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La realtà italiana e la presenza delle tradizioni religione

2. Società laica e pluralismo religioso

2.1 La realtà italiana e la presenza delle tradizioni religione

Nella storia del secondo dopoguerra è stato posto l’accento sull’ impor- tanza delle libertà individuali e tra queste anche quelle che riguardano quel- le di opinione e di espressione religiosa. Un principio che si è andato defi- nendo dentro un contesto culturale che ha visto mantenere un maggiore ri- conoscimento di una tradizione religiosa sulle altre favorendo così il for- marsi di paradigmi sociali e culturali della società civile culturalmente orientati. ‹‹Quella religiosa -è bene ricordarlo- è stata la prima libertà ad

41 Cfr. S. Guetta, (a cura di), La voce della pace viene dal mare. Esperienze di coopera-

zione e ricerche internazionali per la convivenza tra le culture, i diritti e lo sviluppo umano,

essere rivendicata come diritto nei confronti dello Stato, e l’indispensabile contesto per qualsiasi azione che rivendichi la liberà religiosa è la lotta per la libertà di tutti i cittadini››42.

Negli ultimi decenni con l’arrivo e la compresenza di tradizioni religiose altre rispetto a quelle cristiane ed a quella ebraica, si sono aperti altri spazi di confronto, anche se non è ancora stata messa in discussione la legislazio- ne che regola i rapporti tra lo Stato e le differenti confessioni religiose pre- senti sul territorio. La Chiesa cattolica ha sempre avuto43, un ruolo egemone

per lo sviluppo della cultura italiana e nei confronti delle altre comunità di credenti e per il controllo esercitato attraverso l’affermazione di un sistema piramidale di ruoli e di poteri che hanno spesso prodotto, nel corso della storia la costruzione di rappresentazioni dell’Altro come l’alterità negativa tollerabile solo se disponibile alla conversione. Per lungo tempo la forte spinta all’assimilazione che la religione di maggioranza imponeva in varie forme sulle minoranze si è intrecciata anche con le forme di emarginazione ed espulsione delle altre fedi. L’esperienza plurisecolare di chiusura della popolazione ebraica dentro i ghetti e il confinamento delle comunità prote- stanti in zone che fossero lontane dai centri urbani, ha favorito la costruzio- ne di modelli di negazione della diversità.

Nel 1848 quando lo Statuto Albertino si impegnava a riconoscere come culti ammessi l’ebraismo e il protestantesimo, la realtà europea aveva di fatto già abolito, anche sull’onda delle idee rivoluzionarie francesi, le forme di restrizione che obbligavano la popolazione ebraica a vivere nei ghetti. Il riferimento alla tradizione cattolica è tuttavia rimasto radicato nella cultura del XIX e XX secolo, tanto che i culti ammessi mantenevano con questa un rapporto di minoranza e soprattutto di dipendenza simbolica. Per quanto organizzate differentemente, gli strumenti e gli indicatori utilizzati per av- viare il loro riconoscimento era impostato sul modello culturale cattolico, un modello dentro in quale le altre tradizioni religiose non potevano in al- cun modo riconoscersi. Il riferimento alla verità di fede, ad esempio, che la Chiesa ha come dogma, non è individuabile nelle altre tradizioni religiose. ‹‹La coscienza e l’intelletto sono liberi di riconoscere e di accettare ma non di mettere in discussione: riconoscere parità di diritti agli altri culti avrebbe significato riconoscere il falso alla luce del clima di assolutismo confessio-

42 G. Disegni, Ebraismo e liberà religiosa in Italia. Dal diritto all’uguaglianza al diritto

alla diversità, Torino, Einaudi, 1983, p. 4.

43 La storia viene costruita sull’Editto (o donazione) di Costantino del 313, considerato

poi un falso storico dal Valla nel 1440, che conferiva alla Chiesa la potestà sulle provincie dell’Impero di Occidente. Ciò che è invece poco conosciuto è che nel 321 Costantino emanò il Codex Judaeis, la prima legge penale contro gli Ebrei. Con questo documento gli Ebrei vengono accusati di essere il popolo deicida. Accusa che verrà annullata nel 1965 con la No-

nalista che aveva generato lo Statuto. Con la supremazia del culto cattolico, vengono così a mancare stabili garanzia per le altre confessioni e si deter- minano gravi limitazioni alla liberà di coscienza e di culto››44.

La legge delle Guarentigie del 1871, all’indomani dell’annessione di Roma allo stato unitario e la connessa apertura del ghetto, dando finalmente modo alla popolazione ebraica romana di entrare gradualmente a fare parte della società civile, fu un’azione unilaterale stabilita dal governo italiano al fine di regolamentare i rapporti con la Santa Sede. La legge assicurava al pontefice una serie di condizioni e concessioni tra i quali il libero esercizio del potere spirituale, l’inviolabilità e l’immunità dei luoghi di residenza.

Una legge non accettata dalla Chiesa che nel rifiutarla creava una vuoto nei rapporti ufficiali tra Stato e Chiesa e un forte conflitto all’interno della stessa comunità di credenti. Una posizione di non dialogo, di reciproche ri- gidità, che si rilevarono funzionali per la ricerca di un accordo e quindi di una normativa che soddisfacesse entrambe le parti. Il 1929, con i Patti Late- ranensi, vede quindi ritrovare l’accordo tra Stato e Chiesa, creando però l’avvio di una anomalia costituzionale, il cui squilibrio è ancora presente, nonostante il concordato del 1984 soprattutto all’interno del mondo scola- stico.

Un accordo che, per quando riconoscesse la reciproca indipendenza sul territorio nazionale, era di fatto l’ammissione di un credo religioso superio- re agli altri, in particolare a quello ebraico e protestante. Un impegno tra le parti che ha condizionato molti aspetti culturali e legislativi della realtà ita- liana e che interessa anche il modo con il quale vengono oggi espressi i va- lori della laicità, della democrazia e della libertà. Un privilegio che ancora oggi, a seguito de Concordato del 1984 crea disuguaglianza e incompren- sioni culturali, se non proprio pregiudizi, che impediscono di vedere la real- tà nella quale quotidianamente viviamo.

In riferimento al Concordato del 1984 lo Stato ha poi avviato con le altre confessioni i tavoli di confronto per l’avvio di intese parallele senza tuttavia procedere per una riforma e la definizione di una legge quadro in grado di riportare il rapporto tra Stato e libera espressione religiosa con lo scopo di garantire la presenza di un pluralismo religioso paritario. Per molti anni quindi i mass media, così come le forme di sapere diffuso, hanno chiaramen- te agito per l’invisibilità di tradizioni religiose altre rispetto a quella cattolica. Negli ultimi anni la situazione ha comunque subito un’evoluzione, sia per la necessità di fare spazio ad una forte presenza islamica, sia per adeguarsi alle richieste di dialogo che i bisogni sociali e culturali esprimono. Per questo appare necessario rivedere il significato dell’art. 7 della Costituzione italia-

na che afferma: ‹‹Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Latera- nensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale››. Da qui emerge chiaramente lo spazio ancora concesso alla presenza, alla tradizione e alla cultura cattolica giustificata anche da un radicato mantenimento di costumi e usi che sono stati utilizzati anche come strumento di identità nazionale, lasciando fuori da questa identità coloro che in quegli usi e costumi non si riconosce. Un rapporto particolare, quello espresso nell’articolo in questione che mostra come lo stato italiano sia di fatto, almeno in questa materia, con una in- fluenza sul sistema educativo nazionale, orientato a mantenere rapporti pri- vilegiati con una confessione impedendo di fatto la piena realizzazione del- le pari opportunità per tutti i cittadini dello Stato. È solo nel successivo art. 8 che la Costituzione considera le altre tradizioni religiose affermando che

tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Si

ripete quindi che ogni rapporto deve adeguarsi e fare riferimento alla reli- gione cattolica sostenendo che le confessioni religiose diverse dalla cattoli-

ca hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, stabilendo con questo un

rapporto giuridico di diversa natura che poi significa di differente peso poli- tico. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese

con le relative rappresentanze.

Anomalie importanti, che tendiamo a rimuovere o a sottovalutare, ma che esprimono una mancata coerenza nei valori di laicità e democrazia. Tanto che la stessa cultura legislativa si è fatta carico del problema di sti- pulare le intese senza un serio impegno politico. Ci sono voluti quasi trent’anni di consultazioni, incontri, dibattiti per aver quasi risolto il pro- blema delle intese con le tradizioni religiose diverse da quella cattolica, ma manca ancora all’appello l’intesa con il mondo islamico.

Di fronte a questa chiara disparità di riconoscimento e di partecipazione nella società civile, emerge la necessità di aprire degli spazi di riflessione nei contesti formativi al fine di rendere veramente concreta l’apertura e la disponibilità alla conoscenza reciproca e alla circolazione dei saperi. La prima questione da porre è quindi individuare, come accennato sopra, il rapporto tra lo Stato italiano e le diverse confessioni religiose per capire come sono stabiliti i rapporti formali tra comunità di fedeli diverse da quel- la cattolica e lo Stato italiano. In genere il processo di stipula di una intesa è un processo piuttosto lungo che parte da un riconoscimento formale da par- te dello Stato dei soggetti chiamati a rappresentare quella confessione reli- giosa oggetto appunto dell’intesa. In pratica è necessario un riconoscimento

formale che chi entra nel tavolo degli accordi è in grado di rappresentare tutta la comunità di appartenenza.

Nonostante le difficoltà poste dalla firma del nuovo Concordato, soprat- tutto in materia di educazione e della presenza dell’ora di religione cattolica nella scuola pubblica italiana, che di fatto confermava la disparità di tratta- mento tra gli alunni, gli studenti e gli insegnanti della scuola e dello Stato, le prime consultazioni avviate furono con le comunità già storicamente pre- senti nella realtà sociale e culturale italiana come quella cristiana rappre- sentata dalla Tavola Valdese e successivamente quella ebraica. La prima intesa che viene firmata successivamente al nuovo Concordato del 1984, è quella con la Tavola Valdese (valdesi e metodisti) 1984, intesa che farà da modello di riferimento per quelle che si presenteranno negli anni successi- vi. A seguire quella con le Chiese Cristiane Avventiste del settimo giorno e con le Assemblee di Dio, 1986. Nel 1987 viene raggiunto l’accordo con l’Unione delle Comunità Ebraiche (prima israelitiche come voluto dalla Legge Rattazzi del 1857). L’intesa con l’allora Unione delle Comunità Ebraiche fu la prima delle intese firmate con una comunità non appartenen- te al mondo cristiano che definiva l’impegno dello Stato a riconoscere le molte peculiarità che sono presenti nella cultura e nella tradizione ebraica, dall’alimentazione al riconoscimento del rispetto per l’osservanza delle fe- stività. Nel 1993 si conclude quella con l’Unione Cristiana Evangelica Bat- tista e successivamente quella con la Chiesa Evangelica Luterana. Le tratta- tive con le altre tradizioni religiose che hanno cominciato essere maggior- mente visibili negli ultimi decenni del secolo scorso, prendono avvio inizi degli anni Novanta per concludersi, con la comunità buddista e quella in- duista nel 2013. Infine va considerato che, per quanto sia sempre più nume- rosa la presenza in Italia degli appartenenti alla tradizione islamica, rimane ancora aperto il processo di consultazione con la questa comunità.

In questo senso lo strumento del dialogo riesce a dare maggiore visibili- tà non solo alle presenze e al significato che queste rappresentano nel dibat- tito culturale e scientifico del paese, ma anche per rendere consapevole la società civile dei cambiamenti in atto, che non si attestano solo sul proble- ma dell’intercultura nelle scuole e dell’accoglienza dei tanti immigrati nelle strutture dello Stato, ma anche nella garanzia del diritto di pari trattamento, pari opportunità, pari spazio di espressione per tutte le tradizioni religiose. Problematiche che mettono bene in luce come in Italia manchi una legge, conforme alle evoluzioni sociali e culturali in atto, che sia capace di garan- tire la libertà religiosa e di promuovere un dibattito a sostegno della crescita della società civile che deve investire nel pluralismo piuttosto che nella omologazione. Ciò che deve essere finalmente realizzato è il varo di una legge quadro, basata su elementi comuni già trasversali alle intese, in grado

di garantire, superando la logica della separazione e della uni direzionalità dei rapporti, la libertà religiosa e le pari opportunità.