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2. LA SVOLTA DELLA PRIGIONIA E LA SCOPERTA DELLA CATEGORIA DELLA

2.4 Essere ebreo

Pubblicato sulla rivista “Confluence” nello stesso anno del saggio Dall’esistenza all’esistente, il testo Essere ebreo tenta di definire l’identità ebrea che, come abbiamo

visto, non riguarda unicamente l’ebreo, ma tutti gli uomini: « l’âme humaine est peut-être naturellement juive »191.

La concezione esistenzialista mette in questione la passività originaria del soggetto, giacché pone il soggetto come un semplice fatto, in una condizione di alternanza tra passività e attività192: passivo, perché “il ne pas voulu”193 e, al contempo, libero, perché “personne ne l’a voulu”194

.

Rimuovere l’idea di un’origine ed esaltare la “gettatezza” dell’esistente significa esaltare l’immanenza e accettare la fatalità della storia, rinnegare la propria origine di creatura e agire contro la propria umanità: “La storia heideggeriana – imitazione di un eroe – eredità all’interno della creazione – crudeltà. Storia, azione, crudeltà”195. L’azione, che non tiene conto della creazione, è paragonata alla potenza196 e collegata al presente e al possesso: “Io = Io ho”197, un avere da cui è esclusa la capacità di donare. Ad un tale esito del pensiero, Levinas oppone il Mistero della passività del soggetto nella creazione e nell’elezione al Bene.

Creazione ed elezione esplicitano, come vedremo, la dimensione di passività originaria del soggetto: “se questo fatto è creatura, lo è in maniera assolutamente passiva”198. La passività che si riscontra nella creazione è la stessa di fronte alla quale viene posto il soggetto nel comandamento della Legge e nel fare la volontà di Dio.199

191

Emmanuel Levinas, Être juif, Suivi d’une Lettre à Blanchot, Introduzione di Danielle Cohen Levinas, Rivages Poche, Petite Bibliotéque, Parigi, 2015; cit. p. 62: l’anima umana è, forse, naturalmente ebrea (trad. mia).

192 Ivi, pp. 61-62.

193 Ivi, cit. p. 62: non è voluto (trad. mia). 194 Ibidem: nessuno l’ha voluto (trad. mia).

195

Quaderni di prigionia; Raccolta C, frammento 219, cit. p. 457.

196 Ivi, Raccolta C, frammento 219: cit. p. 456: L’attività è potenza. 197 Ivi, Raccolta C, frammento 209, cit. p. 453.

198 Être juif; cit. p. 62. 199 Ibidem.

Nei frammenti dei Quaderni di prigionia leggiamo: “La Creazione, cos’è positivamente? Non potere? Passività assoluta? Come pensare la Creazione al di fuori della coppia passività-attività?”200. La duplice relazione, da una parte, di dipendenza, e dall’altra, di indipendenza, che il soggetto intrattiene con il Creatore, richiama una passività assoluta, 201 presupposto del binomio attivo-passivo. Il soggetto che sorge come separazione assoluta dal Creatore è definito ateo, ma al contempo non può veramente dirsi tale, perché permane un legame dal quale non può distaccarsi: legame che diviene la sorgente etica nelle opere levinassiane successive. La dipendenza dal Creatore è svelata dalla coscienza morale della creatura, che è stata dotata della capacità di discernere il bene dal male e dell’impossibilità di rimanere indifferente di fronte ai mali dell’umanità. L’Io è eletto responsabile dell’Altro e, solo ed esclusivamente in virtù di questo incarico, può definirsi unico e non sostituibile. La responsabilità a cui ogni uomo è chiamato è “irremplacable, non interchangeable, ordonné à l’unicité”202

. La nozione di elezione, tale quale la presenta Levinas, non è una nozione religiosa, ma ha un’origine etica. L’elezione significa un “surplus d’obligations”203, ed è proprio in questi obblighi che si può trovare la traccia di Dio.

L’Eccomi che si annuncia nella passività del soggetto e di Abramo, non è tale per una decisione, ma per un comandamento che deriva dall’Infinito, dal Bene, dal Creatore e, proprio per questo, garante e testimone del Bene stesso.

Come vedremo, l’elezione, all’apice della significazione etica, conduce il soggetto a sostituirsi agli altri, fino a morire al loro posto.

200 Quaderni di prigionia; Raccolta C, frammento 224, cit. p. 458. Nel frammento 223 leggiamo: Dunque: definizione negativa della

creazione: né sapere, né riflessione, né ricordo, né storia, né mito. Il non potere? Passività assoluta?

201 Passività di creatura che viene ricordata anche dal festeggiamento del giorno dello Shabbat, nel quale ogni attività deve fermarsi

affinché il soggetto possa rapportarsi alla propria origine nel modo più puro, potremmo dire “passivo”.

202 Emmanuel Levinas, in Francois Poirié; cit. p. 138. 203 Ivi, cit. p. 139.

Ogni uomo è stato scelto, vale a dire eletto, senza l’esclusione degli altri e senza che venga fatta alcuna ingiustizia. Nell’elezione è presupposta una relazione come quella del padre nei confronti dei figli: ciascuno è figlio, senza preferenze e senza l’esclusione degli altri fratelli.

Ed è a partire dalla propria condizione di figlio ed eletto che si struttura la personalità, o meglio, “le mystère même de la personnalité”204, che porta Levinas a ritenere che sia proprio la “théologie” dell’ebreo a esplicitare la sua “facticité”205.

La fatticità dell’ebreo non assume i connotati dell’identità-ingombro dell’esistenza e nemmeno si fa sentire come esigenza di uscire da esso, piuttosto inaugura un cammino di riflessione sul significato delle esperienze traumatiche vissute dal popolo eletto e sull’aspetto morale della religione giudaica. In essa la relazione con Dio si stabilisce partendo dall’altro uomo e, in quanto tale, promuove un’umanità che ha come orizzonte l’umanità stessa: “Nel giudaismo, il conflitto non può sorgere perché, per esso, il rapporto con Dio non è concepito in nessun momento al di fuori del rapporto con gli uomini”206.

L’ebraismo pone termine all’egoismo e al particolarismo dell’identità del soggetto: l’ebreo grazie alla propria elezione è separato rispetto agli altri uomini, ma non è chiuso in se stesso, legato alla vischiosità del proprio Io e alla propria ipseità. Al contrario, in virtù dell’elezione egli si apre alla dimensione morale della religione giudaica, al terreno etico comune che unisce gli uomini, non solo quelli che professano la sua fede, ma tutti i popoli, in vista di una responsabilità universale. Di fatto, nel giudaismo è insita l’idea dell’erranza che porta il soggetto a non tornare su se stesso, alla propria identità e alla propria casa come Ulisse, ma lo apre ad un destino che non trova compimento.

204 Être juif; cit. p. 64.

205 Ivi, cit. p. 65.

A questo punto potremmo chiederci se: l’antisemitismo dei carnefici rivela una paura della propria passività? Paura di essere passivi di fronte all’impossibilità di svelare l’intimità di un popolo, di fissarlo e di oggettivarlo? Paura di non poterlo catturare negli schemi identificatori di uno Stato? Paura della sua erranza?

Per approfondire questo tema riprendiamo le parole di Levinas che nei Quaderni di prigionia definisce l’antisemitismo come: “la ripugnanza suscitata dall’ignoto dello psichismo altrui, dal mistero della sua interiorità, dalla pura prossimità dell’altro uomo (...)”207. Il mistero del giudaismo rende passivo colui che non lo conosce. La passività di fronte all’ignoto, se interpretata negativamente, come impossibilità di svelare il mistero, conduce ad un atteggiamento di sospetto, timore e chiusura nei confronti del mistero stesso. L’ignoto sfugge alla visibilità della luce, alla comprensione, all’intenzionalità, all'assimilabilità e alla possibilità di essere padroni.

Il desiderio di conoscere, prevedere e oggettivare la realtà, come abbiamo visto, perde potere di fronte all’ignoto e, in una cultura che si proietta verso la pianificazione di tutte le sue componenti, l’uomo vive con minaccia la privazione del potere di progettualità. La mancanza di previsione incide sull’equilibrio politico di una società che pone come paradigma essenziale il sapere, e non l’etica. Una società siffatta rende ben visibile la propria origine orientata al potere, fondata sul disinteresse verso l’umano e sull’esaltazione della razionalità e della facoltà di calcolo economico-logistico.

Lo attesta la guerra. La guerra ci ha permesso di comprendere nel modo più brutale, degenerato e distruttivo l’esito di un oggettivismo esasperato che porta ad una giustificazione della crudeltà stessa.

Una comunità chiusa, che considera negativamente il mistero dell’alterità e interpreta l’ignoto come fonte di malessere, e non come arricchimento, rifiuta l’ospitalità e teme

l’estraneo e lo straniero. La fonte di tale inquietudine è la passività stessa a cui l’uomo è costretto.

In questa prospettiva il mistero e la passività rivelano, da una parte, l’angoscia del soggetto di perdere il proprio potere e di vedersi negata la propria attività conoscitiva, e dall’altra, la diffidenza verso ciò che non può essere conosciuto, nonché la preoccupazione di fronte all’estraneità e all’in-appropriabilità dell’esteriorità dell’Altro. Gli uomini appartenenti ad una tale società sono accomunati dal medesimo sogno di compiutezza, esattezza e precisione e si rifiutano di guardare la realtà con altri occhi: si sentono rassicurati da una filosofia della luce, nella quale tutto viene svelato e nella quale trionfa la teoria.

“Cambiare ottica”208

significa invertire la rotta dell’umanità, considerare le differenze come risorse morali ed esaltare il segreto e l’enigma dell’umano come i più profondi insegnamenti etici. Una rotta opposta anche all’insegnamento platonico che poneva la luce come espressione della Verità, della Bontà e della Bellezza.

Nel mondo greco tutto ciò che ha a che fare con la verità e con il bene ha a che fare con la visione e con la luce. Il prigioniero liberato di Platone rientra nella caverna solo dopo aver fatto un’esperienza della luce, che è la stessa da cui scaturisce il suo dovere morale che lo dirige a ridiscendere dai compagni per liberarli a loro volta. Stesso viaggio circolare di Ulisse che, dopo le molteplici disavventure e peripezie, torna alla propria casa ad Itaca.

In entrambi ritroviamo un percorso di arricchimento conoscitivo, ma destinato a terminare nel proprio punto di partenza; origine che coincide, secondo la visione levinassiana, con il compimento dell’identità e con la propria esperienza particolare, in poche parole, con l’incapacità di incontrare l’alterità assoluta. Avremo modo di riprendere

il tema dell’erranza come sganciamento dall’origine analizzando il viaggio del personaggio biblico di Mosè nel capitolo successivo dedicato a Totalità e Infinito.

Il mondo greco è, dunque, un mondo “oculare”, che esalta la vista quale fonte primaria di conoscenza; nella religione giudaica, al contrario, il principio risiede nell’udito, nell’ascolto della parola profetica, tanto più che, come scrive Levinas, l’ascolto “non è una modalità della visione”209, ma è la voce stessa dell’etica che parla all’uomo, e non dell’uomo. Il privilegio dell’ascolto rispetto alla visione impedisce un’elaborazione concettuale e oggettivante di immagini teologiche; nei Quaderni Levinas ribadisce che “la visione non è all’origine”210

, al principio troviamo un ordine etico.211 La prima parola è infatti un comando che investe il soggetto: “Tu non ucciderai”212, alla quale il soggetto non può che rispondere come Abramo “Eccomi”. L’ascolto di un ordine, di una voce che proviene dall’alto, ci pone in un’ottica di altezza e a-simmetria, diversa rispetto a quella simmetrica della teoria e della visione, che mette sullo stesso piano oggetto e soggetto. Tale voce dell’etica precede ogni udito; l’uomo esegue l’ordine ancor prima di comprenderlo: “prima il fare, poi l’udire”, e ancora, “Perché Israele è paragonato ad un melo? Risposta: per insegnarvi che, come sul melo i frutti precedono le foglie, così Israele si è impegnato a fare prima di udire”.213

L’uomo è passivo di fronte all’ordine pre-originale della Toràh: non può scegliere di ascoltare o no quel comandamento perché è già inscritto nel suo essere, nel suo cuore. La Bontà ha già da sempre eletto il soggetto. L’impossibilità di sottrarsi a tale comandamento

209 Quaderni di prigionia; Raccolta C, cit. p. 412. 210 Ibidem.

211 Il pensiero ebraico del Novecento; pp. 10-12. 212 Etica e infinito; cit. p. 92.

213 Emmanuel Levinas, Quattro letture talmudiche(1968), prefazione e traduzione di Alberto Moscato, Il Melangolo Edizioni, 1982; cit.

deriva dal fatto stesso di essere creatura, la cui assunzione “non oltrepassa per niente la passività”214. Levinas chiama tale assunzione di responsabilità felix culpa215; essa appare nei connotati di una provocazione che si dischiude come qualcosa di incondizionato, come responsabilità alla quale nessuno è più sostituibile.

Il filosofo tornerà più volte sul tema dell’insostituibilità e dell’unicità dell’Io in qualità di eletto ad essere responsabile, possiamo comprendere il motivo di tale insistenza anticipando un passo di Altrimenti che essere:

Unicità significa qui impossibilità di sottrarsi e farsi sostituire, unicità nella quale si annoda la ricorrenza stessa dell’io. Unicità dell’eletto o del richiesto che non è elettore, passività che non si converte in spontaneità. Unicità non assunta, non sus-sunta, traumatica; elezione nella persecuzione. 216

Abbiamo finora introdotto e anticipato il tema della passività presente negli scritti giovanili, in virtù di un pensiero che è maturato progressivamente e che si è costruito sui pilastri delle prime intuizioni. Le opere successive che ci accingiamo ad analizzare procedono con la stessa componente critica dell’atteggiamento filosofico tradizionale e con lo stesso rimando ad un mondo pre-filosofico che è quello dell’ebraismo.

L’elaborazione progressiva della passività, sempre più distaccata da una dimensione razionale per andare verso quella sentimentale, ci fornirà la risposta e la chiave d’accesso alla struttura originaria della relazione etica.

214 Ivi, cit. p. 97.

215 Quaderni di prigionia; Quaderno 2, cit. pp. 82, 83, 92, ecc.

3. L’INCONTRO DELL’ALTRO E LA DISFATTA DELL’INTENZIONALITÀ, DEL