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Il gioco nella storia: epoche diverse, stessi giochi?

Nel documento QUANDO IL GIOCO DIVENTA APPRENDIMENTO (pagine 49-57)

Nell'uomo il gioco, pur essendo come negli animali caratteristico soprattutto di individui giovani, e pur seguendo schemi di sviluppo che presentano affinità con il gioco animale, tende a strutturarsi in modalità assai più complesse, che dipendono in prevalenza dalla trasmissione di comportamenti culturalizzati: come tale, esso è caratteristico anche di una parte significativa dell'attività quotidiana dell'individuo adulto. Il gioco umano (sia infantile sia adulto) raggruppa schemi comportamentali assai diversi fra loro. Esso può essere puro divertimento (paidia secondo R. Caillois) in quanto gioiosa improvvisazione motoria scarsamente strutturata; può assumere invece caratteristica di trastullo (in inglese play) quando si articola in regole informali e improvvisate per cui (come negli animali) finge, imita e partecipa di una continua invenzione; infine, può diventare gioco strutturato secondo regole formali (in inglese game; ludus secondo Caillois), per cui l'emozione gradevole nasce dal darsi un compito finalizzato (ancorché gratuito) o dal competere con altri secondo gli schemi codificati di una sia pur fittizia battaglia. Nel gioco umano si coglie, in particolare quando l'attività sia formalmente strutturata, una dialettica che mette fra loro in rapporto da un lato l'inventività, ovvero l'assenza di obbligo (tipici del fatto stesso di giocare), e dall'altro la presenza accettata di rischi, costrizioni, regole

e punizioni.

In quanto al tempo stesso libero e vincolato, creativo e ripetitivo, il gioco si lega strettamente nelle società umane (e più chiaramente in quelle agricole e primitive) alla nascita del rito. Cosi nel carnevale, nell'albero della cuccagna, ma anche nell'altalena e nella mosca-cieca, il gioco si associa talora a significati simbolici di natura magico-religiosa, e può assumere, soprattutto nell'adolescenza, caratteri di vera e propria iniziazione a comportamenti culturali propri dell'adulto.

Mentre nelle società industriali il gioco acquisisce le caratteristiche dello sport quando si esplica prevalentemente attraverso lo sforzo o la destrezza fisica e quando al tempo stesso sia dominante l'aspetto della competizione, o della dimostrazione dì capacità personali. Nello sport, ma anche in altri giochi contraddistinti da competitività e da rischio, vengono a istituzionalizzarsi e a neutralizzarsi componenti aggressive. Quando a ciò si associno condizionamenti commerciali legati allo spettacolo, il gioco perde l'autonomia peculiare dell'attività ludica: e se si considera che il gioco formalizzato è già una istituzionalizzazione del divertimento, si comprende come si abbia qui una doppia istituzionalizzazione, per cui l'attività ludica adulta finisce facilmente col perdere, in quanto diviene meccanica e ripetitiva evasione, ogni caratteristica di reale spontaneità e creatività.

Eppure la stabilità dei giochi nel corso del tempo è notevole. Gli imperi e le istituzioni passano, mentre i giochi restano con le stesse regole e a volte con gli stessi accessori. Questo ci porta a riflettere sulla potenza del loro mistero, nonché sul loro principio di universalità in quanto a differenti culture possono appartenere uguali giochi.

I giochi di popoli e di tempi diversi hanno caratteristiche sia uguali sia diverse. Ci sono delle spinte al gioco e al giocare che sono

“umane” (o animali) e in questo senso sono universali. Bambini che giocano a rincorrersi o a nascondersi si possono trovare sempre e ovunque. Ma in certi luoghi, in certi tempi, all’interno di certe culture, le spinte ludiche modellano i giochi in senso diverso. Così abbiamo sempre dei giochi uguali/diversi che richiedono, per una loro comprensione, una lettura non superficiale e sempre difficile.

Mi sembra interessante volgere uno sguardo alle modalità e ai giochi delle diverse culture del passato (per quanto ci è possibile data la vastità del materiale, è quasi impossibile tracciare una linea completa

della storia del gioco), per poter riflettere sulle evoluzioni dei giochi e sulla portata del significato che via via hanno acquisito.

7.1 Idee di gioco e di bambino

Ogni epoca ha attribuito all’attività ludica e al gioco un significato differente, in base agli ideali del tempo, e spesso questo aveva una corrispondenza equivalente con l’idea di “bambino”. Accanto all’elemento ricreativo, culturale e pedagogico, nel gioco dimora anche un forte valore storico e antropologico.

Nelle sue più remote origini, il gioco infantile in molte sue espressioni è riconducibile a funzioni rituali e significati magico-religiosi, iniziatici e propiziatori, Mosca cieca (“munda” presso i Romani) sembra da ricondurre a festività pagane e forse anche a un rito comune alla religione greca e fenicia, di cui si sono perse le tracce. Il girotondo deriva da pantomime pagane e ha come diretto ascendente una danza in tondo eseguita attorno all’altare sacrificale. Strumenti musicali come sonagli e nacchere avevano originariamente lo scopo di allontanare gli spiriti maligni, molte delle canzoncine ritmate per bambini erano in origine formule magiche. Presso gli antichi Maya ed alcune popolazioni dell’Africa sahariana occidentale, il gioco della palla veniva celebrato in alcune stagioni dell’anno, come cerimonia propiziatoria per la caduta della pioggia e il buon esito delle coltivazioni. Le culture primitive incoraggiavano giochi funzionali all’acquisizione di abilità e tecniche indispensabili alla sopravvivenza del singolo e del gruppo e di modalità comportamentali atte ad assicurare l’ordinata e pacifica convivenza all’interno della comunità.

Nella civiltà greca i bambini si esprimevano all’interno della famiglia, i giochi erano confinati ai margini della vita sociale, così come veniva considerato lo stesso bambino: marginale e poco importante. Non

mancano, però, testimonianze di autorevoli personaggi che misero in evidenza la grande importanza della pratica ludica per il bambino in giovanissima età. Lo stesso Platone riteneva che il gioco fosse per la formazione dell’infante, in special modo in quelle attività svolte in gruppo e che privilegiavano il movimento fisico e l’integrazione maschio-femmina. Il tutto doveva avvenire, ovviamente, sotto il controllo degli adulti.

I giochi praticati dagli adulti erano chiamati “agon” ed erano legati ad avvenimenti importanti, come ad esempio i giochi olimpici, delfici, itsmici e nemei.

I bambini romani, invece, giocavano spesso insieme agli adulti a “par impar” (pari e dispari), “Caput et navis” (testa o croce), al tiro al bersaglio o a moscacieca, con i birilli, a nascondino, con la corda o con la trottola.

I romani chiamano i giochi “ludi” e venivano praticati dagli adulti soprattutto durante i banchetti. I più in voga erano:

- di abilità: soluzione di enigmi e improvvisazioni di carmi conviviali.

- d’azzardo: come i dadi e gli astragali (simile al gioco dei dadi: si gioca con quattro astragali, piccole ossa di montone, che gettate su un tavolo, a seconda della posizione che assumono vengono interpretate in senso propiziatorio).

Nel medioevo i giochi degli adulti e dei bambini iniziarono ad essere contrastati, limitati ed additati come attività pericolose. Questi atteggiamenti erano determinati dal fatto che la Chiesa considerava i giochi come attività demoniache, fatti apposta per distogliere l’attenzione del credente dal pensiero di Dio e dalle preghiere.19

Si deve arrivare verso la fine del Quattrocento per trovare un atteggiamento più tollerante verso il gioco. Non si accettavano, assolutamente, quelli d’azzardo, ma si cominciava ad ammettere l’utilità di praticarne alcuni, come i giochi di corsa o di salto,

19 Cfr. G. Il gioco e il giocare, Carocci, Roma, 2004

considerati non pericolosi. Comunque, qualsiasi attività ludica doveva avvenire sempre sotto il controllo degli adulti che guidavano il gioco rendendolo “morale”. Il dibattito sull’utilità del gioco prosegue per tutto l’Umanesimo e il Rinascimento. Bisogna attendere però l’Età moderna per vedere attribuire al gioco una soddisfacente dignità e una favorevole attenzione.

Il Settecento è, probabilmente, il momento più alto di questo rinnovamento. Un’epoca nella quale si va sviluppando una pedagogia orientata ai valori sociali e civili, dove si viene precisando una cultura meno intessuta di morale religiosa e più aperta al cambiamento e al rinnovamento. È il periodo nella quale si diffonde un modello di educazione più aperta e democratica, meno legata ai pregiudizi e alle tradizioni, più attenta alla formazione dell’educando, più rispettosa delle esigenze e delle esperienze dei bambini. Basti ricordare l’opera del grande pedagogista J.J. Rousseau e i vari tentativi di collegare la scuola al gioco, alla cultura degli adulti e a quella dei bambini.

Con l’avvento della società industriale e soprattutto con l’arrivo del consumo di massa, quindi con lo sviluppo dell’industria dei giocattoli, anche il gioco e il modo di divertirsi comincia a cambiare. Non più giochi e giocattoli auto-costruiti con regole auto-elaborate, ma giocattoli prefabbricati, imposti, senz’anima, con il risultato di espropriare il bambino dell’azione di manipolazione delle cose e della progettazione dell’intera struttura ludica.

In epoca più recente l’attività ludica, incentivata anche dalla crescente produzione di giocattoli su scala industriale, è incoraggiata e favorita, almeno in ambito domestico, nonostante se ne sia persa la qualità e seppur contrastata dal perdurante pregiudizio nei confronti del gioco come attività minore e improduttiva, distogliente dallo studio non meno che dal lavoro. Nell’età contemporanea, con l’inarrestabile progresso della scienza e della tecnologia, il gioco assume forme e manifestazioni fenomenologiche sempre più sofisticate e complesse. Col miglioramento delle condizioni di vita e

con la progressiva tutela dell’infanzia, sottratta alle fatiche dei campi, delle miniere e delle fabbriche, il gioco cessa di essere una prerogativa delle classi sociali privilegiate, assumendo carattere più democratico.

Un dato è certo, molti giochi simili sono stati praticati in diverse regioni della terra, tra popoli civili o barbari: questo è un fatto straordinario che rende visibile l’appartenenza del gioco a tutta la specie umana senza distinzioni.

Ad esempio, alcune modalità di gioco più diffuse nel mondo, sia nel passato che attualmente sono:

1) I giochi sportivi nel Mediterraneo antico, ma anche in Oriente (arti marziali), nell’America precolombiana: si tratta di giochi fortemente ritualizzati, con rilevanze magiche, relative alla religione, o alle pratiche di governo (come i giochi funebri o i ludi Apollinares nel mondo romano);

2) I giochi di parola, le sciarade ed i giochi poetici;

3) I giochi diffusi nel Medioevo nelle corti: giostre, tornei, palii equestri, etc…

4) I giochi popolari e di società, con carte, pedine, scacchi, dadi;

5) I giochi di abilità, di prestidigitazione;

6) I giochi di carattere intellettuale o con finalità scientifica:

enigmistici, matematici, i test cognitivi, e simili;

7) i giochi sportivi e motori.

L’analisi dei giochi giocati nelle diverse aree del mondo è uno spunto di riflessione, così come i comportamenti sociali e linguistici possono presentare somiglianze profonde con quelli di altri popoli, vicini o lontani, così per i giochi possiamo trovare vicinanze e analogie.

I giochi appena citati sono giunti fino a noi, seppur con qualche modifica, e sembrano raffigurare il filo rosso che lega l’intera umanità.

Anche in tragiche circostanze, l’infanzia mostra una straordinaria capacità di adattamento, la sua inesauribile creatività non conosce impedimenti, né confini. Attinge dal mondo adulto e dalla realtà che la circonda, per quanto drammatica e brutale, materiali, modelli e ispirazioni da trasfigurare nella finzione ludica.

Abbiamo visto come i giochi siano specchio della cultura e struttura culturale-antropologica, ma anche come essi possano promuovere il dialogo tra le culture. Proprio perché specchio e riflesso di tale mondo, attraverso meccanismi di imitazione e di identificazione, si può asserire che giochi e giocattoli raccontano la storia di un popolo, documentano il suo livello di civiltà, le sue usanze, le sue credenze religiose, gli avvenimenti lieti o tragici che ne hanno punteggiato il cammino. I giochi ci dicono i regolamenti e i valori alla base di una cultura.

Per l’attività ludica non esiste barriera o confine che non possa essere superato.

Tuttavia, fino alla fine del Settecento l’elemento ludico era pregnante all’interno delle culture, ma la rivoluzione industriale ha in parte rinnegato questa caratteristica. Gli ideali di lavoro, di educazione e di democrazia lasciavano a malapena posto all’eterno principio del gioco. Tuttavia, agli albori della nostra epoca, questo concetto è stato riscoperto e dotato di una nuova vita.

I giochi sono portatori di modelli etici e culturali (impliciti ed espliciti), propri del tempo e del luogo nel quale essi si sviluppano, tanto che si può parlare di etnomotricità (ci sono elementi culturali specifici che contraddistinguono i giochi, infantili e non, e questi elementi sono soggetti al cambiamento per opera di componenti etiche, sociali, politiche, educative, ambientali…) e di etnoludicità e di

una logica interna ai giochi stessi20. I giochi si modificano con la cultura.

E’ possibile però osservare come il gioco non sia solo uno specchio di un determinato modo di essere e di pensare, ma come possa diventare anche uno strumento ‘educante’, tale da modificare l’individuo e per suo tramite il proprio contesto. Ci sono giochi che aiutano a cambiare perché producono “scontri di sensibilità”, cioè immersioni in modalità relazionali, affettive, cognitive che alterano, forse modificano, modi di essere e di pensare e che possono rimettere in moto pensieri e sentimenti, riposizionando e relativizzando il proprio essere nel mondo.

Il gioco nelle sue molteplici categorizzazioni si qualifica come attività presente nel tempo esistenziale che accompagna l’uomo dalla nascita alla morte. Partecipa, inoltre, alla vita dello stesso, compenetrandosi al suo modo di porsi rispetto al mondo. Si alterna alle occupazioni di sussistenza, ma è in grado di entrare a farne parte nel momento in cui si fa atteggiamento gioioso e giocoso. Tale situazione riflette comunque la condizione di serietà e impegno richiesta dall’esistenza.

La facoltà suddetta, tipicamente e forse unicamente ludica, raffigura l’essenza intrinseca nell’umanità mediante quel suo presentarsi seriosa e scherzosa, greve o lieve. Inquieta e serena, introversa e comunicativa, angosciata e festante. In questa dicotomizzazione, tuttavia, la ludicità non rappresenta uno dei due estremi, bensì simbolizza la contrapposizione che si fa in essa naturale alternanza.

20 Cfr Staccioli G., Culture in gioco, Carocci, Roma, 2004, p. 70

Nel documento QUANDO IL GIOCO DIVENTA APPRENDIMENTO (pagine 49-57)