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Per una definizione di gioco: tra polisemie e contrasti nel pensiero di Caillois

Nel documento QUANDO IL GIOCO DIVENTA APPRENDIMENTO (pagine 25-39)

4.1 Definizioni e contraddizioni

Nel 1933, il rettore dell’università di Leida, J. Huizinga, scelse come tema della sua prolusione: I limiti del gioco e del serio nella cultura. E ne riprese e sviluppò la tesi in un lavoro di grandissima portata e originalità pubblicato nel 1938, Homo ludens, di cui si è detto sopra, e che contribuì significativamente a gettare le basi per una comprensione della natura e del senso del gioco che fosse il più possibile completa. Quest’opera, seppure discussa in molte delle sue affermazioni, è, tuttavia, tale da aprire vie estremamente feconde alla ricerca e alla riflessione.

Tra coloro che hanno contestato in parte la tesi di Huizinga, troviamo Caillois, nel cui saggio “I giochi e gli uomini” tenta di ampliare la definizione data dallo storico olandese.

Huizinga aveva magistralmente analizzato molti caratteri fondamentali del gioco e dimostrato l’importanza del suo ruolo nello sviluppo stesso della civiltà. Da una parte egli voleva fornire una definizione esatta sulla natura specifica del gioco, ma dall’altra si sforzava di mettere in luce quella parte del gioco che è insita o anima le manifestazioni essenziali di ogni cultura: le arti come la filosofia, la poesia come le istituzioni giuridiche e perfino certi aspetti della guerra cavalleresca.

Huizinga ha svolto brillantemente questa tesi, ma, se è vero che egli è il pioniere che ha saputo riconoscere l’importanza del gioco, è anche vero che egli, secondo Caillois13, trascura la descrizione e la

13 Roger Caillois, nasce nei pressi di Reims nel 1913. si diploma brillantemente all’Ecole normale Superieure di Parigi (1936). È stato uno scrittore, sociologo e critico letterario francese. Nel 1958 scrive il saggio “I giochi e gli uomini”, in cui tenta di classificare i giochi e le regole di essi.

classificazione dei giochi stessi, come se corrispondessero tutti agli stessi bisogni ed esprimessero indifferentemente lo stesso atteggiamento psicologico.

L’opera di Huizinga si concentra essenzialmente su un’unica tipologia di giochi: i giochi di competizione regolata, tralasciando di riempire alcune lacune.

Riassumendo quanto detto finora, Huizinga definisce il gioco nel modo seguente:

“Considerato per la forma si può dunque, riassumendo, chiamare il gioco un’azione libera, conscia di non essere presa “sul serio” e situata al di fuori della vita consueta, che nondimeno può impossessarsi totalmente del giocatore; azione a cui in sé non è congiunto un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio, che si compie entro un tempo e uno spazio definiti di proposito, che si svolge con ordine secondo regole date, e suscita rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito.”14

La definizione di Huizinga porta in luce quelli che possono essere gli elementi essenziali dell’attività ludica; tuttavia, secondo Caillois, una simile denominazione, dove ogni parola è preziosa e profondamente significativa, è al tempo stesso troppo ampia e troppo circoscritta.

Le parole chiave che balzano subitamente all’occhio e sulle quali Caillois si concentra, sono:

- azione libera e consapevole;

- al di fuori della vita consueta;

- in tempo e spazio definiti;

- secondo regole date

- circonda i rapporti sociali di mistero;

14 J. Huizinga, Homo ludens, op. cit., p. 34.

A p. 55, si trova un’altra definizione, meno dettagliata, ma anche meno limitativa:”…gioco è un’azione, o un’occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un fine in se stessa;

accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e della coscienza di ‘essere diversi’

dalla ‘vita ordinaria”.

Secondo il sociologo francese, è senz’altro meritorio l’aver colto l’affinità che esiste fra il gioco e l’arcano o il mistero, ma questa connivenza non può tuttavia rientrare in una definizione del gioco che è quasi sempre spettacolare, se non addirittura ostentativa. Senza dubbio, il segreto, il mistero, il travestimento insomma, si prestano ad un’attività ludica, ma è opportuno aggiungere subito che questa attività si esercita necessariamente a detrimento del segreto e del mistero. Perché provoca un danno al segreto e al mistero? Perché li espone, li rende pubblici e in qualche modo li “consuma”. Il gioco tende ad alienare il mistero dalla sua stessa natura. Al contrario, quando il mistero, la maschera, il travestimento adempiono a una funzione sacramentale, si può essere certi che non c’è un gioco, ma un’istituzione. Tutto ciò che è mistero o simulacro per natura, è vicino al gioco, ma bisogna che la parte della fantasia e del divertimento prevalga, vale a dire che il mistero non sia visto con riverente soggezione e il simulacro non sia origine o segno di metamorfosi o di possessione.

D’altra parte, non c’è dubbio che il gioco debba essere definito come un’attività libera e volontaria, fonte di gioia e divertimento. Un gioco a cui si fosse costretti di partecipare cesserebbe subito di essere un gioco: diventerebbe una costrizione, una corvée di cui non si vedrebbe l’ora di liberarsi. Obbligatorio o semplicemente consigliato, perderebbe una delle sue caratteristiche fondamentali: il fatto che il giocatore vi si dedichi spontaneamente e unicamente per il proprio piacere, avendo ogni volta la piena libertà di preferirgli il riposo, il silenzio, il raccoglimento, la solitudine oziosa o un’attività produttiva.

Esso esiste solo là dove i giocatori hanno voglia di giocare e giocano, sia pure al gioco più impegnativo e stressante, con l’intenzione di divertirsi o di dimenticare le proprie preoccupazioni, vale a dire per evadere dalla vita di ogni giorno. Bisogna, inoltre e soprattutto, che

essi abbiano la libertà di andarsene quando vogliono, dicendo: ”Non gioco più.”

Infatti, il gioco è essenzialmente un’operazione separata: anche secondo Caillois essa è scrupolosamente isolata dal resto dell’esistenza e svolta in generale entro precisi limiti di tempo e di luogo. Esiste uno spazio del gioco e niente di quanto avviene all’esterno di questa frontiera ideale è da prendere in considerazione.

Lo stesso vale a dirsi per il tempo: la partita inizia e finisce al segnale convenuto. La sua durata può essere stabilita in anticipo o, se è il caso, la si può prolungare.

In ogni caso, però, lo spazio del gioco è un universo precostruito chiuso, protetto: uno spazio puro.

Le leggi ingarbugliate e confuse della vita ordinaria vengono sostituite, all’interno di questo spazio circoscritto e per il tempo prestabilito, da regole precise, arbitrarie, irrevocabili, che bisogna accettare come tali e che presiedono al corretto svolgimento della partita. Chi bara, anche se le infrange, finge almeno di rispettarle perché non le discute anche se abusa della lealtà degli altri giocatori.

La disonestà del baro non comporta, però, la distruzione del gioco.

Colui che lo fa saltare è il negatore o guastafeste che denuncia l’assurdità delle regole, la loro natura puramente convenzionale, e che rifiuta di giocare perché il gioco non ha alcun senso. Fino a qui la tesi del Caillois sembra convergere con quella di Huizinga e con le caratteristiche da lui individuate; tuttavia, secondo Caillois, il gioco non ha altro senso se non in se stesso. È per questo che le sue regole sono imperative e assolute: al di là di ogni discussione.

Per cui si gioca solo se si vuole, quando si vuole, per il tempo che si vuole. In questo senso il gioco è un’attività libera.

Inoltre, per il sociologo il gioco è anche un’attività incerta. Il dubbio sulla sua conclusione deve sussistere fino alla fine. Uno svolgimento noto in anticipo, senza possibilità di errore o di sorpresa è

incompatibile con la sua natura. In questa situazione di incertezza ci si può muovere liberamente entro i limiti delle regole.

Tuttavia Caillois, esclude l’esistenza di quei giochi, soprattutto quelli dei bambini, in cui si prova piacere nel ripetere continuamente la stessa attività. Non tutti i giochi hanno il carattere dell’incertezza, ma ve ne sono alcuni per cui il carattere dell’immutabilità e della ripetibilità, sono essenziali perché soddisfano e ottemperano ad un bisogno di stabilità e fungono, inoltre, da punti di riferimento.

Secondo Walter Benjamin, infatti, nel gioco agisce sovrana la legge della ripetizione15. In alcuni giochi i bambini ripetono infinite volte l’azione e, così, non solo riescono a superare il terrore di certe esperienze originarie mediante lo smussamento, ma riescono anche a gustare ripetutamente nel modo più intenso, trionfi e vittorie.

L’esperienza infantile, che si muove attraverso la legge della ripetizione, non si può articolare solo come azione metaforica, “un fare come se”, ma piuttosto come “un fare qualcosa sempre di nuovo”

che, dopo infinite ripetizioni, genera sì le abitudini degli adulti, ma diviene anche immagine dialettica, in grado di rovesciare l’abitudine e ridare vita al “fare sempre di nuovo” nel quale risiede la possibilità, in quanto atto, azione, di rompere i vecchi schemi per crearne di nuovi.

Nel pensiero di Caillois esistono molteplici giochi, ognuno con funzione e caratteristiche peculiari, ma nel grande universo dell’attività ludica egli essenzialmente definisce il gioco come un’attività:

- Libera: a cui il giocatore non può essere obbligato;

- Separata: circoscritta entro precisi limiti di tempo e di spazio fissati in anticipo;

- Incerta: il cui svolgimento non può essere determinato in anticipo, né il risultato acquisito preliminarmente, una certa

15 Pensiero già formulato da Freud, nel 1920, nello scritto Al di là del principio del piacere, in Opere”, vol. 9, Boringhieri, Torino, 1977

libertà nella necessità d’inventare lasciata all’iniziativa del giocatore;

- Improduttiva: che non crea, cioè, né beni, né ricchezze, né alcun elemento nuovo;

- Regolata: sottoposta a convenzioni che sospendono le leggi ordinarie e instaurano momentaneamente una legislazione nuova che è la sola a contare;

- Fittizia: accompagnata dalla consapevolezza specifica di una diversa realtà o di una totale irrealtà nei confronti della vita normale.

Queste qualità rimangono, tuttavia, puramente formali e non danno giudizi sui contenuti dei giochi, i quali sono stati suddivisi da Caillois in base quattro diverse categorie a cui appartengono e che verranno trattate in seguito.

Lo studioso francese, oltre a voler individuare le funzioni sociologiche sottese ai giochi, tenta di trovare un senso o un non-senso all’attività ludica.

4.2 Un’isola precaria.

Si è scritto molto sul gioco e sui giochi e basterebbe un sguardo panoramico sulla psicologia e sulla pedagogia per rendersi conto di quanto possa essere ampia la bibliografia critica, senza contare lo sviluppo della teoria matematica dei giochi e l’uso della matematica del gioco in filosofia e nella critica letteraria e artistica.

Un filosofo tedesco di scuola fenomenologia, Eugen Fink, in un suo saggio del 195716, dice che il gioco è “un’oasi di gioia”.

16 Cfr. E. Fink, Oasi della gioia. Idee per un’ontologia del gioco [1957], tr. It. Con un’introduzione di A. Fasullo, Edizioni 10/17, Salerno 1986.

La tesi di Fink sostiene che il fenomeno umano del gioco acquista un significato universale, una “trasparenza cosmica”, e che sia il gioco sia il mondo si prestano a essere chiariti l’uno alla luce dell’altro. Vi è naturalmente una differenza cosmologica (Heidegger parlava di

“differenza ontologica”) tra il gioco come fenomeno umano, che si svolge tra enti intramondani quali l’uomo e le cose, e il gioco del mondo. Tuttavia la peculiarità dell’essere-nel-mondo dell’uomo – come quell’ ente che si rapporta estaticamente al mondo e lo penetra comprensivamente – fa sì che il gioco umano possa essere assunto a simbolo del gioco cosmico.

Attraverso una critica della concezione metafisica del gioco, ossia da una lato della teorizzazione platonica che riduce il gioco a immagine apparente del mondo, e dall’altro di quella mitica, in cui il gioco viene sacralizzato e, con ciò, ricondotto a regole prefissate, di cui l’uomo non è l’autore, ma gli dei o i demoni, Fink perviene a stabilire le seguenti determinazioni del concetto filosofico di gioco. Nel gioco – come in altre condotte fondamentali, quali il lavoro, la lotta, l’amore, il culto dei morti – l’uomo realizza la sua fondamentale apertura al mondo. Esso è caratterizzato dalla totale gratuità, dall’irrealtà, da un senso di gioia pagana per il sensibile, in cui viene sperimentato il

“piacere dell’apparenza”. Nel gioco, l’uomo sembra mimare la stessa onnipotenza del mondo. In queste sue peculiarità, il gioco è simbolo del mondo, del suo essere senza fondamento, scopo, senso, valore e progetto, ma insieme del suo tenere aperti gli spazi e i tempi per l’essere delle cose, il quale ha una ragione e un fine, è ricco di significato e di valore.

In seguito alle sue ricerche Callois sembra rispondergli dicendo: il gioco è “un’isola incerta”.

Il gioco è dunque, qualcosa di “circoscritto”, oasi o isola che sia, uno spazio a sé, in certo modo chiuso, sicuramente “separato” dalla realtà comune. Anche Huizinga aveva insistito su questa separatezza, parlando di uno spazio magico, entrando nel quale sospendiamo le

regole e i modi della vita quotidiana. Ma un’isola di incertezza è altra cosa da un’ oasi di felicità: la dimensione “ludica” non è ovviamente scindibile dal piacere di giocare, tuttavia Caillois dà alla parola

“gioco” e all’aggettivo “ludico” un’intonazione ben diversa: la bella e leale competizione (la quale muove la volontà degli uomini ad essere primi e a migliorarsi di continuo per ottenere onori e virtù) che aveva in mente Huizinga nel gioco-gara, diventa in Caillois un’esperienza inquietante caratterizzata piuttosto dall’aleatorietà, dall’ambiguità della maschera e dall’affetto squilibrante della vertigine.

Entrare nel gioco, in-ludere, non significa per lui entrare solo in una dimensione illusoria, già di per sé instabile, ma anche esporsi al rischio e infine, partecipare di quello stato di “incandescente” ben noto all’esperienza del giocatore d’azzardo, che introduce la dimensione del rischio.

La bella felicità descritta da Huizinga si drammatizza nel senso suggerito dalla comune espressione “mettersi in gioco” in cui ci si può perdere.

Il gioco è gratuito e, quando è regolato, le sue regole valgono esclusivamente come regole di quello stesso gioco: non alludono alle regole della vita, non le simulano o le imitano, non sono un allenamento o un addestramento alla vita. Il gioco dunque non è né utile, né produttivo, anzi: in generale si manifesta come un’attività in pura perdita.

Il passo successivo di Caillois è quello di operare un passaggio: dal singolare al plurale, dal gioco ai giochi.

Secondo l’autore, si può ricostruire il campo delle pratiche ludiche solo se riusciamo ad evitare un pregiudizio filosofico che si presenta come indebita reductio ad unum. Da qui il pensiero di Caillois si discosta vorticosamente da quello di Huizinga, senza nascondere alcune concezioni negative sul carattere del gioco.

Egli scrive: “Ma un punto resta in questione: il gioco è veramente uno?”. Possiamo ridurre il gioco ad un’idea unitaria? Non ci mette

sulla strada il fatto che l’esperienza ludica ha ricevuto ed ha, nelle diverse lingue, una sorprendente varietà di nomi, i quali talora indicano caratteri e aspetti assai diversi dal gioco? Il progetto di Caillois nasce da queste domande e sostanzialmente completa il lavoro, iniziato brillantemente, dal predecessore olandese.

Ammettiamo pure che l’esperienza ludica possa essere riconosciuta come qualcosa di comune a tutti gli uomini e a tutte le compagini socio-culturali (senza dimenticare gli animali): tuttavia, ad un’eventuale identificazione di tale esperienza non si può arrivare per via astratta (riflettendo su concetto di gioco), ma solo allargando l’indagine alle varie tipologie e ai vari modi di giocare, insomma attraverso l’universo dei giochi giocati senza preclusioni, e solo in un secondo momento ipotizzare un ordine o una classificazione.

Così Caillois perviene alla sua tipologia, la quale riconosce quattro forme del gioco:

- l’agon: la competizione - l’alea: la sorte

- la mimicry: la maschera - l’ilinx: la vertigine.

Queste quattro categorie si combinano e sposano tra loro in un vortice regolato dalle due forze:

- ludus - paidia.

4.3 La teoria dei giochi di R. Caillois

Caillois dispone e inventa un modello basato su differenze e opposizioni. Il gioco, come abbiamo già visto, non è “uno”, bensì è qualcosa più simile ad una piattaforma girevole con lati e aspetti diversi collegati da una logica circolare e che poggia su quattro

pilastri fondamentali. Questo è l’apporto più originale nella tesi del sociologo.

Di conseguenza, la molteplicità dei giochi viene classificata secondo gli assi dei quattro atteggiamenti fondamentali di agon, alea, mimicry, ilinx e le due “potenze” che li attraversano, ludus e paidia.

Ludus e paidia

Troviamo il gioco “ludus” che si manifesta con la tendenza a superare gli ostacoli. Nel ludus ne va della capacità fisica o dell’

abilità mentale, tutto è questione di scaltrezza, calcolo, capacità combinatoria, pazienza. La potenza del ludus si applica alle regole sportive, ma anche al gioco degli scacchi, ai rompicapo matematici, alla risoluzione di enigmi. Talora c’è un premio materiale in queste sfide, ma il vero godimento non sta nel premio, bensì nella prova che si è data di sé stessi.

Si evidenzia un parallelismo con il processo di apprendimento che prevede l’incontro-scontro con l’oggetto da apprendere, il quale provoca delle resistenze da superare. Il nuovo è atteso e temuto, ma una volta che si supera la prova il piacere di essere arrivati alla fine è gratificante.

Il gioco, però, non è solo prova di sé e capacità ordinata di vincere gli ostacoli, è anche paidia, ovvero turbolenza, fantasia incontrollata, improvvisazione. Qui il piacere sembra cambiar natura: si associa al

“divertimento” nel senso più proprio del termine, come nel caso di tutte quelle manifestazioni che hanno a che fare con l’eccitazione, l’allegria e il riso.

Ciò che da piacere della paidia è lo scarto, la sorpresa, la novità, ma poi anche l’eccesso e l’ebbrezza.

Quindi, secondo l’Autore, se ricerchiamo quale sia il piacere del gioco troveremo uno scenario doppio, abitato dal ludus e dalla paidia, dallo scorrimento dall’uno all’altra, dall’interazione tra i loro effetti polari, complementari e compensatori. C’è dunque, fin da subito, un movimento non riconducibile ad un unico vettore, un’instabilità non

semplificata, che sembra appartenere all’esperienza stessa del giocare.

Questa mobilità polare e instabile la ritroveremo puntualmente, come un secondo registro nella geometria dei quattro assi che Caillois prima circoscrive e poi annoda.

4.4 Le quattro categorie di Caillois

Nell’agon la potenza del ludus è massimamente rappresentata: nei giochi agonali, qualunque sia il livello di regola che li organizza, è in gioco la “padronanza di sé”, la capacità dell’individuo, l’affidamento nelle proprie capacità e responsabilità. L’agon si presenta come la forma pura del merito personale e serve a manifestarlo.

Di questa categoria fanno parte tutti i giochi di competizione.

Al contrario, nei giochi che possiamo raccogliere sotto il tipo di alea, (parola latina che indica il gioco dei dadi) l’individuo è passivo, la sua soggettività quasi scompare dinnanzi al tiro dei dadi o alla pallina della roulette. Il colpo fortunato, quello che può addirittura cambiare la vita o da cui ci si aspetta un repentino cambiamento, prescinde dall’impegno del giocatore: anzi, si direbbe, il piacere di questo gioco con il destino è commisurato alla capacità del giocatore di “stare al gioco”, cioè di corrispondere alla passività della sorte, di saper accettare l’alea.

Se nell’agon non conta l’entità della posta, nell’alea può sembrare che la posta sia tutto, e in certi casi la posta è davvero tutto: d’altra parte l’alea ci rivela, meglio di ogni altro tipo di gioco, che uno degli aspetti caratterizzanti ogni esperienza ludica è di essere “in perdita”. Chi azzarda è già un perdente, ha già messo in conto la perdita, grande che sia, e da qui si ricava il piacere specifico del rischio. Nell’alea il desiderio principale è quello di riuscire a vincere sul “destino”.

Anche nella mimicry, il terzo asse, è in gioco una perdita. Mimicry è un termine inglese che significa mimetismo e che si riferisce in particolare al mimetismo degli insetti fulgoridi che avevano attratto il giovane Caillois. Perché si introduce il termine della perdita? Perché nella maschera, nel mascherarsi e poi in tutti i fenomeni della

Anche nella mimicry, il terzo asse, è in gioco una perdita. Mimicry è un termine inglese che significa mimetismo e che si riferisce in particolare al mimetismo degli insetti fulgoridi che avevano attratto il giovane Caillois. Perché si introduce il termine della perdita? Perché nella maschera, nel mascherarsi e poi in tutti i fenomeni della

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