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2. LA SVOLTA DELLA PRIGIONIA E LA SCOPERTA DELLA CATEGORIA DELLA

2.1 I Quaderni di prigionia

Emmanuel LEVINAS Prigioniero rimpatriato dallo Stalag XIB Rds 1492 Matr. II607874

L’esperienza della guerra e, in particolare, quella della prigionia dello stesso Levinas hanno un ruolo fondamentale nello strutturarsi del pensiero del filosofo, nella scoperta della categoria della passività originaria e nel radicale allontanamento dalla filosofia tradizionale. Dopo la guerra, la fenomenologia husserliana, quella heideggeriana e nel complesso tutta la tradizione greca appaiono ancor più responsabili del fallimento della civiltà occidentale.

Le riflessioni sull’il y a, sull’insonnia, sulla genesi dell’esistente, sulla categoria dell’ebreo e sulle tematiche cardine del pensiero levinassiano si comprendono solo a fronte della drammatica e tragica esperienza vissuta nel campo di concentramento. Nel trionfo del non-senso e dell’anonimato di cui parla Levinas riferendosi all’il y a e nella de-personalizzazione che tale condizione procura al soggetto, si può ben figurare la stessa situazione che il giovane filosofo dovette subire negli anni di reclusione nel campo di concentramento.

Internato, Levinas si ritrova totalmente passivo, in balìa di forze e voleri esterni, catapultato in una situazione che non avrebbe mai immaginato di sperimentare: situazione che, proprio in virtù della sua assurdità e drammaticità, consente una piena visibilità sulla precarietà della morale occidentale e ne determina le condizioni per un superamento.

La prigionia è dunque il momento traumatico centrale per un ripensamento e approfondimento di problematiche che fino a quel momento non erano mai totalmente emerse nella storia del pensiero europeo.

Secondo Giovanni Lissa75 sarebbe stata proprio l’esperienza della prigionia ad aver rivelato concretamente a Levinas la categoria della passività assoluta. Scrive Lissa:

(…) la guerra mise il soggetto umano di fronte allo specchio della sua impotenza, e l’obbligò a gettare uno sguardo acuto sul fondo oscuro del suo essere e a prendere atto di quanto estesa sia l’area di passività che vi annida. (…) nei campi di prigionia esso era sottoposto a una pressione formidabile che addossandolo al nudo fatto di esistere lo spogliava della sua soggettività di soggetto, gli impediva di ricompattarsi, di reagire, di essere qualcuno e, abbandonandolo al fluire delle emozioni, ne disintegrava completamente la libertà. 76

È nella situazione concreta della guerra, descritta da Levinas come la “fine del mondo”77, e nell’esperienza vissuta sulla propria pelle della perdita del senso, della “provvisorietà della vita”78, della minaccia sempre prossima di morire solo e lontano dalla famiglia79 che “si afferma la relazione fondamentale che ci ricollega all’essere”80

.

Negli anni della guerra l’oscurità dell’essere comincia a far sentire sempre più il suo brusio e, tanto più si rende soffocante, quanto più reclama la necessità di un’evasione da tale situazione insostenibile.

Nella prigionia l’uomo è passivo, vive nell’incertezza e non ha la sicurezza di un avvenire: ciò che gli rimane è il disincanto verso la realtà. Il mondo perde la sua

75 Giovanni Lissa, Critica all’ontologia della guerra e fondazione metafisica della pace in E. Levinas, in “Giornale critico della filosofia

italiana”, fondato da Giovanni Gentile, G.C. Sansoni – Editore, Sesta serie, Volume VII, Anno LXVI, Gennaio-Aprile 1987; pp. 119-174.

76 Ivi, cit. p. 131.

77 Emmanuel Levinas, Autrement que savoir, con degli studi di Guy Petitdemange et Jacques Rolland, Editions Osiris, Paris, 1988; cit.

p.60: Il est cependant exact que le génocide ou la Shoah, comme on l’appelle en Israel, dans son horreur de « fin du monde (…) ».

78 Francois Poirié, Emmanuel Levinas, Actes Sud, Arles, 1996 ; cit. p. 74 : C’est paradoxale, tout était provisoire en quelque manière, on

se demandait à quoi cela servait, et si on s’en sortirait.

79 La spiritualità del prigioniero israelita in Quaderni di prigionia; cit. p. 213: Ero solo con la morte. 80 Dall’esistenza all’esistente; cit. p. 15.

consistenza, le forme si decompongono, e le cose smarriscono il loro senso e la loro finalità: “(…) il trono è un pezzo di legno, i gioielli schegge di vetro, ecc. Ma non voglio parlare semplicemente della fine delle illusioni; piuttosto della fine del senso”81.

Al cospetto di un mondo che “fa dubitare di tutto ciò che era stato insegnato sul Bene e sul Male”82, nulla appare più sensato e umano.

Le reazioni dei milioni di ebrei di fronte all’insensatezza del nazionalismo e della persecuzione furono differenti, non descrivibili in un unico movimento e non rappresentabili in una visione unitaria e omogenea. Accanto a episodi di coraggiosa resistenza e di ribellione armata nei ghetti, nei campi di concentramento e nei campi di sterminio troviamo per la maggior parte casi di passiva opposizione spirituale e di una riscoperta della propria fede giudaica.

Esposti alle sofferenze fisiche e a quelle psicologiche, costretti al duro lavoro, spogliati di ogni bene proprio, così come di ogni certezza, gli ebrei, che fino a quel momento si erano sentiti parte integrante della comunità, si scoprono diversi agli occhi del mondo e si ritrovano irrimediabilmente e indissolubilmente inchiodati al proprio giudaismo:

Ammassato nelle baracche o nei Kommandos speciali (…) il prigioniero israelita ha ritrovato bruscamente la sua identità di Israelita. (…) Abituato da tempo a considerarsi come appartenente alla Comunità francese ha conosciuto l’immenso dolore di esserne escluso, ma risospinto verso il suo giudaismo vi ha attinto altra cosa che l’amarezza dell’oltraggio e della vergogna.83

La prigionia rivela agli occhi dell’ebreo la propria categoria di ebreo; in essa l’ebreo ritorna alla sua “dure essence”84 senza possibilità di fuggire da tale esito, allo stesso modo

81 Quaderni di prigionia; Quaderno 5, cit. p.140. 82

La voce d’Israele, Audizione del 25 settembre 1945, L’esperienza ebraica del prigioniero in Quaderni di prigionia; cit. p. 218.

83 La spiritualità del prigioniero israelita in Quaderni di prigionia; cit. pp. 213- 214.

84 Emmanuel Levinas, Eros ou Triste opulence in Eros, littérature et philosophie, Essais romanesques et poétiques, notes

philosophiques sur le thème d’éros, a cura di Danielle Cohen-Levinas e David Stidler, Editions Grasset et Fasquelle, Imec Editeur, 2013; cit.

in cui veniva descritto il soggetto inchiodato all’essere negli scritti antecedenti alla guerra.

È come nel momento in cui il gioco del bambino perde il suo carattere di gioco,85 come se il mondo apparisse per la prima volta per quello che realmente è, nel quale ogni fantasticheria ed illusione rivelano la loro inconsistenza. La scoperta della propria condizione di ebreo non lascia più alcun margine di gioco; alcuna possibilità di tornare alla vita quotidiana precedente alla presa di coscienza del proprio giudaismo. Da tale consapevolezza però non emerge “un’esperienza di rivolta (…) che vorrebbe evadere dalla bassa realtà”86, come nel caso dell’incatenamento alla vischiosità dell’essere esposto in Dell’evasione. Di fatto, nei Quaderni di Prigionia si presenta per la prima volta la categoria del giudaismo come “categoria ontologica”87, opposta a quella del Dasein heideggeriano, e come luogo di origine per un ripensamento della soggettività: “Partire dal Dasein o partire dal G.”88

. Soltanto partendo dal giudaismo “Il Bene ridiviene Bene, il Male, Male”89. Nella passività della condizione di ebreo si anticipa la passività etica della condizione di ostaggio. Infatti, la passività di essere incollati alla propria condizione ebraica non è la stessa di essere incatenati all’esistenza; mentre in quest’ultima si avverte fin da subito il bisogno di evadere e cercare un altro punto di partenza, che non sia l’abbraccio onnicomprensivo e spersonalizzante dell’essere, nel giudaismo assistiamo ad un fenomeno inverso.

85 Dell’evasione; cit. p. 14: (…) l’amabile gioco della vita perde il suo carattere di gioco. (…) annuncia l’istante preciso in cui l’infanzia

ha fine e definisce la nozione stessa di serietà.

86 Ivi, cit. p. 15. 87

Quaderni di prigionia; Quaderno 2, cit. p. 86: “G. come categoria”. Levinas scrive soltanto l’iniziale delle parole “giudaico” e

“giudaismo”, forse perché, come suggeriscono Rodolphe Calin e Catherine Chalier nell’Introduzione ai Quaderni di prigionia, nel caso in cui i quaderni fossero stati scoperti dai nazisti Levinas avrebbe potuto proteggersi dalle accuse; cit. p. 27, nota 18.

88 Ibidem.

Seguendo l’ipotesi dello studioso Dan Arbib90, in Levinas l’umanità dell’uomo è dedotta e sviluppata proprio a partire dalla sua condizione di ebreo, vale a dire, a partire dall’esperienza di prigionia dello stesso: “La prigionia deve essere pensata nella sua globalità, come situazione etica”91.

Per giungere al cuore del significato più intimo dell’umanità, secondo Arbib, Levinas opererebbe una sorta di riduzione, in senso fenomenologico, sempre più etica e profonda: primariamente, nella riduzione dell’uomo ad ebreo e, secondariamente, da ebreo a prigioniero. Una riduzione che arriva al nucleo della sofferenza e della passività come costitutive dell’essere umano stesso e non di un solo popolo eletto. Essere prigionieri, ostaggi, non per un fatto accidentale, ma per la nostra stessa costituzione di uomini, come “condizione ontologica”. Se il Dasein è il filo conduttore per la questione dell’essere, l’ebreo lo è per quella etica: soltanto la categoria del giudaismo apre ad una nuova dimensione dell’essere umano.92

La prigionia permette, dunque, di precisare alcuni punti: innanzitutto, consente a Levinas di scoprire la dignità umana nella situazione ove essa viene maggiormente negata ed è a partire da tale paradosso che il filosofo riconquista il senso dell’umano, completamente dimenticato dall’occidente. In secondo luogo, in essa il prigioniero sperimenta il “sigillo del provvisorio”93 e la vera passività esistenziale: “L’esistenza quotidiana si giocava all’incrocio della vita e del nulla” 94

. La privazione a cui l’ebreo è costretto gli restituisce

90 Dan Arbib, “L’Election de la souffrance”, La captivité de l’Israélite comme “schéma émotionnel”, in Levinas et l’expérience de la

captivité, a cura di Danielle Cohen-Levinas, Editions Lethielleux, 2011; pp. 31-47.

91 Ivi, cit. p. 39: (…) c’est à partir de la captivité que se pense toute situation éthique. La captivité doit être pensée comme situation

éthique.

92 Ivi, p. 40.

93 Prigionia in Quaderni di prigionia; cit. p.208.

il senso dell’essenziale e gli insegna che per vivere bastano poche cose e piccoli spazi: gli permette di comprendere “la differenza tra avere ed essere”95.

La situazione eccezionale vissuta dai prigionieri è come un risveglio improvviso dei “nobili sentimenti”96

, della moralità e dell’impegno verso gli altri compagni: “Prends sur toi la suffrance des autres”97. Le passioni individuali svaniscono in vista della Grande Passione che i prigionieri si preparano a vivere. 98

Nella condizione di provvisorietà della vita e di passività di fronte alla “sofferenza inutile”99 Levinas intravede una nuova umanità e religiosità, opposta a quella dei carnefici nazisti. Nell’esperienza dello scarto dagli altri uomini, l’ebreo si apre alla trascendenza, riscopre la propria spiritualità, la “sete di Dio, orgogliosamente inconfessata”100 e la possibilità di trasformare il proprio dolore in speranza101: “L’umiliazione ha ripreso il sapore biblico dell’elezione”102.

Levinas parte dalla sofferenza della prigionia per giungere alla concettualizzazione dell’esperienza dell’elezione scoperta nella sofferenza stessa. Grazie ad essa il male può essere addolcito:

Ebbrezza di tale sofferenza inutile, di questa passività pura attraverso cui si diviene come il figlio di Dio. Infanzia. Questo è molto importante: il “subire” puro non è una sensazione della prevaricazione del mondo. (…) Ma il subire diviene qui filialità.103

95 Prigionia in Quaderni di prigionia; cit. p. 208. 96 Eros o Triste opulenza; cit. p. 46.

97 Ibidem. 98 Ibidem. 99

Quaderni di prigionia; Quaderno 7, cit. p. 185.

100 La spiritualità del prigioniero israelita in Quaderni di prigionia; cit. p.212.

101 La voce d’Israele, Audizione del 25 settembre 1945, L’esperienza ebraica del prigioniero in Quaderni di prigionia; pp. 219-220. 102 La spiritualità del prigioniero israelita in Quaderni di prigionia; cit. p.213.

La positività della passività si conferma nella passività totale dell’abbandono a Dio, nella scoperta della propria missione e della propria elezione a cui ogni uomo non può che rispondere “Eccomi”. È qui che ci ricolleghiamo al passo biblico del Sacrificio di Isacco, richiamato nei Quaderni di Prigionia. In esso Levinas fa riferimento al colloquio avvenuto tra Abramo e Isacco durante il cammino verso il Monte Moria, il luogo indicato dal Signore per compiere il suo volere. In particolare, Levinas fa riferimento all’ultima tappa del viaggio, al silenzio che dopo tre giorni viene interrotto da una domanda del figlio al padre:

Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Padre mio!». Rispose: «Eccomi, figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l’olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso si provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!». Proseguirono tutti e due insieme.

Genesi 22, 6-8

Levinas non cita il versetto, ma ci sembra opportuno aggiungerlo per chiarire in che modo la passività di Isacco di fronte ad Abramo e dello stesso Abramo di fronte a Dio rappresenti la Passività Universale. Isacco, un giovane forte e vigoroso, avrebbe potuto ribellarsi di fronte alla comprensione di essere stato portato sul Monte Moria per essere sacrificato, ma preferisce non reagire e rispettare il volere del padre. Allo stesso modo Abramo, che avrebbe potuto rinnegare l’ordine divino e il proprio destino, li accetta e accondiscende ad offrire in sacrificio il proprio unico figlio.

Il personaggio di Abramo è il modello a cui gli ebrei sono tenuti ad identificarsi e la sua obbedienza e passività divengono l’emblema della relazione che gli ebrei intrattengono con Dio. Gli ebrei di fronte all’esclusione e alla volontà nazista di annientarli riscoprono

questa forza della passività originaria e salvifica. Essi sono “risospinti verso il loro giudaismo”, in esso cercano “rifugio”104 e trovano conforto:

Nella passività totale dell’abbandono, nel distacco da tutti i legami - sentirsi come tra le mani del Signore, provare la sua presenza. Nell’ustione della sofferenza distinguere la fiamma del bacio divino.105

È interessante ravvisare che il termine “passività” del passo sopra citato è stato scritto a mano per correggere la parola “passione”. Il riferimento alla passione ci rinvia al nesso che la lega alla passività, così forte da poterle sostituire. Nella passività della sofferenza si scopre infatti la passività della Passione che il popolo d’Israele è costretto a subire, dapprima, durante gli anni dell’Esodo nel Deserto e, in seguito, durante la persecuzione. È proprio nell’estremo dolore che l’ebreo scopre i “segni dell’elezione”106, rivelatori della possibilità di avvicinarsi al Bene. Grazie alla propria e singolare elezione i tormenti e i supplizi provati durante la prigionia possono essere sopportati e la dissoluzione del soggetto nell’anonimato dell’essere può trasformarsi in unicità di eletto.

Nella svolta della sostituzione della passività del dolore in passività positiva si ripropone quindi la stessa situazione etica dalla quale si originerà l’idea, sviluppata nella riflessione matura, dell’uomo ostaggio dell’altro uomo. Il grado di estrema passività con cui il Medesimo si offre in ostaggio al suo offensore e si sostituisce all’altro nella sua condizione di miseria rispecchia tale paradosso.

104 La voce d’Israele, Audizione del 25 settembre 1945, L’esperienza ebraica del prigioniero in Quaderni di prigionia; cit. p. 217. 105 Ivi, cit. p. 219.

Contemporaneamente alla “sete” e al Desiderio di Dio, l’uomo prova quello di incontrare l’altro, il prossimo. L’idea che la vita spirituale non sia possibile se non partendo dagli altri trova i primi spunti proprio nei Carnets.