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L’a-simmetria della relazione e il linguaggio come prossimità

3. L’INCONTRO DELL’ALTRO E LA DISFATTA DELL’INTENZIONALITÀ, DEL

3.3 L’a-simmetria della relazione e il linguaggio come prossimità

L’ateismo e la religione caratterizzano le due dimensioni dell’Io: la prima separa, ovvero, mette in risalto la capacità dell’uomo di rompere con Dio,247 la seconda, al contrario, unisce ed evidenzia la possibilità di aderire alla credenza. Levinas utilizza il termine “religione” non solo per indicare il legame che ci unisce a Dio, ma anche per denotare la relazione metafisica con cui il Medesimo entra in contatto con l’alterità: “Noi proponiamo di chiamare religione il legame che si stabilisce tra il Medesimo e l’Altro, senza costituire una totalità”248.

Il legame religioso si articola come un vocativo, un’invocazione che non è mai preceduta da una comprensione né può mai costituire una totalità.249 L’attività di comprensione non invoca l’Altro, non lo guarda in faccia, lo nomina soltanto e lo riconduce al potere del Medesimo; nel vocativo, al contrario, si mantiene la trascendenza dell’Altro e si assicura la sproporzione, la non reciprocità e la dissimmetria della relazione.

247 Totalità e Infinito; cit. p. 57: Con ateismo intendiamo così una posizione anteriore sia alla negazione che alla affermazione del

divino, la rottura della partecipazione a partire dalla quale l’io si pone come il medesimo e come io.

248 Ivi, cit. p. 38.

Come abbiamo già accennato, il volto è parola e appello alla responsabilità, comandamento che si indirizza al Medesimo e che esige una risposta: è l’origine del linguaggio.

Il linguaggio pone l’Altro in una radicale altezza e gli permette di ordinare, insegnare e mettere in questione il Medesimo. L’Altro diviene un Lei, un Maestro, la cui autorevolezza preserva la relazione dalla corrispondenza e dalla proporzione: per questo il linguaggio è prossimità e non reciprocità tra un Io e un Tu, come vorrebbe Buber. La reciprocità del dialogo è criticata da Levinas perché riduce la distanza tra i termini che entrano in relazione e diminuisce l’altezza dell’altro uomo. Il dialogo mette sullo stesso piano due grandezze incommensurabili, o meglio, una grandezza finita, l’Io, con una non–grandezza, quella dell’Infinito-Altro.250

Contro il privilegio che da sempre la filosofia occidentale ha accordato alla visione, Levinas oppone quello dell’ascolto dell’ordine e dell’insegnamento altrui. L’ascolto dell’insegnamento del Maestro pone il Medesimo in una situazione di ricezione delle nozioni, di completa passività. La lezione che il Medesimo apprende non è tratta da sé, ma deriva dall’Altro: è ricevuta dall’esterno grazie alla dimensione di passività con cui il Medesimo la accoglie. Il fatto che il Medesimo sia recettivo dell’insegnamento altrui allontana anche dal modello di pensiero basato sulla maieutica socratica; l’Io non trae da sé la conoscenza, bensì la riceve dall’autorità dell’Altro.251

250 Emmanuel Levinas, Nomi propri, a cura di Francesco Paolo Ciglia, Marietti editore, 1984; cit. p. 37: Nell’etica, in cui l’altro

è contemporaneamente più alto di me e più povero di me, si distingue l’io dal tu, non per la diversità di qualunque “attributo”, ma per la dimensione di elevazione che rompe con il formalismo di Buber.

251 Ivi, cit. p. 209: L’Altro non è per la ragione uno scandalo che la metta in movimento dialettico, ma il primo insegnamento. Un

essere che riceve l’idea dell’Infinito – che riceve – in quanto non la può trarre da sé – è un essere istruito in modo non maieutico, un essere il cui esistere stesso consiste in questa incessante ricezione dell’insegnamento, in questo incessante superamento di di sé.

Il Medesimo non solo è istruito dall’Altro, ma è proprio dall’Altro che trae la razionalità, intesa come possibilità di mettere in moto e originare la relazione: il volto “instaura la Ragione. (…) Il pensiero razionale si riferisce a questo insegnamento”252.

L’altezza da cui proviene la parola dell’Altro e la dissimmetria originata dall’obbligo pongono il Medesimo in una posizione di passività che nega qualsiasi possibile reciprocità. Ancor più, è proprio dal fatto che l’uomo è passivo che dipende l’a-simmetria della relazione e la diacronia del tempo. Nel faccia a faccia con l’altro uomo, il Medesimo, in virtù della propria passività, si trova sempre in una posizione di “pazienza integrale”253che attende l’Altro.

Nella prossimità dell’Altro la relazione mantiene separati i termini, in essa c’è incontro e distanza, non subordinazione e assimilazione come avviene nell’ontologia heideggeriana. La cura esistenziale che si impone al Dasein si attua di fatto come dominazione e indifferenza verso gli altri, non come prossimità. L’azione violenta è quella che non guarda in faccia, quella in cui il soggetto agisce come se fosse solo al mondo: il Miteinandersein heideggeriano è un modo di agire di traverso e non frontalmente come nel faccia a faccia levinassiano.

Solo la relazione etica, che si manifesta nella preoccupazione e nella responsabilità per l’altro uomo, contrasta e oltrepassa tale esito: dall’essere con-altri, a fianco di altri, all’essere per-altri, l’uno di fronte all’altro, il cui comando proviene dall’Altro e dall’alto. L’etica si annuncia, dunque, come obbligo alla responsabilità e come passività del Medesimo sollecitata dall’Altro, ma già iscritta nel cuore; già inscritta nella condizione creaturale dell’uomo, nella Bontà precedente la bontà, nel sentimento originario di colpa e responsabilità per l’Altro.

252 Ibidem.

La messa in questione della spontaneità dell’Io è etica, per questo, l’etica è definita “filosofia prima” 254

, perché è legata alla struttura stessa del Medesimo e alla sua soggettività-passività. L’etica è “imposta” all’uomo “al di qua di qualsiasi violenza, con una violenza che lo mette interamente in questione”255: è un movimento che parte dalla passività stessa, attraverso la quale il soggetto si decentra e diviene responsabile.

La passività originaria con cui il soggetto si sente predisposto ad accettare l’etica è motivata dal fatto che il luogo dell’etica è l’Altro: l’Altro è il primordiale interlocutore del Medesimo e il principio e l’origine delle sue azioni.

L’etica è dunque una riflessione sulla fragilità e sulla passività stessa del soggetto che risale alla sua struttura di creatura, al pre-originario della Creazione, al passato che presuppone ogni presente.

Solo un’etica della passività, fondata sulla non-violenza e sull’impossibilità di assassinio, può opporsi alla guerra; un’etica che non deriva dalla coscienza o dai saperi del soggetto, ma dalla passività stessa con cui il soggetto riceve il comando dell’altro uomo.

La passività con cui accogliamo l’insegnamento del Maestro è, dunque, etica e amore, laddove amore significa “temere per altri, dare aiuto alla sua debolezza”256. Solo un’etica siffatta, che non si fonda sui diritti dell’Io, ma su quelli dell’Altro, e in cui Altri occupa sempre il primo posto può scongiurare l’esito impersonale, imperialista e totalizzante della storia e della filosofia occidentale.

254 Totalità e Infinito; cit. p. 313: L’etica al di là della visione e della certezza, delinea la struttura dell’esteriorità come tale. La

morale non è un ramo della filosofia, ma la filosofia prima.

255 Ivi, cit. p. 45. 256 Ivi, cit. p. 263.