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Lui era Walt. Possedeva una navicella Jaguar XXB Sport, capace di una velocità massima di quindicimila miglia all'ora. Le sue camicie provenivano dall’Italia e le scarpe erano made in England. Aprì gli occhi e il piccolo televisore-orologio General Electric posto vicino al suo letto si accese automaticamente, sintonizzato sullo show del mattino del grande infoclown Jim Briskin. […] Era sabato e non doveva recarsi al lavoro, fino a Palo Alto, alla Ampex Corporation. Invece - e ciò suonava meravigliosamente alle sue orecchie - aveva un appuntamento con la sua ragazza, Pat Christensen, che possedeva un piccolo appartamento moderno su a Potrero Hill.291

Quella appena riportata è una delle allucinazioni di gruppo che permettono ai coloni di sopportare l’ambiente ostile e repellente del pianeta Marte immaginato da Philip Dick nel suo Le tre stimmate di Palmer Eldritch. Costretti a vivere in miseri cubicoli sotterranei e a lottare ogni giorno per guadagnarsi il pane, i lavoratori marziani trovano sfuggente soddisfazione nelle fantasie di gruppo coadiuvate dalla potente droga Can-D. Il rifugio più naturale dalle brulle e polverose pianure del pianeta rosso è un paradiso americano stereotipato, che assomma spiagge californiane, bikini striminziti e frivoli gadget futuribili. Come ha fatto notare Jameson quello presente in questo trip è un futuro quale si poteva ingenuamente immaginare negli anni Cinquanta: Dick, da provetto apocalittico paranoide, sa che questo paradiso non può essere nient’altro che un’illusione di breve durata, subito turbata da forze ben più sinistre.292

Nell’immaginazione fantascientifica della metà degli anni Sessanta, Marte è già divenuto un incubo, una frontiera su cui si proietta lo sfruttamento lavorativo e non la libera progettualità americana. Dieci anni prima, Marte, pianeta rosso, è la sede del ridicolo regime comunista del Colonnello Ogg del breve cartone di propaganda

Destination Earth, che manda sulla Terra un messo per carpire i segreti della ben più

291 Philip K. Dick, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Sellerio, Palermo, 2000, p. 28.

292 Fredric Jameson, History and Salvation in Philip K. Dick, in Id., Archeologies of the Future. The

florida utopia consumista americana. Tornato sul pianeta natale l’esploratore Horace rivela, sconcertato, che sulla Terra non solo il grande Leader si muove su quattro ruote, ma che tutta la popolazione si serve di meravigliosi congegni chiamati automobili, efficienti e potenti. A sostegno del benessere terrestre stanno due segreti sconvolgenti: il petrolio e la libera impresa

It isn’t just oil companies that try to undo each other competing for the costumers’ dollars. The same story is true of almost every successful business enterprise in America. The result: a higher standard of living in USA that in any other country on the whole planet!293

Il filmato, prodotto nel 1954 per conto dell’American Petroleum Institute, serve in primo luogo come celebrazione del ruolo delle compagnie petrolifere nell’indirizzare le magnifiche sorti dello stile di vita americano, ma testimonia, attraverso il riuscito filtro fantascientifico, l’ideologia accennata nel precedente capitolo che connette le libertà di impresa e di spesa ai diritti democratici.

Spero questa breve digressione sia servita a dare conto di come esistano nell’immaginario diverse rappresentazioni degli anni Cinquanta e di come la fantascienza sia uno strumento che si è prestato in questo periodo a declinazioni ideologiche molto varie. Il decennio del dopoguerra è fatto di contrapposizioni fra visioni del mondo ma anche di aperto conflitto (soprattutto, per noi, quello in Corea, iniziato nel giugno del 1950), di benessere consumista e di propaganda. Quando ho intrapreso i lavori per questa tesi la mia attenzione era centrata principalmente sul ricercare le diverse visioni che la fantascienza aveva fornito dei mezzi di comunicazione di massa: ben presto mi sono reso conto che più che apparire isolati, radio, televisione e le loro immaginarie controparti, esistevano in un universo narrativo complesso, in cui la paura del controllo mentale nasceva dai mass media ma si estendeva fino ad includere il mondo del consumismo e delle politiche militari. Lo spettro dell’immaginazione fantascientifica, insomma, rispecchiava l’intreccio di fattori della realtà. Lizabeth Cohen ha definito gli Stati Uniti post-1945 una consumers’ republic, in cui l’acquisto in massa di beni divenne una responsabilità civica, il tratto caratterizzante del buon cittadino americano che è partecipe della ricchezza della sua nazione poiché mentre ne gode i frutti ne stimola anche la produzione. La televisione, che anche simbolicamente era

l’oggetto cui ero portato a concentrarmi, si inserì in un circuito economico che cambiò il volto della società americana.294

Un comodo punto di partenza per descrivere la situazione è l’esplosione del mercato edilizio e dell’acquisto di abitazioni: il cosiddetto GI Bill del 1944, garantendo mutui ad un tasso di interesse vantaggioso, consentì a milioni di americani (insieme all’operato della FHA, la Federal Housing Administration) di acquistare un’abitazione di nuova costruzione. Si erano create le condizioni per il diffondersi del nuovo fenomeno abitativo dei suburbs, in cui nuovi quartieri periferici sorgevano al ritmo vertiginoso consentito dalle nuove tecniche costruttive e dalla domanda, spropositata, per un nuovo modo di abitare.295 Una nuova casa, in periferia, significava allontanarsi

dal centro e anche dai luoghi di lavoro, determinando quindi l’ulteriore importanza dell’automobile e stimolando la costruzione di infrastrutture. Le nuove case in provincia, avevano da riempire, oltre ai garage, i loro saloni e le loro cucine e incentivarono una rinnovata spinta all’acquisto di pezzi d’arredamento e sofisticati elettrodomestici. Non a caso, proprio Lizabeth Cohen ha definito l’agglomerato suburbano sorto in questo decennio come “the landscape of mass consumption”, servendosi di quella terminologia paesaggistica su cui ci siamo soffermati nel primo capitolo.296 Oltre alle lavastoviglie e ai frigoriferi, simbolo eccellente di un paese che

mai più doveva temere la fame, iniziarono a campeggiare nei salotti delle famiglie, prima più abbienti e poi middle-class, i set televisivi, che contendevano alle radio il posto d’onore nel cuore della casa americana. Questa distribuzione casalinga deve essere tenuta in grande conto, soprattutto perché si lega alla rinnovata importanza assunta dagli ideali della “domesticity” durante gli anni Cinquanta, e alla restrizione degli spazi di libertà femminile. Lynn Spiegel ha indagato in maniera approfondita i modi e le questioni di questa colonizzazione dello spazio familiare, soffermandosi sul modo in cui il mondo delle riviste femminili commentò questi cambiamenti, e ha calcolato che alla fine del decennio una cifra vicina al novanta per cento dei nuclei familiari statunitensi era in grado di ricevere e godersi le trasmissioni televisive. Prima di giungere a questi risultati, tuttavia, il nuovo mezzo aveva dovuto superare alcuni

294 Lizabeth Cohen, A Consumer’s Republic. The Politics of Mass Consumption in Postwar America, Alfred A. Knopf, New York, 2003.

295 Ibid., pp. 118 – 141; riguardo i problemi e la discriminazione legati a questo boom edilizio vd. pp. 194 – 227.

ostacoli.297

La televisione era stata commercializzata per la prima volta a seguito della trasmissione, il 30 aprile 1939, del discorso inaugurale della World Fair di New York, tenuto dal presidente Roosevelt. Già pioniere della comunicazione politica di massa grazie alle sue fireside chats, il presidente comparve sui teleschermi grazie all’impegno profuso dalla RCA di David Sarnoff, che nel padiglione a lei dedicato mise in vendita i frutti delle sue ricerche tecnologiche e che da New York iniziò le prime trasmissioni.298

L’avvicinarsi della guerra pose inevitabili difficoltà e restrizioni al diffondersi del nuovo mezzo, ma consentì un ulteriore miglioramento tecnico che sfociò in una grande capacità produttiva al momento della pace. Dopo le prime trasmissioni di prova, l’avvento del teleschermo, alla fine degli anni Quaranta, sembrava pronto a saldarsi al montante benessere consumistico e ad accompagnare la serena esistenza della nuova famiglia americana.

Tra il 1949 e il 1950 il numero di apparecchi aumentò di quattro volte e mezzo, raggiungendo la cifra di 3,9 milioni che diventarono circa quindici due anni dopo, nel 1952, raggiungendo il trentaquattro percento delle case, per poi ritrovasi nel 1956 ad occupare quasi il sessantacinque percento dei soggiorni americani.299 Simbolo di

quest’esplosione fu Uncle Miltie, com’era soprannominato il conduttore del primo popolarissimo varietà televisivo della NBC The Texaco Star Theatre Vaudeville Show, Milton Berle. A riprova dell’importanza rivestita degli ideali familiari nelle dinamiche del consumo, Berle legò il suo successo anche al suo ascendente sul pubblico più giovane: numeri e commentatori sono concordi nel ritenere che inizialmente la televisione fu più comune fra quanti avevano figli in età infantile.300 Nonostante

l’esaltante rapidità della diffusione, durante i primi anni della televisione molte zone rimasero tagliate fuori ed il costo di un set per la ricezione rimase ingente; a queste difficoltà si aggiunsero inoltre le restrizioni dovute alla guerra in Corea e al rilascio

297 Lynn Spigel, Make Room for Tv. Television and the Family Ideal in Postwar America, The University of Chicago Press, Chicago, 1992.

298 Per la storia della RCA, nata nel 1919 come costola della General Electric vd. Eric Barnouw, Tube of

Plenty. The Evolution of American Television, Oxford University Press, New York, 1990, pp. 21-33 e

68 – sgg; per un resoconto della prima trasmissione si vedano invece le pp. 91 – sgg.

299 Per i dati vd. Arnaldo Testi, Il secolo degli Stati Uniti, Bologna, il Mulino, 2008, pp. 169-189; James L. Baughman, The Republic of Mass Culture. Journalism, Filmmaking, and Broadcasting in America

since 1941, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1992, pp. 45 – 46.

300 James L. Baughman, Same Time, Same station. Creating American Television, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, 2007, pp. 50-55.

delle licenze da parte della Federal Communication Commission (FCC).301

La televisione era un mezzo relativamente giovane, che però si inserì in un sistema commerciale e burocratico già ampiamente sviluppato e complesso, innanzitutto ereditando l’organizzazione basata sui principali networks statunitensi, con il loro altalenante rapporto con l’autorità politica e con gli sponsor. In secondo luogo l’emergere del tubo catodico coincise con il consolidarsi delle pratiche di esclusione e censura legate al maccartismo, che complicarono l’ascesa del mezzo e guidarono molte scelte di contenuto. L’inserimento di personalità creative nelle famigerate blacklists iniziò nel mondo del cinema, quando la HUAC, dopo le prime udienze, ostracizzò dieci sospetti filosovietici e proseguì nei primordi del decennio successivo alla radio e alla televisione con Red Channels: The Report on Communist influence in Radio and

Television, il libello conservatore che denunciava centinaia fra scrittori e presentatori

come simpatizzanti radicali, spingendo gli advertisers a ritirare il loro sostegno. La prima presidenza Eisenhower, contrariamente alle aspettative, non allentò il clima persecutorio, nominando all’interno del FCC due collaboratori del senatore McCharty, la cui immagine iniziò a declinare solo a partire dal 1954, grazie in parte anche alla copertura che i canali ABC e Du Mont fornirono dei confronti fra rappresentanti delle forze armate statunitensi e il politico del Wisconsin.302

Evidentemente, il nuovo strumento di comunicazione assunse fin da subito un notevole rilievo politico, tanto che già nel 1952, quando come abbiamo visto la penetrazione televisiva nel paese non era ancora determinante, il candidato repubblicano alla presidenza, Dwight D. Eisenhower, basò la sua campagna anche sulla presenza all’interno del piccolo schermo, per mezzo ad esempio degli spot Eisenhower Answers

America e del famoso siparietto riguardante il candidato vicepresidente Nixon.303 Lo

stile della comunicazione politica si stava rinnovando attraverso l’adozione di tecniche di marketing e di riproduzione televisiva volte a scolpire per i vari candidati un’immagine riconoscibile e positiva. La natura visuale del medium televisivo introdusse una variazione nel rapporto con l’elettorato, inteso ora anche come audience e quindi portato a criteri di scelta non solo strettamente politici. Nonostante il carisma e le doti retoriche avessero senza dubbio ricoperto un ruolo importante anche in

301 Eric Barnouw, A History of Broadcasting in the United States, III, Oxford University Press, New York, 1970, pp. 5 – 13; ma vd anche Branouw, Tube of Plenty, cit., pp. 112 - 117.

302 Barnouw, Tube of Plenty, cit., pp. 121 – 130 e 151 – 154. 303 Ibid., pp. 135 – 140.

precedenza, l’approccio televisivo sembrò aumentarne l’influenza e costrinse i Democratici ad adattarsi. Nella tornata elettorale successiva, nel 1956, il candidato del partito precedentemente sconfitto decise di affidarsi ai responsabili di una delle più iconiche campagne pubblicitarie degli anni Cinquanta: l’agenzia Norman, Craig and Kummel creatrice di I Dreamed I Was Walking in My Maidenform Bra.

Gli annunci per la vendita di biancheria intima della Maidenform, audace sfida al codice morale di rappresentazione vigente, avevano inaugurato l’uso del richiamo sensuale nei consigli per gli acquisti, ottenendo largo successo ma scatenando anche polemiche e ritrosie. Le oniriche modelle ed il loro provocante messaggio ci introducono ad un altro protagonista del benessere americano: il mondo della pubblicità. Dopo aver prosperato grazie a periodici e giornali e dopo aver conquistato la radio, plasmandone la natura intrinsecamente commerciale, l’advertising si trovò durante la guerra a propagandare le ragioni del conflitto e contribuì a dare forma ad una parte dell’immaginario della Cold War, trovandosi a pace conclusa nella posizione ottimale per cavalcare il boom del consumo e partecipare all’ascesa del mezzo televisivo.

Il rinnovato vigore di Madison Avenue nel dopoguerra è riflesso non solo dall’aumento degli investimenti nel campo, ma anche dai cambiamenti a cui esso andò incontro nel decennio (la maggiore rilevanza del dato visuale, il legame sempre maggiore fra brand e testimonial celebri, l’avvicinarsi di un modello basato su specifici target e non solo sull’appeal ad una massa indistinta di consumatori) e dal ruolo egemonico che la televisione rapidamente assunse quale strumento pubblicitario.304

Capace di stimolare l’immaginario e la psiche con sensazioni nuove, installata direttamente nel cuore privato della vita americana, pervasiva e persuasiva come la sola voce o le sole immagini non potevano essere, la televisione sembrava il perfetto coadiuvante di un’America il cui tempo libero doveva essere interamente dedicato al consumo o all’attesa di esso. Non vi furono, in effetti, molte esitazioni sulla strada da intraprendere nell’organizzare e regolamentare il nuovo mass media: pur con il controllo del FCC e i progressivi eventuali obblighi di inserire programmazione di interesse pubblico, la televisione praticò fin dall’inizio quello che Peppino Ortoleva ha definito “un universalismo del consumo: si indirizza cioè all’intero corpo sociale […] trattandoli tutti alla pari, come potenziali consumatori”.305

304 Ferdinando Fasce, Le anime del commercio. Pubblicità e consumi nel secolo americano, Carocci, Roma, 2012, in particolare le pp. 111 – 162.

Almeno inizialmente, gli sponsor misero in pratica quanto già attuato alla radio, assumendosi la responsabilità della creazione dei programmi che gli inserzionisti finanziavano dopo aver acquistato la fascia oraria messa a disposizione dal network: stando ai dati citati da Fasce ancora alla metà degli anni Cinquanta un terzo dei programmi erano realizzati dalle agenzie pubblicitarie, che conformavano i contenuti ai dettami ideologici, morali e di gusto dei loro committenti.

Gli anni Cinquanta, visti dal teleschermo americano, furono gli anni dei programmi ripresi e trasmessi in diretta, delle anthology series del Philco Television

Playhouse che riprendevano la tradizione colta del teatro, del giornalismo posato di See It Now , delle sit-com episodiche, ma anche dei format più smaccatamente orientati alla

soddisfazione degli appetiti degli sponsor. La golden age of television, come viene a volte definita la prima metà del decennio, non era fatta solo di sofisticati dramas, ma pure di giochi a premi come The $64,000 Question, che, sostenuto dall’azienda cosmetica Revlon, iniziò le trasmissioni nel 1955. Il quiz si rivelò un successo straordinario, suscitando subito un’orda di imitazioni e di adattamenti, anche all’estero, e garantendo alla Revlon introiti fantasmagorici.306

La società statunitense si trovava dunque, nel periodo preso in esame, immersa in una rete culturale, economica, sociale e comunicativa, in cui il consumo era un’esperienza chiave, che dava forma ai prodotti d’intrattenimento e disegnava linee di demarcazione fra gli invitati agiati e gli esclusi, lasciati ai margini dell’opulenza, non ammessi nei suburbs, sottorappresentati in televisione. Non solo gli afroamericani ma in generale le classi più disagiate erano rimosse dal palcoscenico, nella paura che la loro lotta per una fetta della torta turbasse l’atmosfera di positività che ammantava la cornucopia televisiva.307

Per iniziare il nostro percorso attraverso le rappresentazioni che Galaxy ha fornito di questo panorama, dunque, propongo di muoverci, piuttosto che in ordine cronologico, a partire da un testo esemplare, in cui i media e soprattutto la pubblicità, con i suoi guadagni e la sua competizione, occupano il posto principale.

306 Barnouw, A History of Broadcasting in the United States, III, cit., pp. 56 – 58.

307 Bruno Cartosio, Anni inquieti. Società media ideologie negli Stati Uniti da Truman a Kennedy, Editori Riuniti, Roma, 1992.