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Dall’anonimato all’unicità di eletto e convocato: la traccia, l’enigma, l’illeità e il Bene

4. UN UMANESIMO DELLA PASSIVITÀ

4.3 Dall’anonimato all’unicità di eletto e convocato: la traccia, l’enigma, l’illeità e il Bene

Bene.

L’al di là dell’essere da cui proviene il volto ci avvicina ai concetti di Traccia, di Enigma e di Illeità intimamente legati tra loro e totalmente contrapposti all’apparizione del fenomeno e al disvelamento del mistero dell’Altro. Essi rimandano ad un modo di manifestarsi senza propriamente manifestarsi, un modo di preservare il segreto e l’incognita grazie alla loro peculiare caratteristica di andare oltre la visibilità e di significare la Trascendenza. La Traccia in cui si situa l’alterità è un rimando ad Altro, che sfugge alla nostra attività di comprensione. Essa significa di per se stessa, senza divenire a sua volta significato oggettivo e tematizzabile: significa l’Illeità.

357 L’aldilà del versetto; cit. pp. 56-57.

L’illeità è un termine coniato da Levinas per indicare l’al di là dell’essere da cui proviene la Traccia, che si fa enigma proprio perché non è conoscibile, perché è “Pro-nome” che “segna col suo sigillo tutto ciò che può portare un nome”359

.

L’impronta del sigillo lasciata dal Pro-nome nel nome proprio di ciascun uomo sollecita la responsabilità del Medesimo fino al sacrificio per l’Altro: è una “insinuazione”360 che “acquista il senso di una convocazione che può dar luogo solo a un essere come la soggettività”361. La trascendenza divina ha lasciato la sua traccia nell’umanità dell’uomo, nella prossimità con cui il Medesimo incontra l’Altro e vi si sostituisce: nella stessa possibilità della passività etica. 362

La traccia della passività rinvia al Bene, ritrovato nella soggettività di ciascuno, e spiega il significato della responsabilità antecedente alla scelta tra il bene e il male. L’Io si ritrova marchiato con il sigillo del Bene e si scopre già eletto e passivo prima che si origini l’alternativa tra passività e attività:

(…) la dismisura dell’Infinito, che ha effetto sull’Io anarchicamente, si imprime come traccia nella passività assoluta – antecedente ad ogni libertà -, si mostra come “Responsabilità-per-Altri”, che questa affezione suscita.363

Il sigillo del Bene è da ricercare nella stessa passività con cui viene accolto: “nell’impossibilità di sfuggire a Dio” che “abita in fondo all’io come sé, come passività

359 Altrimenti che essere; cit. p. 229.

360 Enigma e Fenomeno, in Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger; cit. p. 247. 361

Ibidem.

362 L’aldilà del versetto; cit. p. 211: L’illeità si esclude dall’essere, ma lo ordina rispetto a una responsabilità, rispetto alla sua pura

passività, a una pura << suscettibilità >>: obbligo di rispondere (…). Né atteso, né accolto: il contrario sarebbe ancora una quasi attività, un’assunzione (…).

assoluta”364

. Il soggetto è radicato ad un passato immemorabile, mai stato presente, ritrovabile solo nella traccia di Bene che Dio ha lasciato in ciascun uomo; traccia che non permette alcun equivoco perché non ha rinvii simbolici. Essa è bontà intrisa negli stessi comandamenti ritrovabili nel cuore degli uomini:

Nella responsabilità per Altri, eccomi nel cuore di questa ambiguità dell’ispirazione. (…) la traccia di Infinito è questa ambiguità del soggetto. (…) si può chiamare profetismo questa inversione in cui la percezione dell’ordine coincide con la significazione di questo ordine istituita da colui che vi obbedisce. 365

La percezione dell’ordine divino diviene obbedienza in virtù della passività con cui la accogliamo, la traccia di Dio che in Totalità e Infinito sembrava derivarci dal volto dell’Altro, in Altrimenti che essere è inscritta nella testimonianza della soggettività stessa, nella risposta che il Medesimo dona all’Altro prima ancora che abbia compreso la domanda. Risposta che è già di per se stessa significazione della Trascendenza:

L’adesione al bene, per coloro che dissero “Faremo e udremo”, non è il risultato di una scelta tra il bene e il male. Essa viene prima (…) senza libera scelta.366

L’obbedienza incondizionata che precede la stessa comprensione dell’obbligo e la fedeltà assoluta al nostro istintivo e immediato sentimento di responsabilità verso l’Altro sono possibili solo in virtù della passività costitutiva di ciascun uomo: “Prima che mi chiamino io risponderò”367. La passività predispone il Medesimo ad accogliere il Bene senza possibilità di opporsi: la voce dell’etica, che precede ogni udito, coinvolge il Medesimo che adempie il suo compito prima ancora di ascoltare e comprendere il comando.

364 Altrimenti che essere; cit. p. 162.

365 Ivi, cit. pp. 186-187.

366 Quattro letture talmudiche; Lezione seconda, cit. p. 87. 367 Isaia 65, 24, in Altrimenti che essere; cit. p. 189.

Nell’Eccomi del Medesimo si scopre, dunque, il paradosso dell’ispirazione-profetismo: si scopre lo “psichismo stesso dell’anima”368 come “l’altro nel medesimo”369 e come “tutta la spiritualità dell’uomo – profetica”370. L’enigma della passività, enigma stesso della Trascendenza iscritta nella risposta del Medesimo, non si scioglie né si supera, perché rimanda ad un al di là che in nessun modo può essere assunto, ma di cui l’uomo può soltanto essere testimone e profeta.

In Totalità e Infinito abbiamo visto in che modo il Medesimo potesse dirsi unico nell’indeclinabilità della sua responsabilità, in qualità di eletto al bene dal Bene e nella sua impossibilità di sottrarsi ad esso. Nella prossimità dell’Altro, il Medesimo si sentiva convocato e chiamato ad un obbligo a cui non avrebbe potuto in nessun modo rimanere indifferente o delegare altri al proprio posto. In Altrimenti che essere Levinas mantiene questa impostazione, ma fa un passo ulteriore: stravolge del tutto la soggettività del Medesimo per ritrovare l’unicità dello stesso nella sua totale espropriazione di sé e sostituzione all’Altro. L’Io, nel suo essere corpo, sangue e carne, non è unico, ma lo diviene soltanto spogliandosi della propria pelle per offrirla all’Altro, “a colui che la percuote”371, come una “pelle si espone a ciò che la ferisce”372.

L’Io ha un’identità unica esclusivamente mettendosi, non solo nei panni altrui, ma nella stessa pelle altrui: sostituendosi all’Altro, ma rimanendo se stesso, insostituibile, in quanto nessuno può prendere il suo posto. Prima di ogni volontarietà, l’identità del Medesimo “gli viene malgrado sé da fuori, come un’elezione o come ispirazione, nella

368 Ivi, cit. p. 187. 369 Ibidem. 370 Ibidem. 371 Ivi, cit. p. 62. 372 Ibidem.

forma dell’unicità del convocato”373. Il malgrado sé con cui il Medesimo si sostituisce all’Altro, non è un atto altruistico, ma un’imposizione esterna che esclude l’auto- costituzione del soggetto partendo dalle proprie scelte. L’unicità non deriva da un impegno che l’Io liberamente assume e rispetta, ma dalla passività di convocato e accusato, dall’obbedienza etica, non della conoscenza: obbedienza, che non è servitù, ma elezione.374

L’anteriorità dell’elezione e l’esposizione all’oltraggio dell’Altro, nonostante non derivino da una libera scelta del Medesimo, non lo rendono schiavo, perché sono anteriori alla stessa possibilità di considerarle come una violenza. L’assoluta passività con cui vengono accolte ne esclude una considerazione negativa, che sarebbe già frutto di un’attività rappresentativa e intenzionale. Il Bene ha scelto il Medesimo prima che egli lo potesse liberamente scegliere: “Il Bene investe la libertà - mi ama prima che io l’ami”375, per questo, “nessuno è schiavo del Bene”376. È grazie a questa anteriorità che il senso dell’uno-per-l’altro riceve il suo significato originario.

La convocazione di ciascuno, nella propria passività di eletto, deriva da questa bontà originaria che, nonostante appartenga ad un passato irrecuperabile, continua ad “ispirare” l’uomo. I termini ricorrenti di ispirazione e profetismo significano lo straordinario modo in cui ciascuno si sente chiamato a rispondere “Eccomi” e testimoniano la “gloria dell’Infinito”377

. Il finito è ispirato dall’Infinito, si fa profeta dalla particella “in” dell’infinito, che “non è una semplice negazione, ma tempo e umanità”378

.

373 Ivi, cit. p. 67.

374

Dialogo con Augusto Ponzio, Responsabilità e sostituzione, in Dall’Altro all’Io; p. 149.

375 Altrimenti che essere; cit. nota 7, p. 15. 376 Ibidem.

377 Ivi, cit. p. 182.

Ferretti fa notare a questo proposito in che modo si manifesti concretamente la gloria dell’Infinito: la gloria divina non si ritrova nella bellezza e nella perfezione del creato, tantomeno nelle sue manifestazioni di potenza e nei suoi miracoli, ma esclusivamente nella convocazione di ciascun uomo al comportamento morale. 379

La “gloria di Dio” - scrive Levinas - “non è che l’altra faccia della passività del soggetto”380, in nessun modo riportabile ad una assunzione. A questo punto vale la pena tornare su un tema già affrontato: quello della Creazione. Il tema della creazione ex nihilo ritorna più volte in Altrimenti che essere per esprimere la “passività più passiva della passività della materia”381, vale a dire, il “fondo d’an-archica passività”382 presente nel Medesimo. La creazione che rende ciascuno se stesso, non per propria iniziativa, ma per passività, è negazione radicale dell’ontologia e della fatticità.383 Nell’inspiegabilità della creazione ex nihilo Levinas può trovare un senso alla vita dell’uomo, una rottura con il sistema: un al di là dell’essere. La creazione lascia nella creatura una traccia di Infinito: “la sua esteriorità al sistema”384

, che pone il soggetto al di fuori della totalità anonima ed esprime “una molteplicità non unita in totalità”385. L’atto di creazione è immemorabile perché viene da un passato anarchico, che non può essere in nessun modo richiamato alla memoria: è diacronia assoluta.

Nonostante il ricordo della Creazione sia di fatto irrecuperabile, tra la creatura e il suo creatore permane il legame della passività originaria. La creatura non può risalire alla

379 Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas; pp. 278-284. 380 Altrimenti che essere; cit. p. 181.

381

Ivi, cit. p. 142.

382 Ibidem.

383 Ibidem; cit. p. 142: il pensiero che nomina la creatura differisce dal pensiero ontologico. 384 Ibidem.

passività primordiale,386 ma ne conserva la traccia nel Desiderio dell’Altro, nella non- violenza, nella gratuità totale che rompe con l’interessamento, nell’uno-per-l’altro della prossimità.

L’incarnazione, che è la temporalizzazione della creatura, è il contrario assoluto dell’intenzionalità, è irriducibile all’attività e alla presa di posizione: è passività estrema. Con essa comprendiamo in che modo la prossimità, la sostituzione e l’espiazione non si riducano a fenomeni della coscienza, ma a fenomeni concreti. Di fronte all’“esposizione passiva all’essere senza assunzione”387, si rivela un elemento traumatizzante e concreto: la finitezza dell’essere umano e l’impossibilità di opporsi all’inevitabilità dell’invecchiamento e al tempo che trascorre, alla morte.

Nell’incarnazione di un’esistenza finita la passività assume un’importanza ancora maggiore: quella che deriva dalla “corporeità - suscettibile di dolore, di oltraggio e di infelicità”388, e che, nonostante questo, arriva al dolore estremo di spogliarsi della propria pelle e della propria vita per-l’altro.

Si concretizza così la dimensione altra da cui proviene il Bene che ha da sempre eletto il soggetto alla bontà e alla possibilità di evadere dall’essere. Infatti, in Dell’evasione l’essere si presentava già come evasione, ancor prima che il soggetto ne fosse cosciente: il sentimento di nausea e vergogna che l’Io provava verso l’essere precedeva la stessa coscienza dell’Io e la sua libera scelta.

L’ingombro, il disgusto e l’orrore per l’il y a erano generati proprio dall’influenza pre- originaria del Bene sul Medesimo; il brusio dell’anonimo, sempre alle porte della tematizzazione e dell’assimilazione dell’Altro nel Medesimo, pervadeva l’Io rendendolo

386 Altrimenti che essere; cit. p. 131:Creatura, ma orfana di nascita o atea, che senza dubbio ignora il suo Creatore, poiché se lo conoscesse

recupererebbe ancora il proprio inizio.

387 Ivi, cit. p. 69.

insensato. Soltanto adesso possiamo comprendere l’importanza di tale sentimento come possibilità stessa per il suo superamento: nell’“eccessiva o nauseante confusione”389, procurata dall’insensatezza dell’essere, l’Io scopre l’Altro, l’Altrove e l’Oltre, ritrova il suo destino e l’origine dell’umano. Il non-senso dell’il y a è la condizione stessa per incontrare l’Altro e per scoprire il senso originario e la significazione dell’uno-per-l’altro:

L’assurdità dell’il y a – in quanto modalità dell’uno-per-l’altro, in quanto sopportata - significa. (…) è il surplus del non senso sul senso, grazie al quale per il Sé l’espiazione è possibile – espiazione che il se stesso, precisamente significa. L’il y a è tutto il peso dell’alterità sopportata da una soggettività che non la fonda. (…) Da dietro il brusio anonimo dell’il y a la soggettività raggiunge la passività senza assunzione.390

Solo nella vera passività etica ed esclusivamente ritrovando il senso del per-l’altro, il Medesimo prende coscienza della gravità dell’insensatezza dell’essere e dell’ontologia: dell’inumano a cui era arrivato l’Occidente.

Il Bene ha lasciato la sua traccia, inizialmente, nella passività con cui il Medesimo subisce l’essere con orrore e disgusto, secondariamente, nella passività del godimento e della sua dipendenza dall’elementale, per ritrovarla, infine, nella stessa costituzione passiva del Medesimo, senza la quale non potrebbe incontrare l’Altro e originarsi come soggetto responsabile. Il volto è altro dall’essere, è la non-violenza, la pace e la bontà stessa racchiusa nella nostra passività. Infatti, non solo il Bene ci elegge alla responsabilità e ci nega la scelta di accoglierlo perché già ci sceglie ma, come scrive Levinas in Umanesimo dell’altro uomo: “la passività (…) non è semplicemente effetto di un Bene, che sarebbe così ricostruito a titolo di causa di tale effetto; proprio in questa passività è il Bene”391.

389 Ibidem. 390 Ivi, cit. p. 205.

È la stessa passività con cui il Medesimo accoglie la traccia del Bene che è Bene e che suscita in lui un’inclinazione originaria ad essere responsabile per il prossimo prima ancora di costituirsi come soggetto. L’Io si trova già coinvolto in una dimensione di passività e responsabilità senza vie di uscita, è impossibilitato a cedere al fascino del Male, che ancora non esiste. Sempre in Umanesimo dell’altro uomo, Levinas scrive:

il male seducente e facile è, forse, incapace d’infrangere la passività della soggezione pre-liminare, pre-istorica, di annullare l’al di qua, di disdire ciò che il soggetto non ha mai negoziato. (…) né accanto né di fronte al Bene, ma al secondo posto, al di sotto, più in basso del Bene. L’essere come perseveranza nell’essere, l’egoismo o il Male, definiscono così la dimensione stessa della bassezza.392

La passività è lo scudo etico al male. Riconoscere la nostra dimensione originaria di passività è già riconoscersi come esseri indirizzati dal bene: è già ascoltare il comandamento etico. L’impossibilità di sfuggire al Bene, che ci sottomette, ci sacrifica e ci rende ostaggi di tutti è “impossibilità di sfuggire a Dio” che “abita in fondo all’io (…) come passività assoluta”393.

Nonostante questa impossibilità etica di compiere il male, l’uomo lo compie senza scrupoli. Com’è possibile?

Come abbiamo più volte evidenziato, il soggetto è stato creato, da una parte, eteronomo, predisposto ad accogliere l’Altro e il suo comandamento ma, dall’altra, autonomo, separato, ateo. L’eteronomia, che prende forma dall’esposizione all’Altro, si produce come riconoscimento ineluttabile della propria responsabilità, al contrario, l’autonomia permette al soggetto di rigettare la propria costituzione, di rinnegare la propria responsabilità e di obliare l’alterità etica.

392 Umanesimo dell’altro uomo; cit. pp. 125-126. 393 Altrimenti che essere; cit. p. 162.

É l’autonomia stessa che permette all’uomo di compiere il male, di scegliere la strada che apparentemente gli sembra più feconda e più seducente, quella che predilige gli interessi dello stesso, piuttosto che quelli dell’Altro. Strada che conduce di fatto all’ontologia, alla guerra e all’esaltazione della coscienza, dell’essere, della razionalità e del sapere.

4.4 La nascita dell’ontologia dalla passività etica: la giustizia oblativa della comunità

fraterna.

Né l’orizzonte dell’essere dell’ontologia né l’orizzonte della coscienza intenzionale husserliana sono all’origine del senso, ma trovano una propria significazione solo in senso derivato, solo nel dover rispondere della giustizia e unicamente nel mettersi al servizio dell’etica. Per spiegare in che modo l’ontologia venga ricompresa nell’etica è essenziale ritornare alla struttura passiva del Medesimo.

L’oscillazione e l’ambiguità del pensiero levinassiano, apparentemente o forse costitutivamente contraddittorio che, dopo aver categoricamente negato l’essere, la tematizzazione e la comparazione degli incomparabili li ammette nella giustizia, è risolta grazie all’antecedenza dell’etica sull’ontologia.

Nella giustizia, tutto si mostra, è visibile e deve essere detto, non c’è più mistero, esattamente come nell’ontologia ma, al contempo, c’è distacco dall’essere e vigilanza sulla violenza, come nell’etica. La politica può assumere i connotati di una distribuzione giusta e calcolata dei beni comuni esclusivamente se pone alla propria origine l’etica.

I valori dell’etica indirizzano la società a costituirsi come una comunità di fratelli,394fondata sulla passività dell’accoglienza e sulla possibilità di esprimere liberamente la propria diversità, senza ridurla o negarla. Infatti, i fratelli sono prossimi, ma diversi; sono tutti posti sullo stesso piano, ma nessuno può essere sostituito ad un altro fratello: “il concetto uomo ha solo un’estensione, ed è la fraternità umana”395. La fraternità originaria spiegherebbe anche la possibilità di offrirsi all’Altro e di esserne responsabile gratuitamente, senza attendersi una reciprocità. La gratuità con cui ci prendiamo cura di un nostro fratello corrisponde alla stessa con cui il Medesimo si prende cura dell’Altro. Così è dalla stessa propensione all’Altro, che è primariamente nostro fratello, che si spiega la domanda di Dio a Caino: “Dov’è tuo fratello?”.

Caino è guardiano e custode di suo fratello, per questo, deve rispondere anche per lui. La domanda che Dio fa a Caino gli ricorda che la sua identità non si definisce a partire da se stesso, ma dalla presa in carico dell’Altro, di suo fratello Abele. Caino è fin dall’inizio per-Abele, non per-sé, deve dar conto sia dei propri errori sia di quelli del fratello. La comunità di fratelli permette di pensare una relazione di giustizia e amore tra diversi, di responsabilità reciproca e di gratuità, in grado di instaurare una relazione simmetrica tra termini differenti. Si pone inevitabilmente una domanda: dovrà essere accolto nella comunità anche il fratello prodigo? Certo, perché una comunità siffatta si fonda sui valori del perdono, della responsabilità e dell’amore incondizionato. Gli errori altrui sono anche i nostri.

Citiamo a questo proposito due passi del Talmud che vengono richiamati da Levinas nell’opera Dall’Altro all’Io: “Possa la mia carità superare la mia collera, cioè i rigori della mia giustizia”396, e ancora, “la giustizia prima del verdetto, la carità dopo”397.

394 Sergio Labate, La sapienza dell’amore, in dialogo con Emmanuel Levinas; pp. 222 - 240. 395 Trascendenza e Altezza, in Dall’Altro all’Io; cit. p. 119.

La passività è la condizione per perdonare gli sbagli dell’Altro, per essere giusti nelle sentenze senza mai omettere la carità e senza mai dimenticare la pazienza nei confronti degli errori altrui, ma la carità deve sempre giungere al momento opportuno:

Attraverso la carità o la misericordia per la quale l’uomo creato a immagine di Dio può “altrimenti che essere”, cioè può far passare l’esistenza d’altri prima della sua – ed ecco che la mia espressione umanesimo dell’altro uomo acquista significato.398

Per far sì che la giustizia non sia una crudeltà, figlia dell’ordine razionale, è necessario affermare la responsabilità di ciascuna coscienza individuale; la sola capace di vedere la violenza che “deriva dal buon funzionamento della Ragione stessa”399, la sola che può percepire le “lacrime segrete dell’Altro fatte versare dal funzionamento, anche se razionale, della gerarchia”400. La passività individuale è indispensabile per rimediare alla violenza dello Stato:

Umiltà, discrezione, perdono delle offese, che non debbono essere scambiate soltanto per virtù: tutte queste attribuzioni <<rovesciano>> la nozione ontologica di soggettività per collocarla nella rinuncia, nella cancellazione e in una passività totale.401

Interessante è la riflessione sulla genesi dello Stato che Levinas propone in un dialogo con Augusto Ponzio; nell’intervista, Levinas descrive la nascita dello Stato partendo dalla