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Lo statuto del terzo, l’odio e la giustizia

3. L’INCONTRO DELL’ALTRO E LA DISFATTA DELL’INTENZIONALITÀ, DEL

3.6 Lo statuto del terzo, l’odio e la giustizia

Il valore della non violenza è riconosciuto universalmente, tuttavia, non è scongiurato il rischio che proprio in nome della pace si ricorra ad un atto di potenza per instaurarla. Si presenta allora la necessità di una nuova riflessione sulla passività. La passività etica non è sufficiente a combattere i crimini, a scongiurare la guerra, a determinare un soggetto politico e nemmeno può fondare una società e uno Stato.

La resistenza etica al crimine non esclude la possibilità di compierlo, l’impossibilità morale di uccidere l’Altro non proibisce la possibilità fisica e materiale di farlo:

292 Totalità e Infinito; cit. p. 300.

Io posso certamente raggiungere uno scopo uccidendolo, posso uccidere così come vado a caccia o come abbatto alberi e animali, ma proprio in questo caso io ho colto l’altro all’interno dell’apertura dell’essere in generale (…).294

La tentazione di omicidio ignora il linguaggio etico, rinuncia a comprenderlo, lo rifiuta. Il comandamento che ci proviene dall’Altro è sì irrecusabile, ma la violenza e l’ingiustizia nei suoi confronti sono di fatto attuabili: l’uomo cinico, che fa prevalere un calcolo economico-logistico, è indifferente al grido di miseria del povero, tradisce la propria responsabilità e nega il Bene a cui è chiamato. 295

Nell’ingiustizia l’attività dell’Io posso prende il sopravvento sulla passività etica originaria: l’esito è catastrofico. Se viene negata la dimensione etica della passività, non c’è più alcuna moralità e alcun freno alla crudeltà: “si può fare di tutto dell’uomo”296

. Senza passività, senza resistenza etica, l’Altro è quantificato, comprato, venduto e commercializzato come un oggetto tra i tanti, è riportato ad essere un elemento scambiabile in funzione di una totalità anonima in cui il salariato scompare nel salario. 297 Il denaro corrompe la passività etica con la promessa della potenza e del possesso e ci riporta ancora una volta all’ontologia e allo stato di guerra.

La guerra presuppone una dimensione di passività e miseria dell’uomo sulla quale agire; ricerca una “sofferenza in cui altri esiste come pura passività”298.

Riprendiamo un passo tratto dalla raccolta di saggi Nomi Propri in cui emerge al meglio la dimensione della negazione dell’Altro nella guerra e nell’omicidio:

294 Nomi Propri; cit. p. 172.

295 L’io e la totalità, in Tra Noi; cit. p. 58: (…) con l’acciaio e con l’oro, cose tra le cose, ho dunque un potere sulla libertà

d’altri, pur riconoscendo questa libertà che, tuttavia, come libertà esclude ogni passività a cui il potere di altri possa aggrapparsi.

296 Ivi, cit. p. 59. 297 Ivi, pp. 65-67.

L’altro uomo è l’unico essente la cui negazione può annunciarsi come totale: un assassinio. L’altro è l’unico essere che io posso voler uccidere. Io posso volere. E tuttavia questo potere è tutto il contrario del potere. Il trionfo di questo potere è la sua sconfitta come potere. Proprio nel momento in cui il mio potere di uccidere si realizza, l’altro mi è sfuggito.299

La violenza può prodursi soltanto laddove c’è un essere strutturato passivamente che, da una parte, subisce l’azione violenta ma, dall’altra, resiste a tale violenza grazie alla propria trascendenza:

senza questa contraddizione, nell’essere che subisce la violenza, il dispiegarsi della forza violenta si ridurrebbe ad un lavoro. (…) la presa che la violenza ha su questo essere – la mortalità di questo essere – è il fatto originario.300

La mortalità è ciò che si offre al nemico contemporaneamente alla resistenza a tale mortalità. Se non ci fosse una resistenza alla violenza dell’omicidio l’attività di sterminio diverrebbe un lavoro tra gli altri, un lavoro senza scrupoli, e l’uomo sarebbe valutato come una cosa tra le cose.301 L’odio desidera la morte dell’Altro per infliggergli la

suprema sofferenza, per renderlo totalmente passivo e succube: “L’odio lo sa molto bene (…) l’odio vuole questa passività”302

. L’odio è insaziabile ed esige che il soggetto rimanga soggetto pur divenendo oggetto, esige che insieme alla passività della sofferenza, egli debba sopportare anche la passività della pazienza del tempo che lo separa dalla morte.

Nell’ordine inumano dell’odio e della guerra si fa spazio un altro ordine: quello della giustizia. Grazie ad essa anche il Medesimo può essere tutelato dalla violenza omicida dell’altro uomo:

299 Nomi Propri; cit. p. 172.

300 Totalità e Infinito; cit. pp. 228 -229.

301 Ivi, cit. p. 235:l’entrata dell’io nei calcoli d’altri (...) un’interazione di volontà o storia – interazione tra volontà definite

ciascuna come causa sui, in quanto l’azione su un’attività pura presupporrebbe una passività in questa attività.

Non bisogna superare il nulla della morte, ma la passività cui la volontà si espone in quanto mortale, in quanto incapace di attenzione assoluta o di veglia assoluta e in quanto necessariamente sorpresa, in quanto esposta all’omicidio.303

È necessario che in questa giustizia non venga meno la singolarità di ciascun uomo e che l’Io non ascolti passivo il verdetto della storia, ma che rivendichi la propria unicità di soggetto facente parte di una molteplicità di unici: la storia impersonale non rende ragione dei nomi propri degli uomini, li totalizza e li giudica impersonalmente.

Pertanto, per determinare la reciprocità e per impedire la violenza, serve una giustizia garante dell’amore, in grado di richiamare ed esaltare la passività e la bontà originarie e costitutive di ciascuna creatura, di ciascun eletto. È necessario che la giustizia si rivolga all’etica:

verso la quale, come verso la sua matrice, la giustizia universale dolorosamente ritorna, attesta che quest’ultima si giustifica soltanto se può anche essere contenuta all’interno della fragilità soggettiva, senza riflettersi, senza confermarsi in nessun ordine oggettivo.304

Con la comparsa della giustizia si instaura una situazione “apologetica” valida anche per Medesimo; anch’egli può reclamare dei diritti nei propri confronti.

Con il subentrare del terzo uomo, che rappresenta tutti gli uomini,305 il Medesimo non può più rivolgersi all’Altro in un faccia a faccia perché in questo modo farebbe un torto al terzo. La buona volontà di ciascuno non può rimanere soggettiva e interiore, ma deve rendersi visibile, oggettiva e riconosciuta universalmente mediante le istituzioni sociali e politiche.

303 Ivi, cit. p. 248.

304 Nomi Propri; cit. p. XXI. 305 Totalità e Infinito; cit. p. 218.

Per mantenere una relazione equa e per far sì che anche il Medesimo possa difendere se stesso e pretendere qualcosa dall’Altro è necessario reintrodurre la funzione oggettivante e tematizzante della ragione e del linguaggio, la possibilità di confrontare gli inconfrontabili e di essere giudicato. Ma, per evitare che la giustizia ricada inevitabilmente nell’impersonalità della storia e nell’abbraccio onnicomprensivo e totalizzante dell’anonimato, con la ripetizione perpetua delle stesse violenze e carneficine, è necessario che essa trovi la propria origine nell’etica, in funzione non di se stessa, ma dell’amore verso l’Altro.

Tale giustizia deve tenere sempre presente l’unicità di ciascun singolo e deve far leva sulla sua bontà costitutiva per fondare uno Stato equo, caritatevole, ospitale e aperto. Concludiamo con una citazione utile per ricapitolare l’importanza della costituzione benevola dell’uomo e per indirizzarci al meglio nell’analisi della passività in Altrimenti che essere:

(…) al di là della giustizia delle leggi universali, l’io è sottoposto al giudizio per il fatto di essere buono. La bontà consiste nel porsi nell’essere in modo tale che Altri vi conta più di me stesso. La bontà implica così, per l’io esposto all’alienazione dei suoi poteri a causa della morte, la possibilità di non essere per la morte.306