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Eros e fecondità: il Mistero della paternità e il non-ancora della morte

3. L’INCONTRO DELL’ALTRO E LA DISFATTA DELL’INTENZIONALITÀ, DEL

3.5 Eros e fecondità: il Mistero della paternità e il non-ancora della morte

L’incontro dell’amata ci apre ad una nuova dimensione del Medesimo, che non è più quella della prossimità, ma che è quella che desidera andare oltre il volto, al di là del mistero, per ricercarne il segreto e svelarne l’intimità.

Nella relazione erotica con l’amata il Medesimo desidera una prossimità sempre più prossima, talmente vicina da annullare la distanza richiesta dalla relazione etica; la relazione amorosa rischia costantemente di diventare fusione e puro soddisfacimento di un bisogno.

In realtà, questo bisogno non troverà mai soddisfazione, il godimento erotico non acquieta e non sazia il Medesimo, egli rimane in perenne attesa che l’amata si offra, riportandoci ancora una volta all’originaria passività del Medesimo:

Né sapere, né potere. Nella voluttà, altri – il femminile – si ritira nel suo mistero. La relazione con esso è una relazione con la sua assenza; assenza sul piano della conoscenza, l’ignoto; ma presenza

274 Ivi, cit. p. 88:Accoglienza d’Altri – il termine esprime una simultaneità di attività e di passività – che situa la relazione con

nella voluttà. Né potere: l’iniziativa non si situa nel punto di partenza dell’amore che nasce nella passività della ferita.275

Il piacere dell’erotico si afferma proprio nell’atto di donazione che prevede una duplice passività: quella di ricevente e quella di donatore. Denudandosi l’Io rinuncia alla propria sovranità, si offre e, al contempo, attende passivo che anche l’amata si doni. La relazione amorosa implica un riconoscimento reciproco della propria passività: quello della “passività dell’amore ricevuto”. Riprendiamo le parole di Levinas per comprendere al meglio questa affermazione e il contesto in cui emerge l’erotico come passività di donazione e come attesa e iniziazione dell’Io per l’Altro:

La voluttà trasfigura il soggetto stesso che trae allora la propria identità non dalla sua iniziativa di potere, ma dalla passività dell’amore ricevuto. È passione e turbamento, più che iniziativa, iniziazione costante ad un mistero. (…) Il soggetto nella voluttà scopre di essere il sé (ciò che non significa l’oggetto o il tema) di un altro e non soltanto il sé di se stesso. Nella relazione erotica c’è un caratteristico rovesciamento della soggettività, uscita dalla posizione, rovesciamento dell’Io virile ed eroico che, ponendosi, metteva fine all’anonimato del c’è (…).276

In questa attesa, la passività si tramuta in passione e turbamento: il Medesimo è travolto dalla passione che prova per l’amata, è sopraffatto dalla sua stessa voluttà perché subisce l’attrazione amorosa. La nudità dell’amata rende vulnerabile il Medesimo e, al contempo, lo turba, teme che il proprio sentimento non sia reciproco. Infatti, nell’erotico, diversamente dalla relazione etica, è richiesta la reciprocità, così come è necessaria una selezione personale, una scelta, un’esclusività e un’esclusione. Gli amanti devono scegliersi reciprocamente, devono seguire un criterio di selezione e, per farlo, è necessario che l’esteriorità dell’Altro, il volto dell’amato, venga alla luce pur rimanendo invisibile. L’amore guarda, ma lo fa “passivamente”, perché rinuncia alla visione come

275 Ivi, cit. p. 286. 276 Ivi, cit. p. 279.

atto di conoscenza e comprensione, come intenzionalità. Gli sguardi degli amanti, che si cercano e si incontrano, vorrebbero anche catturarsi, per questo, l’equilibrio dell’amore è precario e la tendenza alla fusione è sempre alle porte, celata nell’oblio della trascendenza dell’Altro.

L’eros, nella misura in cui viene privato della passività originaria, precauzione contro l’assimilazione e l’appropriazione, trasforma la prossimità in coincidenza e si tramuta in bisogno di possedere. L’equivoco che si cela nell’erotico rivela, dunque, l’ambiguità stessa insita nell’amore: nel desiderio della nudità dell’amata la spiritualità e l’inviolabilità divengono desiderio di profanazione e violazione.277

Il carnale è sempre in qualche modo profanazione dell’improfanabile, desiderio mai sazio, ma in nessun caso può essere ricondotto alla soddisfazione di un bisogno e al puro richiamo della voluttà. È vero che l’eros scopre il nascosto, ma questa scoperta non è disvelamento dell’Altro: il segreto e il mistero non vengono alla luce, l’Altro nel suo continuo ritrarsi, non si dà. Il desiderio dell’amata, che non decade in semplice bisogno e che non cerca soddisfazione né conquiste, si rivela concretamente nella carezza:

La carezza non si dirige né su una persona né su una cosa. Si perde in un essere che si dissipa come in un sogno impersonale senza volontà e persino senza resistenza, una passività, un anonimato già animale od infantile, già in punto di morte. (…) la carezza consiste nel non impadronirsi di niente (…). Essa cerca, fruga. Non è un’intenzionalità di svelamento, ma di ricerca: cammino nell’invisibile.278

Il movimento della carezza afferma la sua essenza di non-violenza, esprime il desiderio senza compimento e cerca l’alterità senza volerla afferrare, possedere e violare: “la sua intenzione non va verso la luce, verso il sensato. Totalmente passione, essa compatisce la

277 Ivi, cit. pp. 265-266: (…) dietro la notte dell’insonnia, la notte del nascosto, del clandestino, del misterioso, patria del

vergine, che nello stesso tempo, è scoperto dall’Eros e fugge l’Eros per esprimere in modo diverso la profanazione.

passività”279. La carezza è contatto con la pelle dell’Altro, è sensibilità che trascende la sensibilità stessa:280 tocca la materialità del corpo biologico e si dirige verso la carne, ma non ha quel fine. La carezza nega l’appropriazione e il possesso: esprime l’inafferrabilità dell’Altro. La carezza desidera l’amata nella sua alterità e nel suo mistero, ha fame di un corpo che nell’erotico abbandona il suo statuto di ente materiale e si spoglia della sua stessa forma per offrirsi nella sua trascendenza.

La carezza “non agisce, non si impadronisce”281, mantiene la prossimità e la non- coincidenza: è una ricerca dell’Altro nel contatto, che non annulla le differenze. La passività della carezza testimonia l’impossibilità della presa, l’assenza dell’Altro e il rovesciamento della soggettività:

Nella relazione erotica c’è un caratteristico rovesciamento della soggettività uscita dalla posizione, rovesciamento dell’Io virile ed eroico che, ponendosi, metteva fine all’anonimato del c’è e determinava un modo d’esistenza che dava sulla luce.282

Nell’eros è dunque necessaria la passività, sia come “passività dell’amore ricevuto”283

, sia come rovesciamento dell’Io sovrano. Nella relazione amorosa emerge la categoria della femminilità come dimensione costitutiva di ciascuno; femminilità come possibilità dell’Io di offrirsi all’Altro nel suo pudore, nella sua debolezza, nella non-violenza della passività e nella fragilità estrema e indifesa che diviene vulnerabilità.284

279 Ivi, cit. p. 267. 280 Ivi, cit. p. 265. 281 Ivi, cit. p. 266. 282 Ivi, cit. p. 279. 283 Ibidem.

Come abbiamo visto, la tentazione dei due amanti di isolarsi egoisticamente, come se fossero soli al mondo, è sempre presente; solo con il concepimento del figlio emerge una differente attitudine: quella in cui la figura dell’amante cede il posto a quella del padre. Grazie al mistero della fecondità il Medesimo si apre all’avvenire della paternità, mediante la quale supera il campo finito delle sue possibilità, rinuncia a sé e ai suoi progetti per includervi quelli che concernono il figlio.

Nella paternità il Medesimo ama se stesso amando primariamente il figlio; ama la progenie che trascende l’essere e che eccede ogni progetto che il padre aveva riservato per sé, in direzione di un avvenire che si fa senza di lui, ma che, tuttavia, lo riguarda. La vita, donata ad un essere attraverso la fecondità, ci conduce al miracolo della creazione e all’apertura di un tempo che oltrepassa la finitezza dell’essere e che va al di là della morte: la fecondità grazie alla discendenza “sfugge all’istante puntuale della morte”285

.

L’approssimarsi della morte che, secondo Sergio Labate, esprime una coincidenza di “fare” e “farsi fare”286

, di attività e di passività, scandisce il tempo dell’alterità e ci riporta all’idea del massimo dono che il Medesimo offre all’Altro: quello della propria vita. La morte biologica interrompe l’esercizio della vita, è passività assoluta, arresto e cessazione di qualsiasi attività, ma è proprio in essa, nell’attesa e nella pazienza con cui l’Io attende la propria fine, che si rivela una verità etica sorprendente: quella del “non- ancora”287

. L’Io scopre di avere altro tempo, non per se stesso, ma per donarsi un’ultima volta all’Altro, al figlio, all’amata.

Il non-ancora ha un’importanza fondamentale: testimonia un’eccedenza di vita rispetto alla morte e ci allontana dall’idea heideggeriana dell’essere-per-la-morte. La forza del

285 Ivi, cit. p. 54.

286 Sergio Labate, La sapienza dell’amore, in dialogo con Emmanuel Levinas; cit. p. 104.

non-ancora rivela una tensione che va verso l’altro dalla morte; esso è “un modo di essere contro la morte, un ritiro nei confronti della morte, nel senso stesso del suo inesorabile avvicinamento”288.

Nel momento finale della sofferenza, nel non-ancora dell’ultimo istante di vita, l’Io è ancora lì per-l’altro, scopre che ha ancora tempo per potersi offrire ad Altri e per donargli la sua vita e il suo amore. Questi doni liberano l’Io dal movimento che lo avrebbe ricondotto a sé: il Medesimo si ritira per far posto all’Altro, per accoglierlo donandosi. Il tempo della sofferenza e della passività, che preannuncia la morte, si converte così nel tempo che dedichiamo e regaliamo all’Altro; tempo della speranza, della pazienza e dell’avvenire della fecondità: “(…) questa estrema passività che si muta in atto e speranza, è la pazienza, la passività di subire e tuttavia, ancora, la signoria”289.

All’origine del tempo troviamo l’Altro, non la nostra coscienza: l’io non ne è il principio, non ha nessun potere sul tempo, subisce passivo il passare del tempo, subisce l’invecchiamento. Infatti, il soggetto non può veramente definirsi soggetto di fronte all’inarrestabilità del tempo, egli ne è soggetto, non il soggetto. Di fronte ad esso, così come di fronte alla morte e all’Altro, il Medesimo non può che essere passivo e paziente290: “pazienza come enfasi della passività. È questo l’indirizzo del seguente corso; la morte come pazienza del tempo”291.

La passività, come attesa e pazienza, testimonia una tensione verso l’altezza e l’oltre della vita, verso l’invisibile e l’inaccessibile della trascendenza e dell’Infinito, mai raggiungibili né conoscibili. La pazienza non è un’anticipazione intuitiva, ma il

288 Ibidem.

289 Ivi, cit. p. 244.

290 Emmanuel Levinas, Dio, la Morte, il Tempo, a cura di Silvano Petrosino, Editoriale Jaca Book, marzo 2003; cit. p. 47: Non

c’è alcuna azione nella passività del tempo, che è la pazienza stessa (si sottolinea così un approccio contrario a quello intenzionale).

sentimento di una presenza che si rivela nella sua assenza e che ha lasciato la sua Traccia nel volto dell’Altro. Come vedremo, la traccia invisibile incontrata nel visibile è il segno della presenza di Dio, della “curvatura verticale dello spazio”292 e della apertura alla dimensione escatologica del Tempo.

Ricapitolando, l’estrema “signoria” 293 con cui l’Io attende la morte rivela all’uomo l’uscita dal suo egoismo e dalla chiusura a cui lo aveva destinato il ritorno su se stesso dell’identità: la morte lo apre all’avvenire e al tempo dell’Altro. Nell’intermezzo dell’attesa di morire il Medesimo comprende che il proprio senso non è quello che vorrebbe Heidegger di essere un essere-per-la morte, ma quello di essere un essere-per- l’altro.

La morte non pone l’Io di fronte al nulla e alla fatticità della propria esistenza, ma di fronte all’avvenire assoluto, oltre il mondo della luce e della vita biologica.