti all’interno di una corrente più ampia che è postmoderna in quanto individua nel moderno una fissità identitaria ormai sfaldata, a seconda dell’angolazione adottata, o dal crollo delle ideologie o dall’irruenza dei flussi finanziari ed informativi. Come notato da David Harvey “l’aspetto più liberatorio e quindi più affascinante del pensiero postmoderno è la sua preoccupazione per la

164 Joanna Russ, When It Changed, in Harlan Ellison (a cura di), Again, Dangerous Visions, New York, Doubleday, 1972, p. 7.

«diversità».166

Si sceglie di non affidarsi a questi approcci, ma di rifarsi maggiormente a Suvin e a Jameson, perché si ha l’impressione che la loro elaborazione sia quella che meglio permette di cogliere in che modo la fantascienza possa essere storicamente compresa e contestualizzata. Una preferenza, questa, che non vuole però tradursi in disinteresse per i temi sopra elencati, quanto nell’annoverarli, insieme a molti altri, all’interno della fantascienza nella sua totalità, compresa quindi come una letteratura capace di trattare i molteplici ambiti della vita contemporanea. La scelta quindi ricade su questa metodologia critica perché ne riconosce l’utilità all’interno di un lavoro storiografico; ciò significa che se non si possono ignorare le innumerevoli e continue discussioni che percorrono il consesso degli studiosi di questo ambito letterario, si può almeno considerarle con serenità e trarne alcune utili indicazioni.167 Nell’introduzione al Cambridge Companion to Science Fiction, Farah Mendlesohn riconoscendo che “sf is a

battleground between different groups of fans, and different groups of critics” dichiara pure che “Science fiction is less a genre – a body of writing from which one can expect certain plot elements and specific tropes – than an ongoing discussion”.168 Noi nel voler

riconoscere questa natura prismatica del fenomeno, che apre a diverse impostazioni e preferenze critiche, crediamo non si possa però rinunciare ad una parte importante dell’apparato teorico già esposto, come il concetto di genere e l’inclusione di questo all’interno delle dinamiche della letteratura di massa.169 Le considerazioni del prossimo

paragrafo credo aiuteranno ad isolare almeno uno dei procedimenti formali fondamentali per la fantascienza pur senza costruire steccati troppo limitanti.

166 David Harvey, La crisi della modernità, Il saggiatore, Milano, 1993, p. 67.

167 Per una panoramica di alcune delle riserve suscitate dall’influente apporto di Suvin e per i vari confronti all’interno del consesso dei critici vd. Giulia Iannuzzi, Distopie, viaggi spaziali,

allucinazioni. Fantascienza italiana contemporanea, Mimesis, Milano, 2015. In particolare

l’introduzione ed il primo capitolo.

168 Farah Mendlesohn, Introduction: reading science fiction, in Edward James e Farah Mendelsohn (a cura di), The Cambridge Companion to Science Fiction, Cambridge University Press, New York, 2010, p. 1.

169 Sempre in questa introduzione viene detto che la sf sarebbe “a mode of writing which has seemed to exist at variance from the standards and demands of both the literary establishment and the mass market (because, whatever else it is, sf literature is not popular, even while “sci-fi” movies pack the cinema). Mi pare che se va certo riconosciuta l’ambiguo posizionamento, anche commerciale del genere, le vendite, da sole non possono giustificare cosa sia o meno letteratura di massa.