• Non ci sono risultati.

Il gioco come elemento del sistema culturale complessivo:

Nel documento QUANDO IL GIOCO DIVENTA APPRENDIMENTO (pagine 44-49)

l’agire umano tra sacro e profano

Se il gioco si esprime in manifestazioni pressoché inesauribili e se può aver luogo in molte tipologie dell’azione umana, di tipo estetico-culturale (rito, teatro, letteratura, arti figurative) è evidente che valutare tutti gli aspetti dell’attività ludica significa estendere il discorso a quelle discipline che si sono occupate tecnicamente del problema: filosofia, sociologia, etnologia, psicologia. Il fatto che da queste scienze derivino differenti interpretazioni del gioco è un indice delle varie forme che assume e ricopre l’atteggiamento ludico. Dagli studi condotti finora se ne deduce la poliedricità, pluralità e complessità come fenomeno tipicamente e squisitamente umano.

Nel corso della sua movimentata storia, l’umanità è riuscita ad esprimere la propria ludicità in forme diversificate, riconoscendone le

infinite possibilità ed attuandole in ogni tempo e paese. Una sorta di elenco sofistico, fra i tanti che si potrebbero proporre, può essere positivo per collocare con chiarezza l’attività ludica nel suo complesso, con giochi di carattere sociomotorio, altri sociale, i quali non richiedono attività fisico-motoria, altri ancora che richiamano l’atteggiamento ludico in un senso alquanto insolito ed eterodosso.

I giochi possono essere di tanti tipi e mostrano le varie facce di una cultura, che non è mai uniforme e unitaria

Si è visto che Johan Huizinga, in Homo Ludens, afferma che il gioco è un operatore decisivo di ogni cultura e che, se andiamo a scavare un poco, scopriamo come il mondo del gioco e il mondo del sacro appartengano al medesimo universo. Huizinga rivela, così, la funzione non solo consolatoria dell’attività ludica, ma ne sottolinea il valore simbolico-rappresentativo, che viene a configurarsi come un complesso sistema culturale.

Caillois, invece, dopo aver riconosciuto il debito che lui stesso e noi tutti abbiamo nei confronti di Huizinga, mette in discussione questa equivalenza: la connessione tra gioco e sacro o mistero. Egli scorge una precisa differenza tra la dimensione religiosa con il necessario investimento che la accompagna e la dimensione ludica, la quale, invece, rimanda solo a se stessa in una sorta di auto-investimento.

L’Autore non nega che molti giochi , se andiamo a vederne le origini, ci riconducano alle pratiche religiose, ma poi se ne separano e si affermano nella loro specifica gratuità di giochi. Per esempio, il gioco del pallone, che oggi è diventato un fatto sociologico di notevole importanza, presso i Maori è un rito che si collega ai miti della conquista del cielo: la posta in gioco, cioè il pallone medesimo, rappresenta il sole. Ma poi il gioco del pallone, fino all’attuale football, si sgancia da questo teatro del mito e il pallone cessa di rappresentare il cielo da conquistare. Il gioco diventa, ed è, un rito senza mito, anzi un rituale: qualcosa di meramente profano opposto al sacro, in cui il divertimento non ha più nulla a che fare con la

tensione religiosa. Caillois fornendo questa affermazione fece riferimento all’opera di Benveniste, Il gioco come struttura, in cui si afferma così che il gioco è il prodotto della separazione tra mito e rito17. Benveniste, partendo dalle conclusioni degli antropologi, ha approfondito la relazione tra gioco e rito, cercando non solo ciò che li accomuna, ma anche ciò che li oppone. “La potenza dell’atto sacro – scrive Benveniste – risiede precisamente nella congiunzione del mito che enuncia la storia e del rito che la riproduce. Se a questo schema noi paragoniamo quello del gioco, la differenza appare essenziale: nel gioco, solo il rito sopravvive, e non si conserva che la forma del dramma sacro in cui ogni cosa è di volta in volta posta daccapo.

Ma è stato dimenticato o abolito il mito, l’affabulazione in parole pregnanti che conferisce agli altri il loro senso e la loro efficacia». Queste considerazioni forniscono a Benveniste gli elementi di una definizione del gioco come struttura: «Esso prende origine nel sacro di cui offre un’immagine capovolta e spezzata. Se il sacro si può definire attraverso l’unità consustanziale del mito e del rito, potremo dire che si ha gioco quando solo una metà dell’operazione sacra viene compiuta, traducendo solo il mito in parole e solo il rito in azioni ».

Sia Huizinga che Caillois sono d’accordo nell’affermare che la cultura ha una componente ludica, ma il loro pensiero si differenzia riguardo al fatto che secondo Caillois con l’avanzare delle culture i giochi vengano spogliati del loro significato profondo e rimangono solo come residui della cultura arcaica. In realtà l’autore sostiene che a cambiare non è la natura, ma la funzione sociale del gioco. Essi vengono svuotati del loro significato religioso o politico, e rappresentano lo stadio estremo della progressiva decadenza di

17 E. Benveniste, Le jeu comme structure, “Deucalion”, 2, 1947.

Linguista francese, ebbe la cattedra di grammatica comparata al Collegio di Francia.

un’attività solenne. Caillois richiama l’esempio della maschera, oggetto sacro enormemente diffuso e il cui passaggio allo stato di giocattolo segna probabilmente un mutamento capitale nella storia della civiltà. Da questo il pensiero “tutto scade nel gioco”, cioè ci si chiede, se ogni attività umana, dapprima sacra, si trasformi in un gioco. Caillois si pone in netta contrapposizione con Huizinga che invece sosteneva il contrario, cioè che la cultura, così come il sacro, viene dal gioco.

Il gioco, che è così spogliato del suo carattere sacro mette in evidenza quella che è la struttura di esso. Ognuna delle quattro categorie summenzionate presenta degli aspetti socializzanti, cosicché ben presto i giochi diventano pretesti di gare o di spettacolo, i quali con la loro ampiezza e straordinarietà hanno acquisito diritto di cittadinanza nella vita collettiva. Possiamo desumere le forme socializzanti delle quattro categorie nelle seguenti dualità:

- Agon-sport

- Alea-Casinò, corse o lotterie di Stato - Mimicry-Arti dello spettacolo

- Ilinx-Luna Park.

Queste manifestazioni contribuiscono, infatti a fornire alle diverse culture alcuni dei loro usi e delle loro istituzioni più facilmente identificabili.

Non più depositari di elementi sacrali, i giochi, dal punto di vista di Caillois predispongono la cultura, perché corrispondendo ad impulsi primordiali e potenti (competizione, ricerca della fortuna, imitazione, vertigine) li soggiogano ad una esistenza istituzionale. Nel momento in cui l’attività del gioco accorda agli impulsi un soddisfacimento formale e limitato, essa li educa, li feconda e li vaccina contro la loro stessa degenerazione e contemporaneamente , li rende atti a contribuire positivamente e ad arricchire e determinare gli stili delle culture.

Nonostante i giochi abbiano perso il loro elemento sacrale e siano giunti a noi solo come depositari di cultura, è lo stesso interessante pensare che essi abbiano in sé una parte spirituale. Forse nella nostra epoca essi possono rivestire una nuova forma di sacralità, nel senso più ampio del termine. I giochi, che occupano sempre meno spazio nella vita degli adulti, ma a volte anche in quella dei bambini, ritornano ad essere vestiti di sacro perché attività irrinunciabili alla quale tornare a dedicarsi. Che siano stati riti sacri in origine, che abbiamo mantenuto o perso questa prerogativa, poco importa. Ciò che non deve mai essere ignorato è che il gioco, o i giochi, non possono e non devono essere mai dimenticati o trascurati.

L’immagine di un bambino che gioca con i suoi genitori non deve essere cosa rara, come purtroppo accade troppo spesso nella nostra società.

Tra le svariate attività umane, quella ludica è la più alta fra tutte, in quanto non solo nobilita l’uomo, ma lo rende libero di amare la vita.

Nel gioco ritroviamo la serietà, l’estetica, la libertà, il sorriso e la gioia, la spiritualità e la socialità. Considerare che un’attività tanto significativa derivi da riti sacri, dovrebbe invogliarci a praticarla, non solo come svago, ma come diversivo che ci ricolleghi alla parte più profonda di noi stessi. Il gioco è sempre moderno, ma ha in sé il peso dei secoli, è serietà e scherzo, è fittizio e reale, è tutta una serie di aggettivi in netta contrapposizione tra loro. Il gioco è tutto ciò che è possibile, e racchiude in sé la completezza dell’essere, per questo ci si continuerà a domandare fino a dove si estende la sua natura, così come la piccola Alice rappresenta tutti noi quando si chiede nel mondo parallelo dello specchio: “Chi sono io?”18

18 L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, Ed. Einaudi, Torino, 2003

Nel documento QUANDO IL GIOCO DIVENTA APPRENDIMENTO (pagine 44-49)