• Non ci sono risultati.

2. Società laica e pluralismo religioso

2.2 Educazione al pluralismo religioso

Più che considerare l’educazione religiosa che ha come scopo quello di far apprendere gli aspetti che caratterizzano la religione di appartenenza, l’educazione al dialogo interreligioso è orientata a formare le persone in modo attivo, critico e a stimolare la partecipazione all’ascolto e allo scam- bio di saperi ed esperienze che traggono significato da presupposti culturali differenti.Il contributo culturale che le religioni, le fedi e gli atteggiamenti di spiritualità hanno espresso nella storia delle comunità locali, esprime chiaramente come possono svilupparsi ed evolversi le esperienze di vita delle persone sia come singoli individui che come collettività. Interagire con valori e con pratiche riferite a presupposti differenti da quelli comune- mente condivisi, porta ad interagire anche sul piano dell’intercultura pur non confondendosi con questa e mantenendo una sua specificità in quanto coglie degli aspetti di appartenenza e di spiritualità differenti da quelli evi- denziati nella prospettiva culturale. La riflessione sull’intercultura che ela- bora gli aspetti educativi di una società sempre più multietnica e multicultu- rale, si deve accompagnare ed integrare con lo sviluppo di una componente specificamente preposta a cogliere e sviluppare dal multireligioso, dentro una cornice laica, progetti di dialogo interreligioso.

L’ampio ventaglio di tradizioni presenti oggi in Italia ci interroga, dal punto di vista educativo, su alcune questioni circa la conoscenza data nelle scuole di questa ricchezza culturale; le modalità con cui integrare le diffe- renti appartenenze; quali sono i principi educativi delle tradizioni religiose e in quale modo questi sostengono la coesione comunitaria. Questioni pro- babilmente nuove per la tradizione pedagogica che in genere non ha reso molto visibili modelli diversi da quelli proposti dalla maggioranza. Nella storia dei saperi educativi i gruppi considerati minori, soprattutto le tradi- zioni ebraica e protestante, pur essendo parte del tessuto sociale da secoli, sono stati compresi nella riflessione pedagogica italiana in modo molto marginale. Una mancanza di attenzione che ha in qualche modo una re- sponsabilità anche per lo sviluppo del dialogo. Esplorare le caratteristiche di modelli educativi diversi che sono stati parte della storia sociale dei gruppi e delle comunità locali favorisce la costruzione di una forma mentis flessibile e capace di cogliere all’interno di una quadro unitario elementi disomogenei e caratterizzanti altre specificità. Da qui il bisogno di indivi- duare nella scuola un’organizzazione dei contenuti disciplinari che dia gli

strumenti di conoscere la molteplicità delle presenze anche dalla prospetti- va storica oltre che, come capita negli ultimi anni, nella sola emergenza so- ciale. Conoscere e capire anche attraverso la presenza e il contributo di quelle che genericamente sono state definite minoranze, è una prevenzione alla costruzione dei pregiudizi e stereotipi e rende disponibile all’ascolto.

Ogni tradizione religiosa si colloca quindi all’interno della storia e della cultura generale. Non darne visibilità significa limitare la costruzione di strumenti cognitivi necessari a poter cogliere la complessità sociale. L’opportunità di questo decentramento aiuta a comprendere la possibilità di pensare che problematiche trasversali possano essere affrontate con pro- spettive valoriali differenti. Tematiche come la sessualità, le relazioni fami- liari, l’educazione di genere, per considerarne solo alcune vengono lette ed interpretate, nelle tradizioni religiose, con prospettive e significati diversi45.

È sicuramente un contributo alla formazione quello di introdurre fin dal- la prima infanzia percorsi educativi che aprano alla reciproca conoscenza dei valori condivisi e contenuti nel messaggio che le tradizioni religiose e spirituali hanno elaborato nel corso dei secoli. In certi contesti l’identità na- zionale, religiosa, linguistica ecc. è diventata il rifugio per molti individui e gruppi che vedono la globalizzazione e le trasformazioni culturali, che si realizzano sia a livello micro che macro, come una continua e sottile mi- naccia ai loro modelli di vita.

È sempre più evidente la carenza di progetti e materiali didattici in gra- do di alimentare un dibattito sulle migliori pratiche per realizzare strategie educative capaci di promuovere anche in questo campo, la reciproca com- prensione, il rispetto e la tolleranza attiva sviluppando nuovi approcci di convivenza pacifica. La scuola ha anche il compito di promuovere, nel ri- spetto delle differenze, un sapere flessibile che riconosce il rispetto tra i po- poli di diversa appartenenza religiosa, ma, soprattutto, attiva le forme de- mocratiche della libertà di culto strettamente interconnessa con la libertà di espressione e di pensiero. Un impegno quello educativo che è capace di ri- percorrere la storia delle culture e dei popoli per analizzare nel profondo come siano state e lo sono tutt’oggi, utilizzate le opposte appartenenze reli-

45 Cfr. S. Guetta, A. Mannucci I tuoi seni sono grappoli d’uva. La sessualità nella Bib-

bia, Tirrenia, Del Cerro, 2006; S. Guetta, Il contributo ebraico ad una educazione sul valore e il significato della fine della vita, in A. Mannucci (a cura di), L’evento morte come affron- tarlo nella relazione educativa e di aiuto, Riflessioni per educatori professionali, operatori sociali, operatori infermieristici, medici, volontari, insegnanti, Tirrenia, Del Cerro, 2004; S.

Guetta, Educare, insegnare, ricordare: come la tradizione ebraica spiega la loro integrazio-

ne, in R. Quaglia, L. Ferro, M. Fraire (a cura di), Religione Scuola Educazione Identità,

Lecce, Pensa Multimedia, 2008; S. Guetta, Percorsi di educazione alla riflessione interreli-

giose per promuovere guerre e scontri, in nome di una superiorità e una cer- tezza di verità.

Il dialogo interreligioso, come è sentito anche all’interno dei progetti di educazione interculturale, sollecita all’incontro tra rappresentazioni mentali differenti come pratica di aiuto a comprendere meglio come si formano e decostruiscono stereotipi e pregiudizi e a trovare soluzioni originali di me- diazione a problemi e ai conflitti. L’immaginazione è molto utile per aiutare la persona a trovare soluzioni adeguate ai problemi interpersonali. Se è chiaro che la presenza dell’Altro non è mai qualcosa di scontato o di defini- to in partenza, la relazione e la volontà di conoscere diventano allora qual- cosa di inedito, di esplorativo e innovativo. Una esperienza formativa che produce cambiamento e nuovi saperi. Lo scambio genera altre idee, altre conoscenze, altre emozioni, grazie alla possibilità che viene data, di creare una tensione continua tra l’avere qualcosa da condividere che si incontra con l’inedito e il non conosciuto. Lo spazio per aprire il dialogo sta anche in questa tensione oltre che nella volontà e nel desiderio di capire e scoprire quella dimensione che occupa l’essere vicini e lontani, simili e diversi.

Nel dialogo interreligioso come in quello interculturale, il rapporto con l’Altro ha rappresentato, in questi anni, un costante impegno orientato al superamento di ostacoli, opposizioni, visioni stereotipate.

La formazione al dialogo interreligioso è stata anche oggetto di espe- rienze che hanno come obiettivo la formazione delle competenze utili per vivere insieme. Il riferimento a questo approccio è rintracciabile in quel filone di riflessione sull’educazione che dagli anni Novanta del secolo scorso, pone l’attenzione sullo sviluppo integrato di competenze sociali, conoscenze e saperi. Un documento che spiega il senso e il significato di questa integrazione e dell’avvio di questa riflessione è quello preparato da J. Delors 1996 per l’UNESCO. Il rapporto che venne presentato aveva lo scopo di individuare le migliori strategie educative da realizzare per edu- care nel nuovo millennio. Oltre a rendere visibile la necessità di pensare all’educazione in senso ampio, e non solo concentrata o realizzata nell’ambito scolastico, quanto piuttosto nella continua osmosi tra proces- so di apprendimento che dura per tutta la vita e contesti sociali, locali e globali di riferimento, il rapporto considera con attenzione la necessità di educare ad alcune competenze che possono garantire la sostenibilità del processo stesso di apprendimento. Nella seconda parte del rapporto viene dato spazio alla presentazione chiara di queste competenze definite come i 4 pilastri dell’educazione, tra questi, quello del Learning to live together, (learning to know, learning to do, learning to be), risulta essere di partico- lare significato per lo sviluppo dell’educazione al dialogo e alla convivenza pacifica facendo riferimento alle nuove sfide lanciate dalle trasformazioni

planetarie e dalla circolazione di saperi, di etnie, culture e religioni diffe- renti. Il ruolo assunto da questo pilastro, strettamente collegato agli altri tre, è quello di dare pieno sviluppo alla mente e al corpo facendo in modo che ogni è persona possa ricevere fin dall’infanzia una educazione che sappia coniugare sviluppo dell’intelligenza, della sensibilità, l’apprezzamento estetico per la vita, il mondo naturale e le espressioni culturali e la spiritua- lità. L’essere umano non viene visto né come sola mente cognitiva che ap- prende e neppure come corpo fisico che agisce, ma come potenzialità ed energia mentale, fisica e spirituale che agiscono integrandosi.

Ma quello che viene sottolineato è la necessità di pensare alla respon- sabilità che l’educazione ha nei confronti dei saperi delle nuove genera- zioni e della realizzazione di società dove la presenza della violenza rie- sce a decrescere per lasciare spazio alla crescita della condivisone e della cooperazione. Tra i principali compiti dei quali l’educazione deve farsi carico, c’è anche quello di permettere che ogni persona costruisca le competenze necessarie e si attrezzi di strumenti idonei per poter sempre più creare esperienze di cooperazione e di ricerca condivisa del benessere, sapendo trovare le modalità migliori per risolvere i conflitti sia personali che sociali. C’è anche la consapevolezza che nonostante ci sia una dichia- rata manifestazione delle politiche scolastiche e dei metodi utilizzati per promuovere l’educazione non violenta, in realtà, le scuole, gli insegnanti e tutto il sistema, lasciano piuttosto sulla carta questo principio dimenti- candosi perfino che esistono i diritti umani e quelli dell’infanzia e dell’adolescenza. Ci vuole un profondo impegno e una chiara intenzionalità per poter passare, soprattutto in questo ambito, dalla teoria alla pratica, per- ché il cambiamento richiede un articolato lavoro di autoeducazione alla comprensione delle dinamiche relazionali, al riconoscimento dei limiti posti dai pregiudizi personali, e alla capacità di utilizzare ogni tipo di approccio che faccia riferimento alla comunicazione gentile, accogliente e costruita sul modello dell’Equivalenza46.

Nel rapporto di Delors viene espresso con chiarezza la necessità di uti- lizzare approcci e metodi cooperativi e partecipativi per educare le persone a saper lavorare insieme su progetti che possano essere di interesse comu- ne. Il coinvolgimento personale, il senso di responsabilità, la comprensione del sentirsi insieme agli altri, aiutano a trovare le strategie per risolvere i conflitti. Spesso gli insegnanti presentano i saperi in modo dogmatico, fa- cendo gradualmente decrescere ogni espressione di curiosità ed interesse personale. Il modello che viene passato attraverso questo approccio può in-

46 Cfr. P. Patfoort, Difendersi senza aggredire. La potenza della nonviolenza, Pisa, Uni-

fliggere un danno permanente sulle persone portandole a rappresentarsi la realtà in modo rigido e non disponibile alla mediazione. Una chiusura, dice Delors, che impedirà di affrontare le inevitabili tensioni tra individui, grup- pi e nazioni, mentre uno degli strumenti essenziali per l’educazione del XXI secolo sarà la realizzazione di un forum permanente per il dialogo e la discussione.