314
Peculato.VI. Elemento oggettivo: appropriazione; A In tema di peculato, l’appropriazione del denaro, riscosso dal privato per conto di un ente pubblico, si realizza non già per effetto del mero ritardo nel versamento, bensì allorquando si realizza la certa interversione del titolo del possesso (sez. IV 20/5233: fattispecie in cui il concessionario della riscossione di tasse automobilistiche, anziché versare gli importi sul conto corrente dedicato e dal quale gli stessi veni-vano automaticamente inviati alla Regione, faceva confluire il denaro su altro conto corrente a lui inte-stato, in tale momento consumandosi il reato).
XI. Possesso per ragioni di ufficio o di servizio; A Ai fini della configurabilità del delitto di peculato, è sufficiente che il possesso o la disponibilità del denaro o della cosa mobile si siano verificati per ragioni di ufficio o di servizio, essendo irrilevante, a norma dell’art. 360 c.p., che l’appropriazione sia avvenuta in un momento in cui la qualità di pub-blico agente sia cessata, laddove la condotta appro-priativa sia funzionalmente connessa all’ufficio o al servizio precedentemente esercitati (sez. VI 20/2230: fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna inflitta al sindaco di un comune il quale, dopo la cessazione del mandato, aveva omesso di restituire e continuato ad utilizzare due schede tele-foniche, con addebito del relativo traffico a carico dell’ente pubblico).
XVII. Rapporto con altre figure di reato. A Integrano il reato di infedeltà patrimoniale di cui all’art. 2634 c.c. gli atti dispositivi posti in essere dall’agente in conflitto d’interessi con la società e idonei a cagionare un danno per quest’ultima (sez.
VI 19/50795: in applicazione del principio, la Corte ha escluso di potere riqualificare nel reato di infedeltà patrimoniale le condotte di peculato poste in essere dall’amministratore di una società incaricata della riscossione dei tributi, trattandosi di appropriazioni intrinsecamente illecite e contrarie all’interesse societario, non riconducibili alla nozione di conflitto di interesse richiesto dall’art. 2634 c.c.). B Integra il reato di peculato e non quello previsto dall’art. 316 ter c.p., aggravato dall’abuso delle qualità del pub-blico ufficiale, come modificato dall’art. 1, comma 1°, lett. l), l. 9 gennaio 2019, n. 3, la condotta del con-sigliere regionale che utilizzi, per finalità estranee all’esercizio del mandato, fondi pubblici assegnati al proprio gruppo consiliare, in quanto la richie-sta di rimborso non esclude che l’agente abbia già conseguito la sia pure indiretta disponibilità della somma, derivante dalla mera compartecipazione al gruppo (sez. VI 20/11001). C Integra il reato di truffa ai danni dello Stato, aggravato dalla viola-zione dei doveri inerenti ad una pubblica funviola-zione,
e non quello di peculato, la condotta del pubblico agente che, non avendo la disponibilità materiale o giuridica del denaro, ne ottenga l’indebita ero-gazione esclusivamente per effetto degli artifici o raggiri posti in essere ai danni del soggetto cui compete l’adozione dell’atto dispositivo (sez. VI 20/13559: fattispecie in cui è stata qualificata quale truffa aggravata la condotta del pubblico dipen-dente che, essendo esclusivamente incaricato di predisporre le buste paga, induceva in errore il fun-zionario deputato al servizio di tesoreria, indicando fraudolentemente due distinti conti correnti ed in tal modo conseguendo l’erogazione di un doppio accredito stipendiale). Integra il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata ex art. 61, comma 1°, n. 9, c.p., la condotta del cancelliere che, addetto alle procedure di recupero di sanzioni pecuniarie e delle spese di giustizia, si appropri dei relativi importi, i quali entrano nella disponibilità giuridica del medesimo dal momento in cui diviene definitivo il provvedimento giurisdizionale costituente il titolo esecutivo, sulla cui base vanno attivate le procedure di riscossione ex artt. 211 ss. d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, laddove gli artifici che successivamente egli ponga in essere per dare una parvenza di regola-rità formale al proprio agire risultano funzionali a mascherare l’interversione e non invece all’acquisi-zione del possesso (sez. VI 20/18485).
XVIII. Confisca. A In tema di peculato, nella nozione di prezzo del reato – relativamente al quale può essere disposto, ai sensi dell’art. 322 ter c.p., il sequestro preventivo finalizzato alla confisca «per equivalente» – è compreso anche il denaro inde-bitamente procurato dall’agente pubblico a terzi, nella parte da questi riversata al primo, a titolo di corrispettivo per la commissione dell’illecito (sez.
VI 20/14041: fattispecie relativa alla condotta di un tecnico comunale che emetteva mandati di paga-mento per importi non dovuti in favore di un pri-vato, dal quale successivamente riceveva una parte delle suddette somme).
XIX. Casistica; A Commette il reato di peculato il notaio delegato per il protesto di titoli cambiari che si appropri delle somme di denaro corrispostegli dai debitori in pagamento degli effetti a lui conse-gnati per detto scopo, omettendo di riversarle agli istituti di credito nei tempi dovuti, essendo inido-neo ad escludere il reato il mero impegno che egli abbia assunto con i creditori a restituire successiva-mente gli importi indebitasuccessiva-mente trattenuti (sez. VI 19/49982: in motivazione, la Corte ha precisato che le somme afferenti i pagamenti dei protesti costitui-scono sin da subito pecunia publica, sicché il reato di peculato è integrato per il solo fatto che il notaio
73 Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione 316 ter si sia appropriato di tali somme facendole confluire
sul conto corrente personale). B Integra il delitto di peculato la condotta del raccoglitore delle giocate del lotto che ometta il versamento delle somme riscosse al concessionario dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato per l’esercizio di tale gioco, in quanto il denaro incassato dall’agente, che riveste la qualità di incaricato di pubblico ser-vizio, è di pertinenza della pubblica amministra-zione sin dal momento della sua riscossione (sez. VI 20/4937). C Integra il reato di peculato la condotta del consigliere regionale che utilizza, per finalità estranee all’esercizio del mandato, fondi pubblici assegnati al gruppo consiliare e destinati al suo fun-zionamento, dal momento che il predetto riveste la qualifica di pubblico ufficiale e ha, per ragioni del suo ufficio, la disponibilità mediata di detti fondi, di cui si appropria con la mera richiesta di rimborso, accompagnata dalla produzione dei giustificativi di spesa, ossia con atti direttamente incidenti sulla fase esecutiva di gestione di cassa (sez. VI 20/11001:
fattispecie relativa all’erogazione di contributi ai gruppi consiliari della Regione Friuli Venezia Giulia sulla base della legge regionale n. 54 del 5 novem-bre 1973, che riservava ai presidenti dei gruppi la sola redazione di una nota riepilogativa e di una relazione illustrativa in merito all’utilizzo delle somme). In tema di peculato, rientrano tra le «spese di rappresentanza» dei consiglieri regionali soltanto quelle destinate a soddisfare un’esigenza funzionale del gruppo consiliare, strumentale all’operatività del consiglio, e non un bisogno individuale (sez.
VI 20/11001: in motivazione, la Corte ha precisato che devono ricondursi al rilievo esterno dell’isti-tuzione anche le eventuali offerte di ristorazioni, a condizione che siano collegate all’attività politica dei singoli consiglieri). In tema di peculato, la prova del reato non può desumersi sulla base della mera omessa o insufficiente rendicontazione delle spese di rappresentanza sostenute da un consigliere regio-nale, essendo necessario l’accertamento dell’illecita appropriazione delle somme (sez. VI 20/11001: in motivazione, la Corte ha precisato che l’assoluta
mancanza di allegazioni o l’inosservanza di uno spe-cifico obbligo di giustificazione documentale della spesa, tanto più se destinato a proiettarsi su un con-nesso rendiconto, può costituire elemento indiziario dell’avvenuta interversione del danaro pubblico). D In tema di peculato, la prova dell’indebito utilizzo della carta di credito concessa per effettuare spese istituzionali può desumersi, quanto meno a livello indiziario, dalla omessa o insufficiente rendiconta-zione delle spese sostenute dal pubblico agente, di cui non si fornisca una puntuale giustificazione nep-pure in sede processuale, atteso che tale condotta è altamente sintomatica dell’avvenuta appropriazione (sez. VI 20/12087: fattispecie in cui l’amministratore di una società per azioni, con capitale interamente pubblico, aveva effettuato spese di importo cospi-cuo mediante una carta di credito aziendale, anche in concomitanza di un viaggio privato all’estero e in prossimità della prevista interruzione del vincolo lavorativo, il che avrebbe impedito il recupero delle somme non rendicontate mediante compensazione con gli emolumenti dovuti). In tema di peculato, la previsione in favore dell’ente della rivalsa per il recupero di spese non regolarmente rendicontate o, comunque, corrispondenti ad un utilizzo improprio della carta di credito aziendale, non esclude la con-figurabilità del reato, in quanto costituisce una mera garanzia per la società cui appartengono i fondi, destinata a operare a fronte di un illecito ormai veri-ficatosi (sez. VI 20/12087). E L’aggravante dell’aver profittato di circostanze tali da ostacolare la pub-blica o privata difesa, prevista dall’art. 61, comma 1°, n. 5), c.p., è integrata della ricorrenza di condi-zioni oggettive che siano concretamente agevola-tive del compimento dell’azione criminosa (sez. VI 20/18485: in applicazione del principio, è stata ravvi-sata l’aggravante in relazione al delitto di peculato posto in essere dal cancelliere, appropriatosi delle somme riscosse a titolo di sanzioni penali e spese di giustizia, per aver profittato dell’affidamento che in lui era riposto dai dirigenti, dal personale e dall’utenza dell’ufficio giudiziario, cui era stato per anni addetto quale unico funzionario).
316 ter
Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.III. Momento consumativo. A In tema di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, il supe-ramento della soglia di punibilità indicata dall’art. 316 ter, comma 2°, c.p. integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibi-lità, sicché è irrilevante che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il superamento della soglia, in quanto rileva il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva (sez. VI 20/7963: fattispecie in cui è stato escluso che, ai fini del superamento della soglia di punibilità, si potesse tener conto dell’ammontare complessivo dei contributi di maternità ed in favore del nucleo fami-liare fittiziamente erogati e successivamente detratti dai contributi dovuti all’INPS, dovendosi tener conto delle singole e distinte compensazioni poste in essere).
IV. Rapporti con altre figure di reato. A Il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata, finalizzata al conseguimento delle stesse, per la mancata inclu-sione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in
errore dell’ente erogatore, il quale si limita a pren-dere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma atti-vità di accertamento, la quale è riservata ad una fase meramente eventuale e successiva (sez. fer.
19/44878: fattispecie in cui si è confermata la qualifi-cazione in termini di truffa dell’artificiosa redazione, ai fini dell’erogazione di rimborsi elettorali in favore di un partito politico, di rendiconti apparentemente regolari, in realtà basati su false annotazioni conta-bili, prive di documenti giustificativi, ma supportati da una certificazione di regolarità dei revisori dei conti ideologicamente falsa, trattandosi di condotta decettiva che ha indotto in errore l’ente quanto alla sussistenza dei presupposti dell’erogazione). B V.
sez. VI 20/11001, sub art. 314, XVII.
V. Profili processuali. A È legittimo l’accoglimento di una richiesta di autorizzazione alle intercetta-zioni telefoniche formulata dopo il rigetto di una precedente richiesta, in assenza di nuovi elementi ma in base ad una diversa qualificazione giuridica del fatto, sempre che si tratti di elementi idonei a
317-319 DEI DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 74 configurare una fattispecie di reato per la quale esse
sono consentite (sez. II 20/14500: fattispecie in cui la richiesta di intercettazioni telefoniche era stata ini-zialmente ricondotta al delitto di cui all’art. 316 ter c.p. e, successivamente, a quello di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p.).
VI. Casistica. A Integra il delitto di indebita perce-zione di erogazioni a danno dello Stato, ex art. 316
ter c.p., la condotta del datore di lavoro che, espo-nendo falsamente di aver corrisposto somme a titolo di indennità per maternità, ottenga dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto, in forma di risparmio di spesa, le corrispondenti ero-gazioni (sez. VI 20/7963).
317
Concussione.I. Modifiche legislative e leggi speciali. A In tema di concussione, la condotta di abuso costrittivo com-messa dall’incaricato di pubblico servizio prima dell’entrata in vigore della l. 6 novembre 2012, n. 190 non integra il reato neanche a seguito della modi-fica dell’art. 317 c.p. ad opera dell’art. 3 l. 27 maggio 2015, n. 69, che ha reinserito tale figura nel novero dei soggetti attivi, in quanto ciò comporterebbe una violazione dei principi che regolano la successione delle leggi penali nel tempo (sez. VI 20/4110).
V. (segue) b) costrizione (e induzione). A In tema di concussione, la costrizione che integra l’elemento oggettivo del reato può consistere in una minaccia idonea a coartare la volontà del privato portandolo a una prestazione indebita per il timore di un male antigiuridico, e di tale processo causale volitivo e del conseguente stato psicologico di costrizione il giudice, anche ricorrendo a massime di esperienza, deve fornire logica ed adeguata motivazione anche tenendo conto della vulnerabilità della vittima (sez.
III 20/364: fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ritenuto sufficiente, per configu-rare il reato, le «larvate minacce» compiute da ope-ratori di polizia, presentatisi in divisa o con l’auto di servizio presso un luogo di esercizio della prostitu-zione, così inducendo le vittime a intrattenere con loro rapporti sessuali gratuiti).
X. Consumazione e tentativo. A In tema di reati contro la pubblica amministrazione, la indebita richiesta di denaro da parte del pubblico ufficiale, che venga comunque rifiutata dalla vittima, non integra il delitto di tentata concussione, ma quello di istigazione alla corruzione previsto dall’art. 322, comma 3°, c.p., qualora difettino gli elementi della costrizione o induzione nei confronti del privato, prodotta dal pubblico ufficiale con l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri (sez. VI 20/14782: fat-tispecie in cui il pubblico ufficiale, nel formulare le sue richieste di denaro, prospettava alle vittime la convenienza del suo intervento «per rimettere in moto» le pratiche alla cui definizione i privati erano interessati, senza prospettare in alcun modo che, in caso di mancato accoglimento della sua proposta, avrebbe ostacolato la prosecuzione dell’iter ammi-nistrativo).
XIV. Profili processuali. A Non integra una vio-lazione del principio di correvio-lazione la sentenza di condanna per il reato di corruzione emessa a fronte della originaria contestazione del delitto di concus-sione, in quanto le interrelazioni esistenti tra le due figure di reato rendono la riqualificazione in termini riduttivi del più grave reato di concussione una eve-nienza del tutto prevedibile per l’imputato (sez. VI 20/5225).
317 bis
Pene accessorie.A In tema di pene accessorie, il giudice è tenuto a determinare la durata dell’interdizione dai pubblici uffici, in caso di condanna per uno dei delitti di cui all’art. 317 bis c.p., modulandola in correlazione
al disvalore del fatto di reato e alla personalità del responsabile ai sensi dell’art. 133 c.p., sicché la stessa non deve necessariamente essere pari alla durata della pena principale (sez. VI 20/16508).
318
Corruzione per l’esercizio della funzione.VIII. Rapporto con altre figure di reato. A In tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, con episodi sia di atti contrari ai doveri d’ufficio che di atti conformi o non contrari a tali doveri, configura un unico reato permanente, previsto dall’art. 319 c.p., in cui è assorbita la meno grave fattispecie di cui
all’art. 318 stesso codice, nell’ambito del quale le singole dazioni eventualmente effettuate, sinallag-maticamente connesse all’esercizio della pubblica funzione, si atteggiano a momenti consumativi di un unico reato di corruzione propria, con conseguente decorrenza del termine di prescrizione dall’ultima di esse (sez. VI 19/51126).
319
Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio.V. Atto contrario ai doveri d’ufficio. A In tema
di corruzione propria, costituisce atto contrario ai doveri d’ufficio il compimento di un atto di natura discrezionale posto in essere in violazione delle
75 Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione 319 ter-322 ter procedure e dei requisiti di legge che conformano
l’esercizio della discrezionalità amministrativa, non-ché quello diretto non già al perseguimento delle finalità pubblicistiche ed alla corretta comparazione degli interessi in gioco, ma ad avvantaggiare il pri-vato corruttore (sez. VI 19/44713: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto contraria ai doveri d’ufficio la condotta di un magistrato addetto alla sezione falli-mentare che, in qualità di giudice e poi presidente di collegio, aveva sistematicamente ricevuto utilità di
varia natura da alcuni professionisti, in cambio della loro nomina in procedure concorsuali, disposta in assenza di una effettiva valutazione di idoneità a ricoprire gli incarichi).
IX. Rapporto con altre figure di reato. A V. sez. VI 19/51126, sub art. 318, VIII.
XI. Profili processuali. A V. sez. VI 20/5225, sub art. 317, XIV.
319 ter
Corruzione in atti giudiziari.III. Elemento oggettivo. A Ai fini dell’integrazione del delitto di corruzione in atti giudiziari, è indiffe-rente che l’atto compiuto sia conforme o meno ai doveri d’ufficio, assumendo rilievo preponderante la circostanza che l’autore del fatto sia venuto meno al
dovere costituzionale di imparzialità e terzietà sogget-tiva ed oggetsogget-tiva, alterando la dialettica processuale (sez. VI 20/11626: in motivazione, la Corte ha preci-sato che il reato di cui all’art. 319 ter c.p. è configura-bile anche nella forma della corruzione susseguente).
319 quater
Induzione indebita a dare o promettere utilità.II. Induzione. A In tema di induzione indebita, la condotta punita dall’art. 319 quater c.p. richiede che la qualità od i poteri del pubblico agente siano avvertiti come fonte di iniziative pregiudizievoli, tali da determinare e rafforzare la posizione di assogget-tamento del privato, sicché il reato non è configura-bile nel caso in cui il soggetto agente, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, non faccia valere tale qualità, bensì si limiti ad esercitare l’autorevo-lezza derivante dal ruolo politico svolto nel territo-rio di riferimento (sez. VI 19/41726: fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio la condanna di un parlamentare, sul presupposto che il suo interessa-mento in ordine al buon esito di una pratica edilizia pendente innanzi al competente ufficio comunale, non si fondava sulla strumentalizzazione della qua-lità di pubblico funzionario e l’esito positivo dell’iter amministrativo concerneva un’articolazione buro-cratica del tutto diversa da quella in cui l’imputato svolgeva la sua funzione). B L’induzione indebita a dare o promettere utilità può essere alternati-vamente esercitata dal pubblico agente mediante l’abuso dei poteri, consistente nella prospettazione dell’esercizio delle proprie potestà funzionali per scopi diversi da quelli leciti, ovvero con l’abuso della
qualità, consistente nella strumentalizzazione della posizione rivestita all’interno della pubblica ammi-nistrazione, anche indipendentemente dalla sfera di competenza specifica (sez. VI 20/7971: fattispecie di richiesta di danaro, ritenuta integrare abuso della qualità, rivolta da un cancelliere agli amministra-tori di un’azienda coinvolta in un’indagine, accredi-tando loro la possibilità di incidere, come impiegato dell’ufficio, sui tempi e sugli esiti del procedimento).
V. Circostanze. A In tema di induzione indebita a dare o promettere utilità, al fine del riconoscimento della circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità di cui all’art. 323 bis c.p.
è necessario considerare tutti gli elementi costitu-tivi dei reati originariamente contestati, anche se in parte estinti per prescrizione, in quanto espressione della complessiva condotta posta in essere dal reo e della sua personalità, oggetto di necessaria con-siderazione (sez. II 20/8733: nella specie, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza secondo cui la reiterazione delle condotte di indebita
è necessario considerare tutti gli elementi costitu-tivi dei reati originariamente contestati, anche se in parte estinti per prescrizione, in quanto espressione della complessiva condotta posta in essere dal reo e della sua personalità, oggetto di necessaria con-siderazione (sez. II 20/8733: nella specie, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza secondo cui la reiterazione delle condotte di indebita