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4. UN UMANESIMO DELLA PASSIVITÀ

4.5 Ritorno all’origine ebraica

Prima di avviarci alla conclusione del nostro lavoro dobbiamo riportare in primo piano il giudaismo come orientamento etico in grado di rispondere alla questione del senso e come possibile “correttivo” per la stessa filosofia occidentale.

L’ebraismo è un privilegio indispensabile per cambiare ottica; privilegio scoperto nella sofferenza senza uguali sopportata dagli ebrei nei campi di concentramento, sotto il peso

della più crudeli brutalità; privilegio che, secondo Lissa, ha restituito all’ebreo la sua “identità più vera, quella che è riposta nel cuore di una sofferenza capace di rappresentare e di rendere evidente il senso della sofferenza universale”404.

Alla questione iniziale se sia possibile un’universalità del pensiero giudaico, rispondiamo di Sì. Essa è possibile perché persegue come valore religioso supremo quello della pace: unica condizione per “una società universale”405. Il giudaismo, promotore di valori morali universali, promuove un messaggio rivolto a tutti, trasmesso nell'idea stessa di fraternità universale, eletta e convocata ad un surplus di responsabilità nei confronti dell’umanità. Il popolo ebraico apporta a quello occidentale un patrimonio di valori indispensabile per un accordo pacifico di dimensioni planetarie: l’accoglienza dello straniero, indipendentemente dalla professione religiosa, è uno di questi.

Nel colloquio, già citato, con Bernard Casper, alla domanda su come si possa cambiare il mondo, Levinas risponde:

Io credo che se si vuole cambiare il mondo, bisogna sapere in quale direzione lo si vuole cambiare. c’è bisogno di un ordine dei valori, di un ordine valoriale. E questo, io credo, lo si trova solo nell’antica Bibbia.406

L’etica è la nuova ottica, ma questa ottica è l’ebraismo stesso: “L’etica non è il corollario della visione di Dio, è questa visione stessa”407. È un’ottica “diretta – senza mediazione di un’idea”408, è comportamento etico.

La passività etica è, dunque, da ricercare sia nella stessa religione ebraica sia nella drammatica esperienza vissuta dagli ebrei durante la persecuzione. Prigionieri, accusati,

404

Giuseppe Lissa, in Introduzione a L’aldilà del versetto; cit. p. 40.

405 Laicità del pensiero giudaico, in Dall’Altro all’Io; cit. p. 91. 406 In ostaggio per l’altro; cit. p. 35.

407 Quattro letture talmudiche; cit. p. 33. 408 Ivi, Lezione seconda, cit. p. 93.

ostaggi, perseguitati, sono tutti momenti vissuti dagli ebrei durante la Guerra; vissuti primariamente da uomini in carne ed ossa, sofferenti e prossimi alla morte:

Forse l’ebreo è colui che – per la storia disumana che ha vissuta – capisce l’esigenza sovrumana della morale, la necessità di trovare in sé la fonte delle proprie certezze morali. (…) Nell’ebreo s’annunzia un uomo di nuovo tipo.409

L’impossibilità etica di sottrarsi e farsi sostituire ci riporta proprio all’esperienza traumatica che gli ebrei vissero nei campi di prigionia; alla loro “elezione nella persecuzione”410, al trauma della loro unicità “non assunta”411 e all’obbligo di “passività che non si converte in spontaneità”.412

La passività è da rintracciare nella “scoperta dei segni dell’elezione nello stesso subire”413; in quel subire che diviene responsabilità, in quell’Eccomi che diviene messianismo, in quell’ascolto che diviene salvezza. La sofferenza inutile, testimone della persecuzione nazista,414 attesta la presenza divina, attesta la “passività pura attraverso cui si diviene come il figlio di Dio”415. Il giudaismo, prima di ogni teologia, è esperienza etica per eccellenza: è umanesimo.

Gli ebrei hanno “conosciuto una condizione inferiore a quella delle cose, una esperienza della passività totale, una esperienza della Passione”416 che gli ha permesso di riconoscere il carattere universale dell’etica.

409 Ivi, Lezione quarta, cit. pp. 145-146. 410 Altrimenti che essere; cit. p. 72. 411 Ibidem.

412 Ibidem.

413 L’esperienza ebraica del prigioniero in Quaderni di prigionia; cit. p. 219.

414 Quattro letture talmudiche; Lezione quarta, cit. p. 153: l’ebraismo l’ha insegnato. Il suo esporsi alla persecuzione è forse solo un

compimento di quell’insegnamento – compimento misterioso perché viene all’insaputa di coloro che lo compiono.

415 Quaderni di Prigionia; Quaderno 7, cit. p. 186.

Il giudaismo pone come valore supremo quello della pace e dell'uguaglianza di tutti gli uomini, ma “spetta all’uomo salvare l’uomo”417. Dio ha creato l’uomo passivo per essere predisposto ad accogliere l’Altro, ma questa passività non deve rimanere “ferma” e “impassibile”, deve mettersi in moto: “Il fervore religioso – scrive Levinas – si manifesta con atti e mai unicamente a parole. <<La fede senza le opere è morta>>”418. La passività se non diventa attività per l’Altro è sterile, perde la sua funzione etica.

L’umano, per potersi dire veramente tale, deve recuperare la passività, ritornare alla coscienza non-intenzionale, alla cattiva coscienza, alla possibilità di preferire l’ingiustizia subita a quella commessa e, come scrive Giuseppe Lissa, ad “amare l’umanità dell’altro prima di comprenderla”419. Sarà, allora, il monoteismo giudaico a porre fine al malinteso che si perpetua tra le nazioni: la cultura ebraica, scrive Levinas, “farà aprire i libri e i nostri occhi chiusi. É la nostra speranza”420.

L’umanesimo generato dalla storia di Israele e dalla sua testimonianza di sofferenza, di servitù e di deplorevoli crudeltà invita ad elaborare una nuova antropologia e storiografia, con la speranza di tracciare una differente storia per l’Occidente e di porre fine una volta per tutte al suo “triomphalisme”421.

417

Laicità del pensiero giudaico, in Dall’Altro all’Io; cit. p. 90.

418 Comandamento e amore, in Dall’Altro all’Io; cit. p. 132. 419 Giuseppe Lissa, in Introduzione a L’aldilà del versetto; cit. p. 47.

420 L’aldilà del versetto; cit. p. 290.