• Non ci sono risultati.

La “scissione” tra il godimento e l’accoglienza dell’Altro

3. L’INCONTRO DELL’ALTRO E LA DISFATTA DELL’INTENZIONALITÀ, DEL

3.4 La “scissione” tra il godimento e l’accoglienza dell’Altro

Nella II sezione “Interiorità ed economia” di Totalità e Infinito Levinas ritorna sulla tematica dell’ipostasi come soggettività separata, già delineata nell’opera Dall’esistenza all’esistente, per approfondirla e svilupparla in vista della relazione etico-metafisica con l’Altro. La soggettività separata si attua primariamente come “interiorità” del godimento generata dalla singolarità delle sensazioni di ciascuno, legate alla sfera privata delle percezioni. Nel godimento il principio della soggettività è l’Io stesso, ma è un Io innocente che ignora l’oggettività: il “vivere di…”257, non è meditazione sul godimento, è esso stesso godimento.

La separazione del soggetto dal mondo esterno non deve essere vista come conflittualità con l’Altro, ma come sviluppo di una propria individualità grazie al solipsismo del godimento e del bisogno: individualità che non è ancora quella del Medesimo, giacché la vera personalizzazione si ha soltanto con l’incontro dell’Altro.

Come abbiamo visto analizzando Il Tempo e l’Altro, l’evento dell’ipostasi che si esaurisce nel presente del godimento non ha futuro, è una solitudine e un egoismo senza nessuna apertura verso la vera alterità. Questa chiusura su di sé non si configura come chiusura verso gli altri, ma come quella dell’affamato che pensa solo a se stesso per sopperire alla propria fame.258

L’egoismo di cui parla Levinas non assume dei connotati morali, ma indica un orientamento del soggetto che ha sempre come fine l’ego:

257 Ivi, cit. pp. 114-115: vivere di…, cioè dipendenza (…) si muta in sovranità, in felicità essenzialmente egoistica” e più avanti

leggiamo, “la felicità è attuazione: è in un’anima soddisfatta”.

È un’esistenza per sé, ma non, inizialmente, in vista della propria esistenza e neppure come auto- rappresentazione di sé. È per sé, come nell’espressione “ognuno per sé”, per sé, come è per sé “ventre affamato che non ha orecchie”, capace di uccidere per un boccone di pane.259

Nel godimento non c’è ancora coscienza di tale godimento, coscienza che faccia guardare con distanza alla propria esistenza, Levinas non smette di ripeterlo: il soggetto è “immerso”260

nell’elementale e la sua soddisfazione è immediata.

L’io basta a se stesso, è autosufficiente e autonomo, si affida alla gratuità dell’ambiente e vive nell’immediatezza ma, l’avvenire incerto della gratuità e l’impossibilità di assicurarsi una durata, conducono il Medesimo a preoccuparsi per il domani, a scoprire il lavoro per appropriarsi dei nutrimenti e a creare un proprio spazio per goderne, la dimora. Prima di passare oltre, vale la pena analizzare in modo più approfondito in che modo la tematica della gratuità dell’elementale allontani totalmente Levinas dal pensiero heideggeriano.

L’indeterminatezza del futuro e il venir meno della gratuità dell’ambiente fanno emergere il vincolo a cui è legato il soggetto: vincolo che si identifica con la “libertà finita”261 del soggetto.262 L’uomo, nella dipendenza dalla gratuità degli elementi esterni, è passivo e, solo a fronte di una mancanza degli elementi stessi, deve adoperarsi per sopperire ad essi: “Nella preoccupazione del domani spicca il fenomeno originario dell’avvenire essenzialmente incerto della sensibilità”263.

Nella gratuità l’Io si dirige verso l’elementale passivamente, non trova ostacoli, non è posto di fronte ad una scelta o ad una assunzione delle possibilità, non deve ancora

259 Ivi, cit. p. 118. 260 Ivi, cit. p. 133.

261 Ivi, cit. p. 229-230: Non si tratta di una libertà finita in cui si produrrebbe una singolare mescolanza di attività e passività, ma

di una libertà originariamente nulla, offerta nella morte all’altro (…) là dove l’inesorabile è imminente.

262 Sergio Labate, La sapienza dell’amore, in dialogo con Emmanuel Levinas, Cittadella Editrice, Assisi, 2000; cit. p. 38. 263 Totalità e Infinito; cit. p. 152.

figurarsi un’avvenire, né deve auto-progettarsi a partire dalla propria condizione di gettatezza come è richiesto al Dasein. Scrive Levinas:

Nel godimento paradisiaco, senza tempo né preoccupazione, la distinzione dell’attività e della passività si confonde con il gradimento. (…) ma il suo gradimento manifesta la sua sovranità, sovranità che è esterna tanto alla libertà di una causa sui, che non potrebbe essere determinata da niente che le sia esterno, quanto alla Geworfenheit heideggeriana che, presa dall’altro che la limita e che la nega, soffre di questa libertà come soffrirebbe una libertà idealista.264

L’uomo si affida completamente alla gratuità e alla passività che lo spingono a relazionarsi al mondo-ambiente ma, in questo modo, non è libero né indipendente, perché non sceglie.265 L’indipendenza nasce solo a fronte del distacco dai contenuti del godimento immediato, attraverso la scoperta del lavoro e della dimora, attraverso la possibilità di raccogliersi e avere delle rappresentazioni.

Levinas parla a questo proposito di “intenzionalità della rappresentazione”266, ben distinta da quella che caratterizza il movimento del godimento immediato, definita “intenzionalità del godimento”267

. Infatti, la concezione dell’intenzionalità del godimento, come abbiamo visto, rimanda alla passività del soggetto immerso nell’ambiente da cui dipende; egli è sufficiente a se stesso, soddisfatto, ma senza garanzie per il domani: garanzie che gli verranno grazie ad una presa di coscienza della propria situazione, ad una rappresentazione del mondo esterno e ad una messa in moto dell’attività attraverso il lavoro.

L’intenzionalità come rappresentazione relaziona l’Io alla propria vita, il soggetto “sa di vivere di...”, non come nel godimento diretto in cui semplicemente “vive di...”; la rappresentazione istituisce delle relazioni con il mondo esterno, non mette in contatto

264 Ivi, cit. p. 167.

265 Sergio Labate, La sapienza dell’amore, in dialogo con Emmanuel Levinas; pp. 19-39. 266 Totalità e Infinito; cit. p. 128.

diretto l’Io con la sua vita e con i contenuti di essa, ma glieli anticipa e gli permette di distanziarsene. Per questo la rappresentazione “non comporta alcuna passività”268: essa è pura attività.

Per assicurarsi i nutrimenti e per scongiurare l’insicurezza dell’avvenire è necessaria l’intenzionalità come rappresentazione; soltanto con essa il Medesimo può scegliere un luogo dove riporli e poterne usufruire in intimità e dove poter oggettivare il mondo esterno. La dimora è la prima presa di coscienza sulla propria esistenza, la condizione per il raccoglimento e per la separazione a partire dalle quali si rende possibile il possesso, la donazione e l’accoglienza dell’Altro. Essa è il presupposto stesso per l’attività umana, non ne è il fine, ma il principio: “La familiarità è attuazione, una en-ergia della separazione. (…) Esistere significa allora dimorare”269.

Vale la pena analizzare maggiormente il duplice movimento, attivo e passivo, che il soggetto sperimenta, rispettivamente, nel lavoro e nella dimora. Mediante l’attività lavorativa il soggetto fa presa sul mondo e ne diviene sovrano e conquistatore, allo stesso modo in cui l’ipostasi diveniva sovrana della propria esistenza, dell’il y a.

La presa di possesso delle cose inserisce il Medesimo nella trama dello scambio commerciale e nell’economia del mercato: solo con l’epifania dell’Altro si assiste ad uno slittamento etico in cui l’Io si scopre immotivatamente privilegiato e decide di donare i propri possedimenti. Il possesso è la condizione stessa per andare incontro ad Altri, per accoglierlo, giacché “Nessuna relazione umana o inter-umana potrebbe esistere al di fuori dell’economia, nessun volto potrebbe essere incontrato a mani vuote e a porte chiuse”270 . 268 Ivi, cit. p. 126. 269 Ivi, cit. p. 159. 270 Ivi, cit. pp. 175-176.

Ma questa donazione, che si attua come paralisi del possesso, non deriva da un’iniziativa del soggetto né da una sua scelta libera, ma giunge al soggetto dall’Altro, nello stesso movimento che abbiamo già descritto parlando dell’idea di Infinito: “Altri – assolutamente altro – paralizza il possesso che contesta con l’epifania del volto. Può contestare il mio possesso solo perché viene incontro, non dall’esterno, ma dall’alto”271. La dimensione di autorevolezza e reverenza che proviene dalla miseria dell’Altro mette in imbarazzo l’Io per i propri possessi e lo rende desideroso di donarli. Il dono ha, quindi, un potere di liberazione del soggetto dal proprio Io, dalla propria identità, dal proprio dominio sull’Altro; è un’apertura sulla chiusura egoistica a cui lo aveva destinato il godimento e l’attività: il per-sé del possesso, diviene il per-l’altro del dono.

Il solipsismo del godimento rivela qui la sua positività perché garantisce la separazione e l’impossibilità di confusione tra il proprio sé e l’Altro e, al contempo, è nel suo superamento che si delinea la premessa necessaria ad accogliere Altri: “per poter rifiutare sia il godimento che il possesso è necessario che io sappia donare quello che possiedo”272.

Il volto d’Altri non solo convoca l’Io alla propria passività costitutiva, ma gli “offre nuovi poteri (…) dei poteri di accoglienza, di dono a piene mani, di ospitalità”273.

Il primo dono che il Medesimo porge all’Altro è quello della propria impotenza, quello di accettare la propria passività. Deporre il potere significa smascherarsi, ritornare alla propria origine di creatura investita del Bene e riscoprire la propria passività, quale genesi della responsabilità, della pazienza, della prossimità e dell’attività stessa.

271 Ivi, cit. p. 174. 272 Ibidem.

Dunque, se da una parte, il lavoro e l’economia della dimora mettono in risalto l’attività del soggetto, necessaria a garantirgli dei beni, dall’altra, anticipano la passività del Medesimo che nell’ospitalità e nel dono se ne priva per condividerli con altri. 274

Il dono è il simbolo della passività del Medesimo, non ha un valore per se stesso, ma assume un valore in quanto è donato all’Altro e in quanto si pone fuori da ogni logica di potere: la sua gratuità indica la non-violenza per eccellenza con la quale il Medesimo incontra l’Altro e lo accoglie nella propria dimora.