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L’evasione dall’essere: la passività nel bisogno, nella vergogna, nella nausea e nel

1. LA PASSIVITÀ CORPORALE ESISTENZIALE

1.4 L’evasione dall’essere: la passività nel bisogno, nella vergogna, nella nausea e nel

malessere.

Ne saggio del 1935 Dell’evasione emerge per la prima volta il pensiero che Levinas va maturando: la scoperta dell’essere e l’urgenza di evadere da esso.

Il filosofo analizza diversi momenti in cui si rivela la necessità di evadere dalla “pesantezza dell’essere”49

, ma non arriva ancora ad una vera e propria soluzione o alla teorizzazione di una via d’uscita. Come osserva Jacques Rolland50: la scelta del titolo non è casuale, è mirata ad avere un carattere polemico verso Heidegger ma, nonostante il riferimento al tema ontologico sia presente in tutto il testo, i nomi di Heidegger e di Husserl non compaiono mai.51 All’inizio del saggio Levinas descrive la struttura del bisogno come “intimamente legata all’essere”52 che, come abbiamo visto, ben lontana da manifestare una deficienza d’essere, ne rivela una pienezza.53 Il bisogno, nell’espressione di un sentimento di malessere che non trova pace, “non è uno stato puramente passivo”54,

46 Ivi, cit. p. 25. 47 Ivi, cit. p. 36. 48 Ibidem. 49 Ivi, cit. p. 16. 50

Jacques Rolland, Uscire dall’essere per una nuova via, in Emmanuel Levinas, Dell’evasione; pp. 73-74.

51 Ibidem.

52 Dell’evasione; cit. p. 22.

53 Ivi, cit. p. 39. 54 Ivi, cit. p. 24.

ma dinamico: “il fatto di essere a disagio - scrive Levinas - è essenzialmente dinamico”55. In esso si prefigura già un movimento verso l’esterno che ci riporta alla categoria dell’evasione, ma questa uscita è provvisoria. Il tentativo di evadere dall’essere attraverso il soddisfacimento immediato del bisogno e del piacere si rivela fallimentare perché è incapace di compiere un’uscita duratura. L’immediatezza del piacere e il suo irraggiungibile divenire rivelano una costante delusione insita in esso.

Il piacere, descritto come “un abbandono, una perdita di sé, un’estasi”56, non può mantenere la sua promessa perché è caratterizzato da un movimento vertiginoso che non ha né un approdo né una fine: “nel fondo stesso del piacere si aprono, per così dire, delle voragini sempre più profonde in cui precipita perdutamente il nostro essere, che non oppone più resistenza”57. Più avanti leggiamo: “il piacere non è lo sbocco del bisogno, poiché non ha termine. (…) È un’evasione che naufraga”58. Esso conduce di fatto ad un risultato contrario al trionfo che prometteva: a quello della delusione e della vergogna per il suo fallimento.

Dunque, accompagnato allo scacco del piacere troviamo sempre il sentimento della vergogna. La vergogna è rivelatrice della presenza dell’essere a noi stessi: di un’esistenza che vorremmo nascondere, che “cerca per sé delle scuse”59 e che, pertanto, non rivela la nostra nullità, ma il nostro irremissibile attaccamento ad essa. La vergogna denuda l’essere e ci permette di vedere ancor più direttamente il nostro incatenamento ad esso: “ciò che la vergogna svela è l’essere che si svela”60

. Tale evidenza ci opprime fino alla

55 Ibidem. 56 Ivi, cit. p. 28. 57 Ibidem. 58 Ivi, cit. p. 29. 59 Ivi, cit. p. 33. 60 Ibidem.

nausea, non perché impone dei limiti all’esistente, ma per il fatto stesso che in nessun modo possiamo sfuggirvi; nemmeno con la morte.61

In questa prima fase la passività è percepita come “impotenza ad uscire da questa presenza”62 e la nausea ne è proprio l’esperienza rivelatrice. Nel medesimo tempo in cui è vissuta la nausea imprigiona in un “cerchio stretto che soffoca”63. Lo sforzo disperato di uscire dalla sensazione di nausea o da uno stato di malessere, non solo rivela il rifiuto a permanervi e l'inutilità di qualsiasi tentativo di ovviare a tale situazione, ma la nostra totale passività: passività che si presenta come una “condanna ad essere se stessi”64. Non possiamo pretendere di spogliarci della nostra identità, essa ci appartiene.

Il soggetto non può assumere un comportamento che gli permetta di negare il malessere o la nausea, così come non può disconoscere l’essere: egli è coinvolto in una situazione che non ha scelto e nella quale non ha potere.

La nausea e il sentimento di disgusto non hanno un significato solo negativo, anzi, sono proprio ciò che ci spinge ad andare oltre, verso l’evasione e verso un nuovo significato di passività.

Anche la vergogna ha una valenza positiva, giacché permette all’uomo di vedere se stesso, di scoprire l’essere nella “sua più brutale espressione”65 e di prenderne atto. L’Io è nudo, non nel corpo fisico, ma nella sua “ultima intimità”66, nella nudità dell’esistenza, che non è tanto quella dell’indecenza, dell’oscenità e della mancanza di costumi che

61 Ivi, p. 36. 62 Ivi, cit. p. 40. 63 Ivi, cit. p. 36. 64 Ivi, cit. p. 40. 65 Ivi, cit. p. 33. 66 Ibidem.

minaccerebbe di “offendere le convenienze sociali”67, ma quella che si prova di fronte “al fatto stesso d’avere un corpo, di essere là”68.

La struttura paradossale della passività si esplica proprio nella duplicità di piani su cui si pone: da una parte, come impotenza e inerzia e, dall’altra, come movimento interno di antagonismo a tale condizione.

Le qualifiche negative che le vengono attribuite nella descrizione dei sentimenti ad essa collegati, quali “impotenza”69, “abbandono”70 e “soffocamento”71, trovano la loro positività all’interno di una prospettiva più ampia, negli sviluppi etici degli scritti posteriori, in particolare in Altrimenti che essere, allorché la passività subirà una vera e propria metamorfosi e un’inversione di significato.

Nel saggio ivi analizzato manca del tutto l’aspetto etico, la categoria della relazione e il riferimento all’Altro: le situazioni affettive descritte – il bisogno, il piacere, la vergogna e la nausea – confermano la procedura sostanzialmente solipsistica ripresa dai due maestri Husserl e Heidegger.

In questi primi scritti siamo ancora lontani dalla svolta etica di Altrimenti che essere, ma la tensione verso un altrove dall’essere e dall’identità del soggetto è già ben definita, così come è già indicato il percorso teorico lungo il quale Levinas continuerà a transitare.

In conclusione, ci potremmo chiedere verso quale direzione sia necessario evadere; Pier Aldo Rovatti ipotizza che tale direzione sia proprio quella della passività.72

67 Ivi, cit. p. 36. 68 Ivi, cit. p. 37. 69 Ivi, cit. p. 39. 70 Ivi, cit. p. 28. 71 Ivi, cit. p. 36.

Levinas cerca una strada diversa da quella della dialettica filosofica: alla passività dell’essere non oppone un’attività, come saremmo portati a pensare dalla tradizione, ma un’altra passività, quella etica.73 Si tratta di una soluzione che viene elaborata a partire dall’esperienza di passività dello stesso Levinas, provata durante i cinque anni di prigionia.

2. LA SVOLTA DELLA PRIGIONIA E LA SCOPERTA DELLA CATEGORIA