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La Dichiarazione di Siviglia contro ogni forma di giustificazione della guerra

1. L’impegno internazionale per l’educazione alla pace

1.1. La Dichiarazione di Siviglia contro ogni forma di giustificazione della guerra

Nel 1989 la conferenza generale dell’UNESCO, sottoscrisse un docu- mento fondamentale per avviare una nuova riflessione sul significato uma- no della guerra, le responsabilità che gli uomini e le donne hanno nei con- fronti di questa, le false ideologie e credenze che la sostengono, nonché le ingannatrici e infondate affermazioni scientifiche che sono ancora saldate nella cultura e nei contenuti scolastici. La Dichiarazione di Siviglia sulla Violenza3 è un documento redatto da un gruppo di studiosi, provenienti da

varie parti del mondo ed afferenti a diversi settori disciplinari, che mette bene in evidenza come i falsi luoghi comuni o le affermazioni pseudoscien- tifiche sulla natura violenta dell’essere umano non abbiano alcun senso. Gli scienziati firmatari del documento sono consapevoli che nel corso degli an- ni molti risultati scientifici, da quelli della biologia a quelli della fisica, del- le comunicazioni e della chimica, sono stati strumentalizzati o nati per ne- cessità belliche e messi al servizio della violenza e del potere. La Dichiara- zione mette ben in evidenza la chiara consapevolezza della non neutralità della scienza, della cultura e dell’educazione nei confronti dello sviluppo della cultura della guerra. La stretta connessione con il tessuto sociale e con le dinamiche storiche, economiche e politiche, genera la strumentalizzazio- ne dei contenuti del sapere umano che poi va ad influenzare e orientare i rapporti tra le cose, le persone e il mondo. Se la cultura, la scienza e l’educazione non sono neutrali, ma si vestono di significati che condiziona- no di vita della collettività, affermando e giustificando la violenza e sono esse stesse portatrici di violenza, allora è necessario decostruire certe dina- miche al fine di evitare le continue strumentalizzazioni utili a giustificare la guerra.

Per quanto le pratiche di giustificazione della guerra abbiano sempre fat- to ricorso all’uso improprio e strumentalizzato di teorie, scoperte e dati, do-

3 Conferenza Generale UNESCO è stata preceduta dall’incontro del 1986, dove vengono de-

lineate le posizioni degli scienziati diventate poi oggetto di dichiarazione il 16 novembre 1989, Dichiarazione di Siviglia sulla Violenza.

Http://www.unesco.org/cpp/uk/declarations/seville.pdf. La Dichiarazione era stata af- fiancata da un altro evento fondamentale per la nascita della cultura di pace: l’iniziativa promossa in Perù chiamata Cultura de Paz, nel 1986.

po gli avvenimenti del secolo scorso, non è più possibile accettare, asse- condare e spesso giustificare tali pratiche. Non sono mancate, nella storia dei grandi massacri, che succedevano alle conquiste, le scusanti fondate su false credenze che l’essere umano con la pelle chiara, fosse superiore a quello con la pelle scura, che la sopravvivenza della specie fosse garantita dalla legge del più forte, che le donne dovessero essere sottomesse perché considerate più deboli e meno capaci. Una lunga serie di misure discrimina- torie che le culture hanno assorbito all’interno dei loro saperi. Le imprese coloniali che hanno visto la devastazione delle culture locali di tutti i conti- nenti, non rispondevano a dei conflitti, ma solo all’ideologia etnocentrica europea della superiorità di un essere umano, semplicemente per il colore della pelle. Giustificazioni insensate che però hanno dato vita a guerre, co- lonialismi, stermini e devastazioni ambientali.

Da qui emerge chiaramente che la responsabilità di ogni progettazione e azione di guerra, non sta nel conflitto, quanto nella cultura e quindi negli esseri umani stessi che sono produttori della stessa cultura di cui si alimen- tano. Una convinzione così profonda e radicata in molte culture che genera ancora molto razzismo e discriminazione. Sia il razzismo che la discrimina- zione sono frutto di un pensiero semplice, facile da comprendere, che non impegna e facilita l’interpretazione della realtà sul facile modello della con- trapposizione dualistica.

Per confutare le costruzioni pseudoscientifiche sostenitrici di una giusti- ficazione della guerra come espressione naturale dell’aggressività umana, la Dichiarazione di Siviglia enuncia chiaramente cinque enunciati: che cerca- no di chiarire e di rispondere anche all’annoso problema sulla natura vio- lenta dell’essere umano4. La natura delle risposte date a questo quesito ha

una profonda incidenza su modelli, prassi e strategie educative. Per rispon- dere a questo dilemma che ha coinvolto anche pensatori, filosofi, educatori e religiosi5 sono state individuate cinque proposizioni6. La prima mette in

evidenza la scorrettezza della assunzione che gli esseri umani abbiano ere- ditato dagli animali la tendenza a fare la guerra. Ogni azione di guerra è un prodotto culturale e non una azione mossa dall’istinto di difesa. Per realiz- zare la guerra vengono messe in pratica delle prassi culturali che ne permet- tono l’organizzazione e la realizzazione. Ne sono la dimostrazione le tecno-

4 Cfr. A. L’Abate, Per un futuro senza guerre. Dalle esperienze personali ad una teoria

sociologica per la pace, Napoli, Liguori, 2008.

5 Se nel corso dello sviluppo del pensiero, questo tema ha orientato modelli interpretativi

del vivere sociale e pedagogici, si pensi ad Hobbes oppure a Rousseau, la scelta per una vi- sione piuttosto che un’altra è fortemente presente nella interpretazione religiosa della natura umana. Interpretazione che influenza poi le pratiche, i modelli e le relazioni all’interno della stessa comunità religiosa.

logie, gli sviluppi scientifici, le strategie, i linguaggi elaborati, nel corso dei secoli, dai sistemi politici e militari. Gli investimenti economici che hanno sostenuto lo sviluppo dalle scienze a scopi bellici hanno portato ad affinare sempre più la costruzione degli strumenti di distruzione e di annientamento delle popolazioni. Pertanto, mentre negli esseri animali le azioni violente sono il risultato di evoluzioni biologiche, negli esseri umani, le azioni vio- lente che conduco alla guerra sono sempre il frutto di scelte e di volontà ra- zionali.

Il secondo enunciato mette in evidenza la falsa credenza che la natura umana sia programmata per un comportamento violento. Ogni essere uma- no, viene detto, ha un bagaglio genetico che lo caratterizza, c’è una predi- sposizione ad essere influenzati dalle esperienze di vita, ma ciò che orienta lo sviluppo delle persone, sono le interazioni con gli ambienti antropizzati e la costruzione di significato che a questi vengono dati. In pratica le caratte- ristiche genetiche delle persone, a meno che non si presentino situazioni pa- tologiche, non è predisposto alle azioni violente e non è programmato per alcun risultato prestabilito. Esiste sempre una interazione tra ciò che una persona eredita dal punto di vista biologico e i contesti di formazione con i quali continuamente interagisce e, nello stesso tempo, modifica. Ciò che la proposizione sostiene è che sia la teoria darwiniana che le ultime scoperte della genetica sono servite, in modo strumentale, per sostenere la natura aggressiva e violenta degli esseri umani. Tuttavia, oltre ad essere una lettura semplicistica che fa trasmigrare il comportamento animale a quello umano, questa ipotesi non riconosce le potenzialità di cooperazione, condivisione, empatia di cui ogni essere umano è ricco.

Il terzo enunciato, riprendendo ancora il riferimento al modello evolu- zionistico, intende confutare l’assunto che nel corso della storia dell’umanità il comportamento aggressivo abbia avuto maggiori rinforzi rispetto ad altri e per tale motivo se ne sono giustificati la presenza e il mantenimento. L’osservazione di certi comportamenti animali ha dimostra- to, dice la proposizione, che per quanto sia necessaria per la sopravvivenza della specie, l’aggressività, se non è potenziata artificialmente, non arriva a misure massimali. Inoltre, il comportamento degli animali dimostra che nel gruppo si può creare anche cooperazione, cosa che invece viene poco valu- tata, o esclusa da coloro che danno valore al solo elemento di violenza per- ché considerato un comportamento simile a quello degli esseri animali. Il porre scarsa attenzione alle pratiche di cooperazione e collaborazione che nelle esperienze sociali di tutti i popoli sono presenti è una precisa scelta culturale. Essa infatti mettendo in evidenza solo una dimensione del modo con il quale si possono esprimere le relazioni umane, offre una legittima- zione della violenza, la giustifica e la rende naturale, escludendo ogni altro

tipo di possibile comportamento e alimentando, allo stesso tempo, la circo- larità della violenza.

Il quarto considera la nullità dell’affermazione che gli esseri umani han- no un cervello violento. Se è vero che l’apparato neuronale può reagire in modo violento a degli stimoli, questo non vuol dire che sia stato program- mato per un comportamento sempre distruttivo, o che quel comportamento non possa essere educato, gestito e mediato. Prima di reagire, i sistemi bio- logici che permettono agli esseri umani di vivere e di sopravvivere, filtrano e selezionano gli stimoli. La reazione, quindi, non è così immediata. Oltre ad un sistema complesso che filtra gli stimoli e le informazioni che possono provocare delle reazioni impulsive, entrano in gioco anche altri fattori come la volontà e la consapevolezza che possono orientare in una direzione piut- tosto che in un’altra il comportamento umano. Per superare la reazione, tut- tavia, è necessario che oltre alla volontà e alla consapevolezza, agisca l’educazione che permette di elevare un comportamento da reattivo a proat- tivo, che è poi la possibilità che ogni essere umano ha di scegliere come comportarsi in relazione agli eventi. Le reazioni di rabbia o di collera, con- siderate da coloro che sostengono la natura violenta del cervello un com- portamento umano, viene considerata una reazione non mediata dalla scel- ta, ed ancora prima da una educazione alla scelta, che dà gli strumenti per non lasciarsi prendere dalla frustrazione o dall’impazienza, o da altri senti- menti che possono accendere reazioni aggressive.

Infine il quinto enunciato sostiene la scorrettezza dell’afferma-zione che la guerra è causata dall’istinto o da una specifica motivazione. In realtà, come già sostenuto, la guerra richiede una preparazione razionale, tecnica, operativa, che viene sostenuta dall’organizzazione degli apparati istituzio- nali e dal sistema che lo sostiene. In questo senso i fattori che entrano in gioco sono diversi, ma nonostante ci sia una complessità di elementi che potrebbero alimentare situazioni di tensione e di violenza, come quelli cul- turali, religiosi, economici ecc., questi non sono di per sé fattori causa dei conflitti. Chi è interessato a mantenere l’ethos della guerra, manipola la percezione di questi fattori rendendoli responsabili del conflitto, togliendo agli esseri umani sia la responsabilità personale che la possibilità di scelta e di cambiamento giustificato dal fatto che ogni intervento, di fronte a forze superiori, sarebbe fallimentare. Le problematiche di cui vengono caricati questi fattori non possono essere considerate le cause del conflitto, ma le conseguenze di scelte compiute dagli esseri umani.

È necessaria una formazione che sappia riconoscere le osmosi, le com- plessità, gli orientamenti e le specificità che intervengono nell’evolversi dei fenomeni stessi. Le azioni esprimono anche la volontà e la responsabilità degli essere umani. Quello che gli esseri umani producono è il risultato del-

le loro azioni, come sono il risultato delle loro responsabilità i disastri am- bientali che distruggono e generano squilibri catastrofici. Nella prospettiva dell’analisi delle guerre, bisogna andare oltre le cause superficiali che indu- cono a dare facili spiegazioni, quanto piuttosto, vagliare la pluralità di ele- menti che entrano in azione, il loro modo di presentarsi, così come la loro evoluzione, per comprendere le ragioni del conflitto.

Le conclusioni della Dichiarazione di Siviglia affermano pedissequa- mente che non può esserci alcuna giustificazione scientifica, letta in termini biologici o antropologici, sociali o ambientali, che giustifica e/o condanna gli esseri umani alla guerra perpetua. Tutto ciò è in linea con la posizione assunta dall’UNESCO e con l’affermazione che le guerre iniziano nella

mente degli esseri umani, ma va anche considerato che anche la coesistenza

pacifica tra gli esseri umani e tra esseri umani e natura, nasce nella mente delle persone e che entrambe sono il risultato di processi educativi.