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La passività e le sue declinazioni: verso una nuova etica

4. UN UMANESIMO DELLA PASSIVITÀ

4.6 La passività e le sue declinazioni: verso una nuova etica

Prima di affrontare il paragrafo successivo in cui vedremo in che modo l’umanità dell’uomo non risieda nella sua coscienza, ma nella sua passività, sarà utile ricapitolare le varie sfaccettature della passività che sono emerse in questa ultima parte del lavoro. La passività del non-intenzionale ci ha permesso di superare le diverse articolazioni dell’ontologia che, nel suo carattere di attività, intenzionalità, concettualità, razionalità e tematizzazione, non solo ha escluso la passività, ma l’ha trasformata in scelta, deliberazione e atto.

Nello stadio di opposizione all’attività, la passività ci è apparsa ancora mescolata con essa; per recuperarne la purezza originaria è stato necessario risalire al di là della dicotomia passività-attività, al di là del piano ontologico, fino alla causa prima della passività, conservata nell’uomo nella traccia divina della sua elezione.

Grazie alla passività della creazione ex nihilo, che precede l’ontologia e il Male, la creatura ha ricevuto il proprio essere dal Bene stesso che le ha donato la vita come atto supremo di gratuità. Scrive Levinas:

Il bene non va pensato a livello del sentimento che attenua la violenza della responsabilità non giustificata da alcun atto libero, e che apparterrebbe all’esperienza della responsabilità. Esso è per sua natura, passività.422

La traccia del Bene che abbiamo ritrovato nel vincolo anarchico della passività, era già bontà.423 Pertanto, l’alternativa del Male è stata esclusa dalla stessa presenza della

passività originaria. All’origine della gerarchia abbiamo trovato solo ed esclusivamente il

422 Umanesimo dell’altro uomo; cit. nota 17, p. 121.

423 Ivi, cit. p. 120: Incapace di infrangere la passività della soggezione pre-liminare, pre-istorica, di annullare l’al di qua, di disdire già che

Bene; il Male, in quanto derivato dal Bene, non è riuscito in alcun modo a infrangere la bontà della passività originaria.

Dopo aver descritto la passività originaria della Creazione, siamo giunti a descrivere due ulteriori ramificazioni della passività, originate da essa, ma emerse solo ed esclusivamente con l’incontro dell’altro uomo.

La prima è stata quella antecedente la stessa attività di donazione: quella che, nell’incontro dell’Altro, ha coinvolto immediatamente il Medesimo nel subire il suo subire e nell’addolorarsi per la sua miseria. Questa passività non era ancora attività d’accoglienza e attività concreta, ma pura sensibilità, puro patire e subire. Nella sofferenza per la sofferenza inutile dell’Altro, l’Io era investito “da capo a piedi, sino nelle midolle delle ossa”424dalla vulnerabilità, in maniera originaria ed estrema.

Questa passività, più passiva di quella che sarebbe derivata dalla ricettività dei sensi e dall’esperienza, ha rivelato una creatura totalmente esposta all’Altro. Ogni atto d’amore o di misericordia nei confronti del prossimo presupponeva questa passività come sensibilità, come “commozione di visceri”425, come condizione stessa del per-l’altro: come cattiva coscienza.

La coscienza pre-riflessiva della cattiva coscienza, confusa, smarrita, nuda, timida e accusata senza colpe,426 che precedeva ogni intenzione, si presentava come immediata messa in questione del proprio diritto d’essere: come responsabilità inscritta nel volto d’Altri, ma non ancora come donazione.

Gli eventi della sostituzione, dell’ossessione e dell’espiazione non sarebbero stati possibili se la soggettività non fosse stata primariamente passività capace di svuotare il Medesimo del suo essere e della sua intenzionalità. L’accusativo del Medesimo, mai preceduto dal caso nominativo, ci ha rivelato questo subire, questa colpevolezza e questa

424 Ivi, cit. p. 143. 425 Ivi, cit. p. 145.

defezione dell’identità sollecitata dal volto dell’Altro. Per questo, la passività è stata definita sincerità del Medesimo, Dire originario senza pronunciare alcuna parola, espressione pura, prossimità e “gloria della non-essenza”427, perché si è originata prima della verità e prima della percezione e del sapere.

Siamo poi entrati nel vivo della passività-attività come momento ineluttabile della prima. Questa passività sarebbe potuta sembrare una contraddizione, in realtà, come abbiamo visto, la passività richiedeva necessariamente l’attività e la donazione come adempimento stesso del bene. Nel farsi carico dell’Altro la passività si è ricongiunta all’atto; all’atto con cui il Medesimo si toglie il pane dalla propria bocca per donarlo all’affamato: “non tanto per avere il merito di darlo, ma per dare il proprio cuore - per darsi donando”428. Dunque, la passività dell’essere-per-l’altro è possibile solo nella forma della donazione, della carità e della misericordia: della giustizia oblativa.

In conclusione, abbiamo visto in che modo il Bene, antecedente il Male e l’Essere, abbia creato l’uomo. La primaria passività del soggetto, passività originaria o creaturale, rispecchia l’in-assumibilità della vita, ovvero, l’atto di creazione che pone il Medesimo in relazione diretta con il Bene. Il Bene dona al Medesimo il senso, la Legge e la Toràh, che si riflettono nella sua “coerenza interiore” e nel Desiderio dell’Altro. Con l’incontro dell’Altro il Medesimo è coinvolto in una vulnerabilità e in un consenso anteriori alla libertà di scelta; in una costrizione che esclude la sua libera iniziativa: in una passività che “nessuna <<sana>> volontà può volere”429.

In questo preciso istante emerge anche l’ateismo del Medesimo, il quale, nonostante riconosca necessariamente la Legge e la realtà morale, è libero di rinnegarle. Sedotto dal

427 Umanesimo dell’altro uomo; cit. p. 151. 428 Altrimenti che essere; cit. p. 90. 429 Umanesimo dell’altro uomo; cit. p. 151.

Male e dall’essere, il Medesimo può rifiutare il senso, l’etica e l’Altro, trasgredire il suo patto con il Bene e, dal caso accusativo, trasformarsi in quello nominativo.

Ed eccoci tornati al punto di partenza, al caso nominativo della fatticità heideggeriana, dell’auto-affermazione e della cura identitaria e al ritorno su di sé nella glorificazione dei legami di sangue: alla filosofia dell’hitlerismo.

Specchio della solitudine dell’uomo moderno, della catastrofe delle guerre e del fallimento della filosofia occidentale, l’esito cinico e nichilistico della totalizzazione e della violenza, ci indirizza, o forse, ci obbliga ad un ripensamento dell’etica.

Levinas ci ha dato l’antidoto e ci ha, in parte, già tracciato la strada da percorrere: quella di cambiare ottica recuperando l’autentica possibilità di donare se stessi all’Altro, conseguibile unicamente attraverso un ripensamento della nozione di Umanità; umanità che, come vedremo nel seguente paragrafo, sarà originata proprio dalla passività.