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Le prime teorie psicologiche 6 1 La teorie del pre-esercizio

Nel documento QUANDO IL GIOCO DIVENTA APPRENDIMENTO (pagine 60-64)

L’ APPROCCIO P SICOLOGICO

2. Le prime teorie psicologiche 6 1 La teorie del pre-esercizio

Questa è una teoria biologica del gioco, formulata da K. Groos 7 nella sua opera “Les jeux des animaux”8.

Lo studioso afferma che negli animali si possono manifestare precocemente degli istinti, determinanti per la continuità della specie, che tuttavia saranno veramente utili agli animali stessi soltanto ad un certo momento della loro crescita.

5 “Ivi”

p. 306

6 Cfr Zonta, Psicologia e scuola dell’infanzia, op. cit., pp. 242-47

7 Karl Groos (1861-1946) psicologo e filosofo tedesco. Professore di filosofia a Basilea.

8 Trad. it. I giochi degli animali, Alcan, 1902

I giochi servono quindi per un pre-esercizio degli istinti, una piacevole esercitazione, priva di particolari finalità, non determinata da motivi esterni, un’attività che esercita la capacità di risolvere importanti problemi di adattamento.

Groos, assegna al gioco una funzione importantissima. Sembra, leggendo la sua opera, che le caratteristiche dell’età infantile debbano essere fatte coincidere con il gioco: “Gli animali-egli afferma- non giocano in quanto sono giovani, ma sono giovani in quanto devono giocare”.9

2.2 La teoria della ricapitolazione

La teoria fu formulata nel 1915 da Stanley Hall10. Essa può essere considerata un’espressione della legge biogenetica fondamentale, in base alla quale lo sviluppo dell’individuo riprodurrebbe lo sviluppo della specie (l’ontogenesi ripete la filogenesi). Ogni singolo ripercorrerebbe, cioè attraverso il gioco, l’intera storia della sua specie. I vari giochi, quindi, dipendono dall’età e mostrano una successione che ripropone quella delle fasi storiche superate dall’uomo.

9 Cit in Zonta, , Psicologia e scuola dell’infanzia, op. cit., p. 243

10 Stanley Hall, (Ashfield, Massachusetts 1844 - Worcester, Massachusetts 1924), psicologo ed educatore statunitense. Pioniere della psicologia sperimentale, Hall contribuì notevolmente a sviluppare una nuova disciplina, la psicologia scolastica.

2.3 La teoria catartica o dello stimolante di crescita

H. Carr11, viene spesso considerato il precursore delle teorie psicoanalitiche, in quanto attribuisce al gioco una funzione catartica, cioè di “liberazione”.

Il gioco, secondo questa teoria (1902), ha il potere di scaricare le tendenze ereditarie che non sono più accettabili nella nostra vita sociale o che sono diventate addirittura dannose. Queste tendenze sarebbero costituite soprattutto dall’aggressività e dallo spirito combattivo. Attraverso il gioco il bambino scarica, quindi, quanto è giudicato dannoso dalla società, ma è ancora legato al patrimonio bio-psicologico del soggetto.

Secondo Carr, il gioco ha anche la funzione di stimolare la crescita del bambino, fornendo al suo sistema nervoso le eccitazioni necessarie per lo sviluppo dei vari organi.

2.4 Il gioco come sostituto delle attività serie mediante la finzione o teoria funzionalistica

Nella sua opera “Psicologia del fanciullo”, Claparède 12 propone di considerare il gioco sia come fattore di sviluppo e in funzione delle necessità della vita adulta, ma sia anche come manifestazione dei bisogni presenti. Attraverso il gioco, il bambino afferma la propria personalità per dare soddisfazione alle tendenze profonde dell’Io e

11 H. Carr, Londra, 1892 – Cambridge, 1982) è stato uno storico e pubblicista britannico. È stato delegato inglese alla conferenza di pace nel 1919, è stato docente di politica internazionale all'università del Galles (Aberystwyth) e a Cambridge.

12 E. Claparède (Ginevra 1873, Ginevra 1940). Studiò medicina a Ginevra, conseguendo nel 1897 il dottorato. Dal 1908 al 1940 fu professore di psicologia all'Univ. di Ginevra. Nel 1912 fondò a Ginevra l'Istituto Jean-Jacques Rousseau . È noto soprattutto per il suo pensiero psicopedagogico e per il suo approccio

"funzionale", che poneva l'accento sulla "funzione" dei comportamenti e l'"interesse"

che li guida per spiegarne il loro carattere adattato.

questo diventa possibile attraverso la finzione, in quanto l’ambiente di vita, le circostanze reali e l’immaturità del bambino non permettono altre soluzioni. Dato il suo livello di sviluppo, il fanciullo non è ancora i grado di svolgere attività “serie”, cioè tipiche del mondo adulto, e quindi ricorre volentieri alla finzione come possibilità di imitare l’adulto, dando soddisfazione contemporaneamente ai propri bisogni.

Soddisfacendo i bisogni presenti il gioco prepara, quindi, alla vita adulta.

2.5 La teoria della dinamica infantile

Contro tutte le teorie finalistiche, F. Buytendijk afferma che il bambino gioca non tanto perché deve diventare grande, quanto piuttosto perché è un bambino e quindi in possesso di caratteristiche che gli consentono soltanto condotte di gioco. La tesi di questo studioso è molto originale e si discosta dall’idea che il gioco nasca solo in funzione di qualche altra cosa.

La caratteristica essenziale del gioco, secondo l’autore, sarebbe l’ambivalenza: nel gioco del bambino troviamo contemporaneamente tensione e distensione, timidezza e slancio verso le persone e l’ambiente in genere, realtà e fantasia. Se da un verso il gioco è quindi liberazione dell’emotività dall’altra è fonte di imitazione, di comprensione, di adattamento all’ambiente.

Terreno fertile per l’apprendimento specifico e non specifico.

2.6 Teoria dei principi motori

J. Chateau, nella sua opera “Il fanciullo e il gioco” (ed. La Nuova Italia, 1961), cerca di analizzare quali sono i principi dinamici generali del gioco, in quanto, a suo avviso, l’interpretazione dei contenuti, come

viene data, ad esempio, dalla psicoanalisi non è sufficiente per comprendere il fenomeno. Esistono allora dei principi che naturalmente si sovrappongono nei momenti in cui il bambino produce i suoi giochi, come il principio edonistico, secondo il quale giocare è un piacere morale, intellettuale, della novità, legato al fascino del creare; il principio del richiamo del più grande, da cui nascono le prove di forza e di coraggio, il desiderio di apparire già adulto agli occhi degli altri, i dispetti nei confronti dei più forti o degli adulti in genere; il principio dell’amore per l’ordine, che si manifesta nelle collezioni, nelle minuziose classificazioni, nelle regole che i bambini si danno quando giocano, nei rituali magici.

Nel documento QUANDO IL GIOCO DIVENTA APPRENDIMENTO (pagine 60-64)