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Un Umanesimo originato dalla passività

4. UN UMANESIMO DELLA PASSIVITÀ

4.7 Un Umanesimo originato dalla passività

La crisi della modernità ha generato un mondo troppo spesso indifferente e chiuso nelle proprie invalicabili frontiere; un mondo cinico che ha frequentemente chiuso gli occhi di fronte ai problemi o, peggio ancora, ha tentato di “risolverli” con la guerra. Dopo Auschwitz sono sorte spontanee le seguenti domande poste dallo stesso Levinas:

Tutti i rapporti umani si riducono ai calcoli dei danni e degli interessi e tutti i problemi umani a regolamenti dei conti? Qualcuno tra gli esseri umani può lavarsi le mani di tutta questa carne dissoltasi al fumo? 430

L’inumano si ripresenta inevitabilmente nel “destino drammatico di questo tempo di fine secolo che si dice e si vuole <<tempo di pace>>”431. In nome della pace, anche il massacro trova il suo senso e la brutalità della disumanità trova accoglienza tra il popolo. L’inconsistenza dell’umanesimo contemporaneo, contraddistinto dall’assenza di scrupoli, di moralità e di etica, sembra aver smarrito l’umanità stessa. L’uomo è disorientato, sconvolto, ma non per la velocità con cui deve sottostare al progresso, inesorabile e necessario, ma per l’assenza di sensibilità e per la mancanza di moralità, nelle quali non trova più un orientamento e un punto di riferimento.

Il mondo privilegia di volta in volta un senso differente, a seconda del periodo storico, della cultura, delle mode e delle strutture economiche, prevalentemente con lo scopo di trarre profitto e soddisfazione. Il mondo, compromesso dall’economia, acquista un senso in funzione dei bisogni dell’uomo che si innalzano a rango di valori, legittimati dalle scienze, dall’industria e dalle ricchezze.

La società non solo ha perso quell’univocità che potrebbe autorizzarci a cercare in essa il criterio del sensato, ma ha sostituito ad esso un altro tipo di criterio orientante: quello dell’assurdo. L’assenza di senso che ha orientato lo sterminio nazista e ha fatto trionfare l’hitlerismo ha condotto alle più inaudite carneficine e violenze, alla guerra e all’indifferenza pura verso gli uomini.432

In un mondo votato al dominio – ci chiediamo – dove dobbiamo ricercare il senso e l’orientamento? Nell’etica.

L’etica mette fine alle incomprensioni del senso, perché riesce a leggere e tradurre le tracce divine nascoste nell’uomo: la passività è una di queste. L’etica orienta l’uomo alla sua possibilità più propria, al suo “senso autentico”, che non è quello che deriva dalla

431 Ivi, cit. p. 57.

comprensione del proprio essere, ma quello che si profila nell’incontro con l’Altro, nel Desiderio dell’Altro, nella stessa passività dell’uomo:

Non è possibile trovare un senso (senso alla “rovescia”, è vero, ma il solo autentico qui) alla libertà medesima, partendo proprio da quella passività dell’uomo in cui sembra che appaia la sua inconsistenza? 433

Cercare la soggettività e il senso nella passività radicale hanno un solo scopo: rompere il sistema e aprire un varco nella totalità anonima. La passività è anteriore al piano ontologico, è al di là dell’essere, lo precede. Essa è responsabilità prima di essere intenzionalità, è incapacità di apparire nel detto dell’ontologia, è estrema inversione del Mondo, è rovesciamento dell’umanesimo.

Solo la passività ci permette di avvicinarci all’Infinito che apre il sistema e perfora la totalità anonima; solo la passività può dare nuova dignità a ciascun singolo senza farlo rientrare in un meccanismo di uomini sostituibili e intercambiabili; solo la passività, come non-violenza per eccellenza, può scongiurare la guerra e l’ontologia.

La passività ci dona il senso nello stesso Desiderio smisurato che proviamo per l’Altro: “Il Desiderio degli Altri, da noi vissuto nella più banale esperienza quotidiana, è il movimento fondamentale, il trasporto puro, l’orientamento assoluto, il senso”434.

Unicamente nel dono di senso e orientamento da parte della passività etica, l’estraneo, lo straniero e il povero, che non hanno altra difesa se non la loro miseria e la loro impotenza, non sono schiacciati dall’egoismo e dall’insensibilità dell’ “umanità fraterna”. Umanità filantropica, misericordiosa e compassionevole che, sotto la maschera della carità, dell’aiuto e della beneficienza cela il profitto, la violenza, l’interesse economico: lo sfruttamento. Umanità che nasce per-l’altro, rivendicando il suo aiuto e il riscatto della

433 Ivi, cit. p. 112.

sua sofferenza e del suo dolore, ma che, incapace di resistere alle tentazioni e ai profitti, diviene avara e disumana. L’altro uomo, testimone vivente dell’insensibilità, è maltrattato, osservato e studiato come se fosse un oggetto di conoscenza e rappresentazione: considerato al pari di un concetto o di un semplice strumento di manipolazione.

Ecco, l’umanesimo da cui cerca disperatamente di evadere Levinas! Un umanesimo che ha da sempre valorizzato i diritti del Medesimo, senza evidenziarne i doveri, che rivendica i privilegi dell’Io senza mai metterli in questione, che nega la passività perché agisce neutralizzando l’altro uomo, inglobandolo, conoscendolo e tradendo la sua esteriorità. I diritti smisurati dell’uomo, esclusivamente in favore del Medesimo, in Levinas divengono doveri: doveri verso l’altro uomo, unico detentore di diritti.

Il cambiamento di logica a cui ci indirizza Levinas inverte l’esito dell’umanità moderna, riformula le questioni che riguardano il punto di vista dei doveri e la loro origine etica. All’uomo moderno, che rigetta le proprie colpe incolpando altri al suo posto, che non accetta le critiche e che rifiuta di essere comandato, Levinas oppone una soggettività contraria: la soggettività passiva.

In Difficile libertà, Levinas sostiene che il nostro tempo manchi di una nuova riflessione sulla passività, su quella certa debolezza, faiblesse, e pazienza, patience, che non è vigliaccheria, lâcheté, 435e che, pertanto, sia necessaria un’immediata e radicale rivalorizzazione, da parte dell’etica, della passività costitutiva di ciascun uomo.

Unicamente attraverso il percorso della passività, l’umanità può recuperare le proprie origini e scongiurare l’intransigenza verso gli errori altrui, l’impazienza e la violenza. Scrive Levinas ne L’aldilà del versetto:

Siamo soffocati dal fumo di questa esistenza infernale alla quale siamo stati condotti dal puro umanesimo, dall’umanesimo senza la Torah. (…) V’è tutta la legna, e il petrolio che volete, ma esso serve a soffocare col fumo l’umanità.436

Il pensiero di Levinas interrompe e incenerisce la vecchia idea di umanità, dandole una nuova origine e dando all’etica nuove possibilità di riflessione partendo dalla passività. L’idea di un soggetto passivo, modello della non-indifferenza verso l’Altro, rompe con la nozione di soggettività coincidente con l’identità del Medesimo: il soggetto passivo non fa mai ritorno a se stesso trionfante. Dovremo dunque partire dalla “idea difficile”437 di soggetto passivo: l’unica a poter istituire una relazione sincera con l’Altro, senza abuso di potere, votata alla responsabilità in cambio di nulla, gratuitamente. Nessuna attività, intenzione ed esperienza possono condurci al senso e restituirci la significazione originaria; esse sono modalità ontologiche che riducono l’uomo a mezzo, non sono in grado di ascoltare il comando proveniente dal volto dell’Altro, sono sorde all’appello di aiuto del povero. La relazione originata dal sapere non lascia che l’Altro esprima la propria alterità ed originalità, lo concettualizza fin dalla sua prima irriducibile espressione: il volto, inassumibile e irrappresentabile, diviene forma.

Alla fine del nostro lavoro ci sorge spontanea la seguente domanda: è possibile recuperare l’Umanesimo? Sì. Come? Affidando alla passività il compito di enunciare una nuova sensibilità, la cui radice affonda dentro la profondità dell’anima ebraica e, come tale, dentro l’anima di tutti gli uomini.

Dalle ceneri dell’Umanesimo moderno, dagli errori e dai massacri di un’umanità senza tracce di uomo, si eleva l’esigenza di una profonda riflessione sulla passività.

436 L’aldilà del versetto; cit. p. 103.

437 Ivi, cit. p. 233: L’idea di un soggetto passivo e, nell’eteronomia della sua responsabilità per l’altro, soggetto differente da ogni altro, è

Unicamente recuperando la traccia divina della passività, in grado di avere conseguenze pratiche concrete, l’etica può dare un nuovo senso e orientamento all’Occidente e può restituire “l’umanità” ad un Umanesimo che, forse, non l’ha mai conosciuta.

Conclusione

Vorrei ora brevemente riprendere la conclusione già emersa nell’ultimo capitolo per focalizzare alcuni degli aspetti più rilevanti che sono affiorati durante il lavoro e per chiarire certune riflessioni a riguardo.

Nel percorso di analisi dell’evoluzione del concetto di “passività” si è tenuto sempre presente il movente di fondo che ha guidato la riflessione di Levinas: quello di ricercare un “rimedio” e un nuovo punto di partenza per ovviare agli esiti catastrofici della storia e dell’ontologia. La passività è stata considerata in quest’ottica, con la convinzione che tale rimedio debba essere ricercato in essa e che da essa tragga origine la possibilità stessa per un nuovo Umanesimo e per un differente orientamento del senso.

Il riconoscimento della passività come valore fondativo dell’etica ha messo in evidenza la necessità di un ripensamento della struttura della relazione, essenziale per riaffermare il valore del legame con l’Altro e per evadere dalla fatticità, dalla violenza e dall’insensatezza dell’essere. Il privilegio della passività, che fonda la stessa responsabilità e libertà e che, al contempo, mette in risalto la natura omicida e usurpatrice del Medesimo, delinea chiaramente la struttura ambigua dello stesso. Il Medesimo non può sentirsi veramente al riparo dalla possibilità del “risveglio dei sentimenti elementari”, propri del nazismo, a causa della possibilità sempre presente in lui stesso di compiere il male.

Pertanto, ci chiediamo: la visione della natura umana di Levinas, radicalmente opposta alla filosofia della potenza, può veramente scongiurare fenomeni catastrofici? L’acquisizione filosofica della passività potrebbe aiutarci a invertire il cammino di auto- distruzione dell’uomo e a superare l’orizzonte dell’essere?

Levinas ne sembrerebbe convinto, tutta la sua opera si inscrive in questo itinerario pervaso di responsabilità, di umanità, di volti e nomi propri: di amore che sollecita l’azione caritatevole e benevola. Un amore verso l’umano che impregna e pervade ogni

pagina degli scritti di Levinas, sempre in eccesso e mai in difetto; un amore talmente traboccante che indirizza il Medesimo a sostituirsi all’Altro anche nella responsabilità per le sue colpe e per quelle del suo carnefice.

La filosofia di Levinas nasce dalla volontà di ridare spazio e assolutezza all’altro uomo ma – domandiamoci – l’eccessiva preoccupazione di esaltare la responsabilità del Medesimo non rischia di sminuire quella dell’Altro? Se il Medesimo si assume la responsabilità delle colpe dell’Altro, sostituendolo in ciò che lo renderebbe unico ed eletto, in ciò che ha di più prezioso e proprio, non gli fa un torto? Il Medesimo non diviene usurpatore dell’unicità di qualcun Altro? Non contribuisce a denudarlo della sua vera umanità? A derubarlo della sua soggettività?

No, perché l’idea estrema di una soggettività responsabile per le colpe dell’umanità non entra in collisione con la responsabilità degli altri: se ciascuno porta su di sé le colpe degli altri, ciascuno è responsabile per gli altri. Nel surplus di responsabilità emerge la struttura fondamentale dell’umano che può arrivare fino al sacrificio totale per l’Altro, fino all’abnegazione e all’immolazione per il prossimo, in virtù di un’investitura al di fuori di qualsiasi intenzionalità e assunzione. La responsabilità infinita non è, quindi, un’usurpazione, ma un imperativo etico, un dono che viene fatto all’uomo direttamente dal Bene.

Emergono ulteriori domande al riguardo: c’è un limite alla sostituzione e alla presa in carico delle colpe altrui? Il Medesimo può sostituirsi anche al proprio carnefice? Può prendere su di sé le colpe di Hitler? Può scusare Heidegger?

Levinas sembrerebbe suggerirci che anche la comprensione degli errori altrui ha un limite: l’uomo è sì responsabile per tutti, ma per tutti quelli che non sono Hitler.438 Se anche gli hitleriani venissero scusati, difesi e assolti dalle loro colpe, giustificati nei loro eccidi e nella loro terribile ideologia, il senso diverrebbe insensatezza.

Perché sia possibile un mondo umano e sensato è necessario che la passività sia intransigente e vigile verso il Male, che ricordi a ciascuno che il prevalere del Bene dipende dalle scelte individuali e dall’assunzione delle proprie responsabilità verso l’altro uomo.

La passività, emblema della fragilità dell’umano, traccia della propensione alla non- violenza e alla pace, acquista il suo significato più profondo proprio partendo dalla consapevolezza che l’uomo può agire diversamente da essa: può rinnegarla. Unicamente tenendo presente l’ambiguità insita nella natura umana, la passività diviene criterio di comportamento morale e azione coerente con il bene: diviene scelta individuale di compiere il bene. Il ripensamento della struttura della relazione sociale deve originarsi da questa constatazione, soltanto così la logica della necessità causale e dell’equivalenza può convertirsi in logica della gratuità e della giustizia oblativa. Alla relazione di reciprocità e causalità che, portata all’estremo diviene sfruttamento e reazione causa-effetto, Levinas contrappone la possibilità di rapporti umani configurati in tutt’altro modo, non appartenenti alla dimensione dell’interesse, della produttività e dello scambio commerciale, ma appartenenti a quelli della donazione senza compenso e senza corrispondenza.

La passività può allora essere considerata come una nuova guida per l’agire umano, come orientamento etico che converte la violenza in ordinazione morale alla non-violenza, in gratuità del bene: come modalità stessa per originare una relazione che va al di là dell’essere, in direzione di un “altrimenti che essere”.

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