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Dall’Altro all’Io: il processo di “costituzione-sostituzione” dell’Io

4. UN UMANESIMO DELLA PASSIVITÀ

4.1 Dall’Altro all’Io: il processo di “costituzione-sostituzione” dell’Io

In Totalità e Infinito è emersa l’affettività pre-gnoseologica del Medesimo come propensione che lo indirizza ad incontrare l’Altro, a sviluppare un originario sentimento di responsabilità e a privilegiare l’etica rispetto alle altre branche della filosofia.

Quest’ultima è stata definita “filosofia prima” perché fondata sul sentimento pre- originario antecedente la stessa possibilità di comprensione, che permette al soggetto passivo di ricevere l’insegnamento e di accogliere il comandamento dell’altro uomo. A differenza di Totalità e Infinito, che è un saggio sull’esteriorità e sull’alterità, Altrimenti che essere si presenta come un saggio sull’interiorità, come l’Altro nel Medesimo. Il tema della trascendenza del volto altrui è pressoché assente, ad esso si sostituisce la centralità della soggettività del Medesimo.

Molti sono gli aspetti che differenziano le due opere: in primis, la relazione all’Altro non emerge più come faccia a faccia, ma come ossessione e trauma. Alla metafora del volto subentra quella dell’ostaggio, dell’Io incarnato che si spoglia della propria pelle per l’Altro e che si sacrifica fino alla morte per il prossimo.

Anche la passività, nel passaggio da un’opera all’altra, assume una determinazione differente: in Totalità e Infinito viene maggiormente enfatizzata la passività che si produce in presenza dell’Altro, che si “attiva” grazie al volto, in Altrimenti che essere, emerge soprattutto la passività originaria che precede l’incontro dell’Altro.

Si potrebbe definire “passività derivata” quella originata dall’Altro e “passività creaturale o originaria” quella che è generata dal Bene stesso ed è inscritta nell’anteriorità di un tempo mai stato presente, immemorabile e proveniente da una dimensione non

ontologica. La passività originaria è “sempre stata” ed è solo esclusivamente grazie ad essa che si genera la costituzione passiva dell’uomo.

La passività ha un ruolo determinante, se non addirittura fondante, per la nuova concezione della soggettività e per il processo di costituzione dell’Io partendo dall’Altro. Soggettività che, nata e indirizzata dalla passività, deve necessariamente diventare, in un secondo momento, attività per il bene altrui, senza determinarsi come potere e senza che l’atto entri in collisione con la totalità. La passività non può essere solo uno stato d’animo con cui ci sentiamo predisposti ad accogliere l’Altro e ad essere responsabili, né può essere solo capacità di vedere la sua povertà, ma deve diventare attività d’accoglienza e di responsabilità.

La soggettività diviene addirittura “maternità”, nel senso di “gestazione dell’altro nel medesimo”307, che si produce concretamente come impossibile in-differenza nei suoi confronti. Dietro il per-l’altro della prossimità si nasconde sia la passività originaria con cui il Medesimo si sente convocato ad essere responsabile, sia quella che ribalta la sua stessa struttura di soggetto esponendolo e offrendolo all’Altro senza riserve, senza ritegno, malgrado sé. La soggettività è, dunque, immediatamente espiazione per-altri al punto da far affermare a Levinas, riprendendo le parole di Rimbaud, che l’”Io è un altro”308. Attraverso la sostituzione del Medesimo all’Altro la passività diviene sopportazione delle sue colpe, paralisi di ogni assunzione di potere e indeclinabilità dell’obbligo a cui siamo chiamati. Essa contrasta fino in fondo l’intenzionalità, incapace di comunicare e di aprirsi all’Altro: i limiti dell’identità esplodono, l’Io è espulso dalla sua stessa identità per fare spazio all’Altro e per agire in favore dell’Altro.

307 Altrimenti che essere; cit. p. 94. 308 Ivi, cit. p. 148.

L’atto di costituzione dell’Io è, quindi, descrivibile solo come passività assoluta, ricevuta ancor prima di poterla accogliere, come lo stesso “si” del verbo pronominale;309 “si” che non indica un atto di riflessione, ma la stessa “modalità della passività che, attraverso la sostituzione, è al di là di ogni passività. (…) come puro sradicamento da sé ”310. Questo ritorno a sé, il se stesso espresso nel “si”, rivela il “sopraggiungere”311 di una condizione che sorge da se stessi senza derivare da un atto di coscienza:

Il se stesso non può farsi, esso è già fatto di passività assoluta e, in questo senso, vittima di una persecuzione che paralizza ogni assunzione che potrebbe svegliarsi in esso per porlo per sé.312

La libertà e l’assunzione sono, dunque, escluse dalla dimensione di passività originaria: esse appartengono ad un livello successivo. Nella prima fase il soggetto deve primariamente de-porsi per agire e affermarsi come responsabile dell’Altro, senza primariamente deporre l’identità, senza espellere l’io, l’azione rimarrebbe violenta. L’azione concreta è necessaria ed è richiesta dall’etica ma, per non essere violenta, deve sempre essere originata dalla passività con cui il Medesimo subisce e si sostituisce all’Altro, deve diventare una “modalità della passività che, attraverso la sostituzione, è al di là di ogni passività”313.

Collegato al tema della sostituzione troviamo quello di ostaggio; scrive Levinas in Quattro Letture Talmudiche: “Noi non siamo al mondo liberi dinanzi agli altri e semplicemente loro testimoni. Siamo i loro ostaggi”314. Il termine “ostaggio” risente di

309 La particella pronominale “si “ va qui tenuta distinta dall’“on” del soggetto anonimo heideggeriano. 310

Altrimenti che essere; cit. p. 174.

311 Ivi, cit. p. 131: (…) l’atto di costituzione sopraggiunge per originarsi. 312 Ibidem.

313 Ivi, cit. p. 174.

quello di “prigioniero” che, come Levinas ricorda in una conversazione con Michaël de Saint-Cheron, è stato conosciuto solo dopo la persecuzione nazista.315 Essere ostaggio, al di là della sofferenza che comporta, riceve: “une signification qui peut être glorieuse. Cette misère de l’otage a une certaine gloire, dans la mesure où celui qui est otage sait qu’il court le risque d’être tué pour un autre”316

. Sostituirsi, non usurpando il posto dell’altro, ma nel farsi ostaggio dell’altro e nel correre il rischio di essere uccisi al suo posto: questo è il significato più profondo della passività.

È grazie alla condizione passiva dell’ostaggio che nel mondo ci può essere pietà, compassione, perdono e prossimità.317

Prima di comprendere il significato più profondo di essere ostaggio l’uno-dell’altro, ci può essere utile riflettere sulla condizione stessa dell’ostaggio proposta dalla studiosa Christine de Bauw.318 L’ostaggio non è soltanto un prigioniero, il prigioniero ha un nome e la sua detenzione è per un motivo che lo riguarda, perché deve scontare una colpa che ha commesso, al contrario, l’ostaggio è detenuto per accidente, per un motivo che non lo concerne e per una colpa che non ha commesso. L’ostaggio è forzato ad essere se stesso perché deve scontare la colpa di qualcun altro: la sua identità non ha contenuto, non ha valore per se stessa. L’assenza di identità che caratterizza il detenuto-ostaggio e la passività radicale a cui l’Io è costretto nell’atto di sostituzione all’Altro originano la soggettività stessa del Medesimo e divengono determinazioni etiche.

Essere ostaggi dell’Altro significa essere esposti e perseguitati dall’Altro ma, al contempo, significa accogliere l’Altro in se stessi e mettersi fin da principio nella sua

315 Michaël de Saint-Cheron, Entretiens avec Emmanuel Levinas (1992-1994), Le livre de poche, Paris, 2006; cit. p. 31. 316

Ibidem: una significazione che può essere gloriosa. Questa miseria dell’ostaggio ha una certa gloria, nella misura in cui colui che è ostaggio sa che corre il rischio di essere ucciso per un altro (trad. mia).

317 Altrimenti che essere; cit. pp. 147-148: L’incondizione di ostaggio non è il caso limite della solidarietà, ma la condizione di ogni

solidarietà.

condizione di perseguitato. Il valore originario della soggettività è da ricercare nella struttura passiva del Medesimo e nella bontà stessa che genera il disinteressamento del sé e fa esplodere l’identità. Il rovesciamento dell’Io per l’Altro, che diviene gratuità del sacrificio, è possibile solo se l’Io è primariamente eletto dal Bene per compiere il bene. Interessanti a questo proposito sono le riflessioni di Sergio Labate che mette in evidenza in che modo il Bene non possa dirsi imposto al Medesimo, ma si debba considerare come un dono, un’offerta. Se la bontà fosse imposta perderebbe il suo carattere di bene, sarebbe più vicina alla violenza che non alla pace. Il Bene è offerto all’uomo nel dono stesso della vita. 319 La nascita rappresenta questa offerta, questa donazione di bontà che esclude qualsiasi imposizione e che viene ricevuta attraverso la coincidenza della passività di ricevente del dono e di donatore a sua volta. Donatore che, nel proprio sacrificio, diviene dono offerto ad Altri per volere del Bene stesso. Scrive, infatti, Levinas: “esistenza di sacrificio imposto – sacrificata piuttosto che sacrificantesi”320. La valenza sacrificale imposta dal Bene al Medesimo è sofferenza, “dolenza del dolore”321 e costrizione che giunge fino alla negazione totale del Medesimo che si espone alla morte per salvare l’Altro.

Il sacrificio rivela una tragicità di fondo, una violenza fatta al Medesimo dal Bene stesso. In realtà, la violenza è soltanto ad un livello superficiale, per comprenderne il significato più profondo dobbiamo riportarla ad una dimensione etica.

La violenza dell’immolazione non arriva fino all’atto compiuto del sacrificio: il Bene ferma Abramo prima che possa compiere il più grande dei sacrifici richiesti all’uomo. Nel racconto biblico del sacrificio di Isacco emerge al meglio l’idea di espiazione e sostituzione come movimento etico senza compimento, come legatura senza suicidio, come sacrificio simbolico volto al bene, infatti, alla fine del racconto è sacrificato solo

319 Sergio Labate, La sapienza dell’amore, in dialogo con Emmanuel Levinas, Cittadella Editrice, Assisi, 2000; cit. pp. 184-204. 320 Altrimenti che essere; cit. p. 63.

l’agnello, Isacco e il padre sono salvati. Né il sacrificio né l’ostaggio costituiscono una violenza, giacché sono sempre mossi dal Bene per fare il bene: sono manifestazioni d’amore. Riprendiamo le parole di Levinas in un colloquio con Bernhard Casper svoltosi a Parigi nel 1981: “…non lasciarlo solo. Tutto ciò descrive l’essere ostaggio. E l’essere ostaggio è forse solo un nome più forte per dire l’amore”322.

Il timore per la morte dell’Altro, che arriva fino alla possibilità di sostituzione del Medesimo nella sua morte, fino al sacrificio supremo, supera l’ontologia del Dasein heideggeriano. Infatti, Heidegger riteneva che l’affettività fosse sempre “di” qualcosa che turba contemporaneamente ad un’emozione provata “per” se stessi (doppia intenzionalità del “di” e del “per” che si esprime al meglio nell’emozione per eccellenza dell’angoscia “della” e “per la” propria morte). Nella riflessione levinassiana, al contrario, il Medesimo non è angosciato per la propria morte, ma per quella dell’Altro: “è un timore mio, ma per nulla un timore per me”323.

Per comprendere al meglio in che modo la struttura etica della soggettività come sostituzione superi l’impostazione heideggeriana dobbiamo primariamente esaminare in che modo la sostituzione si contrapponga alla costituzione dell’Io, intesa come posizionamento e come usurpazione del luogo di qualcun altro.

Il cominciamento assoluto della soggettività si genera sempre dal per-l’altro ma, mentre in Totalità e Infinito essa ha origine dall’accoglienza del visage, in Altrimenti che essere ha origine dalla sostituzione-espiazione.

La linea di confine tra i concetti di sostituzione e usurpazione è molto sottile, nonostante i loro significati siano esattamente l’uno l’opposto dell’altro. La sostituzione indica un movimento di passività e di arretramento dell’Io per far spazio all’altro, l’usurpazione al

322 In ostaggio per l'Altro; cit. p. 22.

contrario, indica un atto di posizione e un movimento di offensiva, di avanzata e di conquista. L’Io si sostituisce all’Altro non con lo scopo di usurparne il posto privilegiato, ma di cedergli il “proprio posto al sole”324.

Nel momento in cui il Medesimo prende in carico anche le colpe dell’Altro, fino a sentire il peso dell’universo e a sentirsi responsabile di tutto,325 la passività arriva alla radice più profonda del suo significato etico. L’illimitatezza della passività, tale da non porre limiti alla responsabilità e alla colpevolezza, è gratuità senza esaurimento, dono e offerta che non trovano compimento: il Medesimo è colpevole universalmente, “davanti a tutti per tutti”326

.

La studiosa Gabriela Basterra327 nella sua descrizione della colpevolezza del Medesimo ritiene che essa non rappresenti né il principio né l’effetto del dovere etico, ma che indichi unicamente la pura passività. In essa non si è ancora originata l’azione per-l’altro né la libertà suscitata dalla responsabilità: la colpevolezza può diventare etica se, e solo se, ad essa subentra l’azione della responsabilità; di contro, la responsabilità deve necessariamente originarsi dalla colpevolezza di accusato e dalla passività con cui accogliamo l’Altro.

Sarebbe proprio nell’impossibilità di trovare un fondamento della soggettività nel soggetto stesso e nel fatto che alla sua interiorità si sostituisca l’esteriorità dell’Altro che, secondo Agata Zielinski, si ritrovano gli elementi fondamentali che ci possono portare a definire il pensiero levinassiano come “un’analitica esistenziale originata dalla passività

324 La coscienza non-intenzionale, in Tra Noi; cit. p. 165: Citiamo ancora Pascal: “É il mio posto al sole, ecco l’inizio e l’immagine

dell’usurpazione di tutta la terra”.

325

Altrimenti che essere; cit. pp. 145-147.

326 Ivi, cit. p. 183: Ciascuno di noi è colpevole davanti a tutti per tutti ed io più degli altri. Espressione più volte citata nelle opere di

Levinas, tratta dai Fratelli Karamazov di Dostoevskij.

327 Gabriela Basterra, Activité au-delà de toute autre activité, in Emmanuel Levinas: Les territoires de la pensée, Danielle Cohen-Levinas

del soggetto”328. La soggettività etica ritrova nella passività uno dei suoi principi fondamentali: l’indeclinabile esposizione all’Altro. Unicamente grazie alla costituzione passiva di sub-jectum il Medesimo non si costituisce a partire da se stesso, ma dall’Altro: è l’Altro che lo costituisce e che, non solo gli dà un’identità e lo rende attivo donandogli nuove possibilità, ma lo rende umano. L’ “anima paralitica”329con cui veniva descritto il Medesimo in Totalità e Infinito è finalmente “azionata” dalla stessa passività.

Possiamo così comprendere perché l’accusativo sia il “primo caso”330 del Medesimo: l’accusativo differisce dal nominativo per il fatto che, mentre quest’ultimo indica colui che compie un’azione, l’accusativo indica colui che la subisce. Il Medesimo è convocato dall’Altro prima di ogni possibilità di decisione, prima di ogni libera scelta, nell’estrema passività dell’esposizione ad altri: “passività illimitata di un accusativo che non è il seguito di una declinazione che esso avrebbe subito a partire dal nominativo"331. Il Medesimo, accusato, non ha alibi né nascondigli o possibilità di deleghe, la sua coscienza non può mai essere pacificata nei confronti dell’Altro: il processo di giustificazione non lo riguarda. La soggettività declinata all’accusativo rivela paradossalmente l’identità stessa del soggetto che agisce e si autodisciplina per fare spazio all’Altro: grazie ad essa si determina il superamento dell’attività del soggetto intenzionale e dell’attaccamento all’essere, per arrivare ad un nuovo significato di atto, attività e azione. Il Medesimo non è il soggetto delle sue azioni, agisce seguendo le direttive dell’altro uomo, per questo, l’azione non rientra nella dimensione dell’attività intenzionale né in quella della coscienza autoreferenziale, perché è originata sempre dall’esterno: il soggetto dell’atto dell’Io è l’Altro.

328 Agata Zielinski. Levinas, La responsabilité est sans pourquoi; cit. p. 55. 329 Totalità e Infinito; cit. p. 210.

330 La coscienza non-intenzionale, in Tra Noi; cit. p. 164. 331 Altrimenti che essere; cit. p. 150.