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Gioco e apprendimento

Nel documento QUANDO IL GIOCO DIVENTA APPRENDIMENTO (pagine 92-103)

L’ APPROCCIO P SICOLOGICO

6. Gioco e apprendimento

Attraverso il gioco il bambino costruisce l’ immagine di sé e interpreta il mondo. Questi sono due caratteri inscindibili che si muovono di pari passo. Apprendimento e gioco si alternano e insieme contribuiscono allo sviluppo completo della persona. Esiste un parallelismo tra i due concetti e, dopo un’attenta analisi, ci si rende conto di come entrambi utilizzino gli stessi meccanismi e sviluppino gli stessi modelli di pensiero. Il gioco ha il compito di dare un significato e riordinare l’esperienza: è, infatti, attraverso queste strategie che ognuno di noi, sostanzialmente, dà un significato alla realtà e ai comportamenti degli altri.

Ma quando il gioco diventa apprendimento? La risposta non è semplice, in quanto esistono diverse tipologie di apprendimento (specifico, aspecifico, volontario e non). In sostanza, l’attività ludica è sempre apprendimento, ciò a cui bisogna prestare attenzione è la sua qualità e se questa favorisca un’esperienza o un cambiamento, positivo o negativo. Il che suscita il problema di saper individuare la componente educativa e formativa del ludico che genera così l’opposizione tra giochi “buoni” e giochi “cattivi” (l’argomento verrà ripreso in seguito, a proposito della scelta e della programmazione dei giochi nella scuola).

6.1 Cos’è l’apprendimento? 43

Nel suo significato più ampio, l’apprendimento può essere inteso come capacità di adattamento. Ogni organismo cerca infatti delle condizioni di equilibrio, nel proprio habitat, in modo che venga garantita la sopravvivenza della specie.

43 Cfr Zonta, Psicologia e scuola dell’infanzia cit. p 60, pp. 135-36

Questo equilibrio, oggi definito “ecologico”, è frutto di una complessa serie di fenomeni adattivi che si sono articolati nel corso dei secoli, secondo leggi scoperte dalla teoria dell’evoluzione di Charles Darwin.

Ciò rappresenta quello che viene definito l’apprendimento filogenetico, mentre l’apprendimento ontogenetico riguarda il singolo individuo.

Per una definizione più corretta potremmo dire che con il termine di apprendimento si indicano tutte le modificazione dell’equilibrio psichico e del comportamento di un soggetto, modificazioni che sono stabili e che durano nel tempo e che sono, in larga parte, frutto dell’esperienza.

Difatti, qualsiasi esperienza coinvolge la mente, le emozioni e l’Io interno di chi la compie.

“Fare esperienza” significa modificare o consolidare i propri schemi mentali, adottarne di nuovi, respingere quelli al di fuori della nostra concezione del mondo. Abbiamo già visto come per Piaget l’apprendimento avvenga attraverso i meccanismi di assimilazione e accomodamento I quali si esplicano attraverso l’attività ludica e più specificatamente nel gioco simbolico.

L’apprendimento, dunque, non è tanto qualcosa di specifico, ma generale e riflette un cambiamento che si verifica nel tempo, in cui ci si ritrova ad affrontare lo sforzo di connettere ciò che è noto a ciò che è nuovo.

Apprendere significa confrontarsi con situazioni nuove in cui entrano in gioco una dimensione sia cognitiva, sia emotiva, in quanto ogni esperienza implica un cambiamento, piacevole o spiacevole che sia, e suscita quindi aspettative, trepidazioni, apprensione, volontà di confrontarsi, senso di inadeguatezza.

Significa anche abbandonare concezioni errate o parziali e saper accettare quelle più evolute: imparare implica la costruzione di un nuovo edificio, dopo aver smantellato o ristrutturato quello vecchio.

Esso comporta l’acquisire la padronanza di ciò che si sa su qualcosa, attraverso un percorso che implica la capacità di mettere alla prova esperienze ed idee per risolvere problemi e, più ambiziosamente, l’abilità di riflettere e di mettere a fuoco il senso della propria esistenza.

Esistono, poi, diversi fattori coinvolti nel processo di apprendimento che non devono essere trascurati, pena l’incrinazione del regolare sviluppo. Quelli da tenere in considerazione sono:

il “mondo interno” dell’individuo: legato alle esperienze relazionali e che influiscono sulla visione del mondo esterno.

la relazione: soprattutto quella madre-bambino utilizzata inconsciamente come prototipo delle relazioni future. Questa prima relazione aiuta il bambino a contenere l’angoscia e i sentimenti negativi e dolorosi (funzione di mediazione);

bisogni primari/secondari: sia biologici che relazionali da soddisfare contemporaneamente;

influenza delle prime relazioni infantili sulle relazioni da adulti;

funzioni psichiche superiori che dipendono da fattori emotivi e affettivi (apprendimento/conoscenza/pensiero)44

L’apprendimento è un processo complesso che non si esaurisce mai.

Per chi lavora nell’ambito dell’educazione è importante conoscere come funzioni la nostra mente e quali siano i meccanismi implicati quando ci si appresta ad imparare qualcosa di nuovo.

Il gioco coincide con l’apprendimento nel senso che produce o spinge ad un cambiamento e fa parte dell’esperienza. L’attività ludica può anche rappresentare la motivazione ad imparare e evitare l’insorgenza di quelle resistenze che nascono di fronte alle novità che la vita ci pone davanti ogni giorno.

44 Cfr. G. Blandino-B. Granieri, La disponibilità ad apprendere, R. Cortina, Milano, 2003

Inoltre, non bisogna mai scordarsi che la relazione svolge un ruolo centrale: non bisogna solo considerare gli aspetti della mente, ma anche quelli del cuore, quindi delle emozioni e degli affetti.

Apprendimento intellettivo e affettivo non possono essere divisi.

6.2 Apprendimento come esperienza emotiva45

Con il cognitivismo si inizia a porre l’attenzione sui processi mentali razionali, ma viene lasciato ancora poco spazio agli aspetti AFFETTIVO-EMOTIVI inconsapevoli, le difficoltà d’apprendimento dell’allievo sono date dall’incapacità di gestire la realtà legata ad essi.

Compito della scuola, oltre a quello di fornire le informazioni, sarà quello di procurare questo tipo di supporto per far si che le conoscenze vengano assimilate.

Aspetti affettivi e intellettuali sono uniti e non paralleli come si è sempre pensato.

La realtà psichica inficia continuamente la visione della realtà impedendo un’obiettività pura, che rimane solo un concetto ideale.

Il rapporto che il bambino instaura con la figura di riferimento (la madre) rappresenta la prima esperienza di apprendimento dell’individuo. A questa esperienza sono legati sia gli aspetti cognitivi sia quelli affettivi.

Il rapporto madre-bambino

Il primissimo funzionamento mentale è legato allo sviluppo di processi fisici con funzione alimentare all’interno della relazione con la madre (primo referente con il mondo esterno che contiene le angosce e le fantasie distruttive del bambino).

45 Cfr “ivi”, Prima parte pp.

La prima rappresentazione mentale è costituita con il contatto del corpo materno nel momento della suzione, il quale genera stati emotivi di benessere fisico e psichico, ma anche distruttivi, quando manca l’oggetto che crea benessere e lo si vorrebbe come proprio (nascono sentimenti di invidia, dati come reazione primaria distruttiva data dallo smacco di non essere onnipotenti).

La mente inizia così a compiere la sua prima operazione, cioè distinguere il bene dal male.

All’inizio i sentimenti negativi vengono proiettati fuori da sé e colpiscono l’oggetto amato che viene così visto come terrificante (M.

Klein).

Il bambino poco per volta imparerà ad accettare che dentro di lui non ci sono solo sentimenti buoni, ma anche sentimenti cattivi che verranno tollerati come qualcosa che appartiene al sé.

Il dolore e la sofferenza sono date dall’accostarsi di cose nuove e ignote che non si ritrovano all’interno di sé e richiamano un lavoro di DESTRUTTURAZIONE delle vecchie conoscenze per assimilare quelle nuove.

Ci si ritrova a sperimentare l’incertezza dell’ignoto, la quale dà vita ad una sofferenza psichica che non sempre si è in grado di accettare.

Le emozioni permettono un apprendimento autentico perché sentito realmente personale e non meccanico, ma è importante saperle gestire.

Infine non si apprende un’esperienza, ma si può imparare dall’esperienza: il gioco rientra in quest’ottica come fautore di esperienze e come regolatore delle angosce interne, in modo tale da favorire la realizzazione di un terreno fertile dove far accrescere serenamente il proprio apprendimento.

6.3 Apprendimento e attività ludica

Nell’attività ludica subentrano le stesse condizioni che si presentano nel processo di apprendimento. Nella categoria della mimicry (Caillois46), per esempio, si va incontro ad una perdita della propria identità e ci si muove verso qualcosa di ignoto, ma che non perde la sua piacevole attrattiva. Nell’apprendimento, così come nel gioco, la curiosità verso l’ignoto e la sua successiva riproposizione, sono la spinta che rimescola il nostro equilibrio e modifica gli schemi mentali, nonché la nostra personalità.

Gioco e apprendimento sono, dunque, strettamente intrecciati:

giocare è utile sia per compiere esperienze aspecifiche, cioè per promuovere la maturazione delle funzioni cognitive, sia per conseguire apprendimenti specifici, cioè per imparare nozioni, concetti, strategie, in modo piacevole, ma non senza fatica.

Negli anni dell’infanzia il gioco è importante perché il bambino impara a padroneggiare i propri movimenti e le proprie emozioni: in seguito, dai 2 ai 6-7 anni, passa nella fase del gioco simbolico, che implica lo sviluppo della fantasia e la capacità di formulare ipotesi (J. Piaget). Il bambino “fa finta che”, cioè si immedesima in diversi ruoli per garantire il proprio sviluppo di autonomia e di individualità. Il gioco di ruolo inizia intorno ai 6-7 anni ed è ripreso per tutta la vita.

Giocando a “moscacieca”, a “guardie e ladri”, si passa a un’attività di gruppo, si sviluppa l’empatia, simulando ciò che potrebbe accadere.

Attraverso questi giochi, specialmente, si imparano le regole del gruppo (e quindi della società), sia che i ruoli si riferiscano alla realtà quella della famiglia, della classe, ecc. sia che si riferiscano all’immaginario.

L’adulto può inserirsi in tali attività proponendo nuovi modelli da interpretare o cercare di favorire apprendimenti specifici, come ad

46 Cfr., Caillois R., I giochi e gli uomini, op. cit

esempio l’acquisizione di una lingua in forma giocosa. Le conoscenze apprese in modo attivo hanno la facoltà di essere ricordate più a lungo, questi giochi devono però mantenere la loro caratteristica ludica e , possibilmente, avvenire nell’ambito di un gruppo, non dei soli genitori o figli.

Nella psicologia sociale, molto importanti sono, nel processo di apprendimento, i fenomeni di imitazione e di identificazione (modellamento). Il bambino apprende attraverso i modelli che gli vengono forniti dalle persone con cui vive. Questi sono interiorizzati nel corso dell’età evolutiva e diventano man mano parte integrante della personalità del soggetto.

Nel gioco il bambino costruisce non solo la propria esperienza, ma anche il suo sapere.

La gioia che accompagna certe forme di gioco sta ad indicare l’arricchimento di conoscenza che da esse il bambino ricava, l’immagine di sé sempre più definita e di un controllo sempre più efficace sui propri movimenti.

L’appassionato sforzo del soggetto di creare forme attraverso il gioco e attraverso l’uso del linguaggio rappresenta un vero e proprio rimodellamento dell’ambiente, un gioco di costruzione del mondo che è anche un’altissima testimonianza della creatività della psiche umana, e di come sia proprio questa pulsione creativa a specificare l’uomo e a differenziarlo dal resto degli animali.

Il lavoro che spetta al bambino per capire dove si trova e chi è, è quello di integrare l’immagine del mondo con la propria immagine corporea. Per fare questo egli utilizza tutte le sua capacità di apprendimento e di pensiero, per acquisire strumenti adatti a interpretare la realtà che lo circonda e a dare un nome ai vissuti interni. I campi privilegiati di questa impresa sono il gioco e il linguaggio, vere e proprie modalità di costruzione del mondo.

Analizzando le modalità con le quali il bambino gioca e si esprime, se ne riconosce la loro carica creativa e l’intelligenza ricca di

partecipazione affettiva.47 Essa rappresenta la capacità del bambino di identificazione e di partecipazione con ciò che lo circonda ed è altro da sé, pur mantenendo il senso della propria identità.

6.4 Gli stili e le strategie di apprendimento favorite dal gioco

La capacità di pensare e conoscere è differente da persona a persona.

gli stili cognitivi possono essere tradotti come “un modo di pensare preferito”, ma questo non esclude la capacità di impadronirsi anche di altre modalità di pensiero e organizzazione dell’informazione.

Più precisamente lo stile cognitivo può essere definito come la modalità di elaborazione dell’informazione che si manifesta in compiti e in settori diversi del comportamento, ovvero la tendenza generale del soggetto ad adottare strategie di un certo tipo in maniera molto più frequente di altre.48

In ambito educativo ciò comporta la possibilità di spostare l’attenzione dal processo di maggiori o minori abilità nell’esecuzione di determinati compiti, in favore delle modalità che gli individui attuano per affrontare questi stessi compiti cognitivi: il “quanto bene”

si fa opposto al “come si fa”.

Lo stile cognitivo non è un’abilità, piuttosto è il modo in cui si usano le abilità di cui si dispone. In quest’ottica diventa particolarmente interessante ed utile per l’insegnante individuare delle costanze, delle regolarità, degli aspetti di stabilità delle modalità con le quali lo studente apprende, al fine di valorizzare le inclinazioni individuali, come risorse primarie per riuscire ad affrontare situazioni diverse e in base alle quali scegliere quale gioco proporre.

47 E. Cobb, Il genio dell’infanzia, Edizioni Emme, Milano, 1982

48 A. Antonietti, Psicologia dell’apprendimento. Processi, strategie e ambienti cognitivi, La Scuola, Brescia, 1998 cit in AA.VV. Apprendere con stile.

Metacognizione e strategie cognitive, Carocci Faber, Roma, 2004

Così si apprende per esperienza ed in modi diversi, il gioco si avvicina a tutti gli stili di apprendimento ed è intrecciato con lo sviluppo umano.

Per migliorare le proprie capacità è necessario prestare attenzione al proprio modo di interagire con la realtà, al modo di assimilazione dell’informazione e di come controlliamo la nostra esperienza soggettiva.

Tra i diversi stili cognitivi studiati, troviamo:49

- dipendenza o indipendenza dal campo: l’assunto di partenza è la diversa propensione a lasciarsi influenzare dalla struttura del contesto in cui sono inseriti gli stimoli;

- adattamento/innovazione: lo studio del comportamento in situazioni di novità ha portato a distinguere queste differenti tipologie di stile. Consistono nella preferenza di cercare di riportare le situazioni ad altre già note, o viceversa, viverle come sfide e cercare cambiamenti o soluzioni innovative;

- pensiero sinistro/destro: prende spunto dalla teoria della predominanza cerebrale;

- impulsività/riflessione: misura la tendenza di una persona ad inibire le risposte iniziali e a riflettere sull’accuratezza della risposta;

- visualizzazione/verbalizzazione: descrive la preferenza individuale nell’uso di un codice visuo-spaziale contrapposto ad uno verbale;

- olismo/serialità: sono stili che prendono in considerazione gli obiettivi di apprendimento. Possono distinguersi tra obiettivi di comprensione (apprendimento significativo) o si assimilazione (apprendimenti meccanici);

- superficialità/profondità: si riferisce sempre all’attenzione verso gli obiettivi.

49 AA.VV, Apprendere con sitle, op. cit. p. 16-22

Grazie alla sua natura poliedrica il gioco può favorire l’uso di diverse strategie cognitive. L’insegnante, nell’ambito della programmazione, sceglierà quelli che sono gli aspetti ludici decisivi per favorire l’esercizio e la fruizione dei diversi stili cognitivi studiati finora. In ambito didattico l’attività ludica si presta ad ogni disciplina, dall’educazione motoria all’uso del linguaggio.

Rodari, ad esempio, utilizzò i giochi di parole (cantastorie, gioco della memoria)50 per rappresentare in modi nuovi la realtà e per favorire un supporto significativo al pensiero narrativo. Il bambino attraverso queste pratiche prende confidenza non solo con il linguaggio, ma anche con sé stesso, come sottolineato dalla psicologia di Bruner51. Il ludico, in alcune sue forme, soprattutto quella teatrale, è strettamente connesso con il pensiero narrativo, basti pensare ai giochi di ruolo o alla drammatizzazione in cui i bambini/attori, coinvolti nella storia, compiono delle azioni che hanno luogo in un determinato contesto culturale e si susseguono in sequenze (narrative) le quali hanno il compito di riordinare la realtà e creare la storia. Così, il “giocare” significa mettere in scena una narrazione e permette al bambino di dare forma all’esperienza (si apprende dall’esperienza e il gioco è esperienza).

Si avrà modo di approfondire in seguito l’utilizzo dei giochi in ambito prettamente applicativo (esempio, gioco-storia, gioco-teatro, giochi motori e musicali, giochi linguistici…) e quali siano i loro risvolti formativi e applicativi nel contesto scolastico.

I contributi della letteratura forniscono indizi interessanti sullo sviluppo della mente e concorrono ad alimentare l’idea che l’educazione della mente non dovrebbe essere tetra o lineare, ma seguire un percorso intenso e inteso come viaggio che l’uomo compie per ritrovare la propria interezza, passando attraverso i colori

50 Gianni Rodari, La grammatica della fantasia, Einaudi Ragazzi, San Dorligo della Valle, 1997

51 Sull’argomento vedi AA.VV, La psicologia culturale di Bruner. Aspetti teorici ed empirici, Raffaello Cortina Editorie, Milano, 1999, pp. 23-73

dell’immaginazione e della fantasia, spunti creativi che, come sostiene Winnicott, fanno sì che la vita valga la pena di essere vissuta.

Il gioco non va dunque pensato come attività perditempo; quello ludico è senza dubbio momento di massimo apprendimento e condizione fortemente motivante per qualsiasi fascia d’età.

Nel documento QUANDO IL GIOCO DIVENTA APPRENDIMENTO (pagine 92-103)