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Per quanto ampiamente importanti e significative possano essere le pra- tiche dell’integrazione e i modelli a cui queste si riferiscono, è necessario porsi alcune domande: a quale scopo è pensata l’integrazione e quali sono i suoi obiettivi finali? L’integrazione è un processo continuo o limitato nel tempo?

La prima domanda può trovare una risposta negli aspetti che sono propri della società di riferimento di cui il sistema educativo ne è parte. Il modello di integrazione, per quanto carico di pratiche e di aspettative differenti da contesto a contesto, si collega al bisogno di rendere un po’ meno diversi immigrati. In pratica viene considerato che la diversità riconosciuta nei bambini stranieri può essere superata, o forse anche annullata, se il bambi- no straniero supera le difficoltà e gli ostacoli presenti nel nuovo contesto e diventa simile ai bambini autoctoni che vengono rappresentati come una unità separata ed indifferenziata. Per altri aspetti, l’integrazione parte dal considerare i bambini stranieri coloro che in qualche modo sono fuori dalla norma, intesa, quest’ultima, come una serie di pratiche, di condotte, di comportamenti accettati e condivisi implicitamente ed esplicitamente dal senso comune e nei contesti formali. Pertanto l’integrazione può permettere a coloro che la rappresentazione sociale pone fuori dalla norma e quindi emarginati perché lontani dal centro di trovare la strada per ritornare o arri- vare centro. Il riferimento a questo modello di integrazione, benché sia an- cora presente come pratica sociale, viene gradualmente superato da inter- venti che spostano l’attenzione dal recupero dei bambini stranieri e dei

bambini immigrati considerati come bambini-problema ad un approccio che vede il coinvolgimento di tutta la classe e che mette a fuoco gli aspetti relazionali della classe.

In molti casi, tuttavia, nonostante sia presente la consapevolezza di quali problemi, conflitti, lacerazioni, ostacoli, paure e dilemmi i bambini affron- tano durante il processo migratorio, permane in alcuni contesti, il bisogno di garantire il mantenimento di una situazione di controllo e di equilibrio all’interno della classe. Le riflessioni sugli aspetti dell’integrazione a scuo- la, analizzati e ben presentati soprattutto attraverso il contributo della Fava- ro14, hanno sicuramente e concretamente aperto la riflessione sulla delica-

tezza delle questioni che queste pratiche richiedono e sulla necessità di at- tuare continui processi di decentramento cognitivo ed emotivo, oltre che percettivo e valoriale, per offrire ambienti accoglienti ai bambini e alle loro famiglie.

Benché questi riferimenti e attenzioni siano assolutamente raccomanda- bili e utilizzabili come prassi necessarie, molto spesso l’integrazione rischia di rimanere obiettivo di una scuola che pensa a questa come necessaria al mantenimento dell’ordine e della normalizzazione scolastica. Richieste esterne, in primo luogo quella dei genitori dei bambini che hanno in classe bambini stranieri, le prove standardizzate che le scuole sottopongono a tutti i bambini, i ritmi e le modalità di apprendimento che si riferiscono ad uno specifico modello di educazione rivolta al pensare e poco al fare, caratteri- stico della scuola italiana, fanno pensare che alla fine chi può beneficiare dell’integrazione è soprattutto l’istituzione.

Riguardo agli obiettivi dell’integrazione la Favaro15individua alcuni in-

dicatori considerati basilari per monitorare l’apprendimento, le interazioni e le identità personali. Questi possono essere: l’inserimento e l’andamento del percorso scolastico, l’acquisizione in progress delle competenze della lingua italiana, la qualità delle relazioni in classe, gli ambienti, il tempo e gli spazi dell’extrascuola, il mantenimento all’uso e al riferimento alla lin- gua materna e infine, la continua attenzione agli aspetti motivazionali e di autostima.

L’integrazione è quindi uno scenario in trasformazione e tutti coloro che ne fanno parte e vi partecipano, sono portati ad agire insieme, mettendo in sintonia la stessa intensità di bisogni, aspettative e desideri, anche se con contenuti differenti, per il raggiungimento di obiettivi condivisi di benesse- re e sviluppo. L’integrazione deve coinvolgere tutti i partecipanti al cam- biamento aprendo gli spazi per stare dentro il confronto, lo scambio, la sco-

14 Cfr. G. Favaro, L. Luatti, op. cit. 15 Ivi, p. 99.

perta, la sorpresa e la reciproca conoscenza. Ma sta anche nella possibilità di sviluppare e migliorare le pratiche e le competenze cognitive ed emotive come rappresentazione della realtà flessibile e migrante16 e come consape-

vole conoscenza e uso delle proprie competenze per la trasformazione di questa.

Che percezione hanno i bambini delle loro potenzialità di trasformazio- ne della realtà, degli strumenti che già posseggono per natura e di quelli che possono costruire giorno per giorno scoprendo se stessi e nella relazione con gli altri? Quanto si rapportano integrazione e trasformazione? È impor- tante che sia fatta chiarezza riguardo ai processi e agli obiettivi posti per facilitare ed assicurare uguali opportunità ai bambini che vengono da lonta- no, a quelli che richiedono speciali attenzioni, a quelli che hanno fatto espe- rienza di vita in contesti di svantaggio culturale e sociale. Il processo di in- tegrazione non può essere considerato uguale per tutti. Ogni esperienza di relazione educativa è una nuova emozionante, creativa e irripetibile avven- tura nel mondo degli apprendimenti. Tutti i bambini e le bambine devono essere accolti dando spazio ai loro bisogni, aspettative e risorse in modo che possa essere vissuta un’ integrazione calda. Un’integrazione capace di collegare tra loro espressioni e contatti di piacere, curiosità, affetti e passio- ni per tutto ciò che già è conosciuto e di nuovo viene appreso.

A questo punto è necessario fare un salto ed andare oltre l’integrazione per entrare nella prospettiva dell’ inclusione. L’inclusione guarda con una prospettiva più ampia al processo di relazione scolastica, educativa e forma- tiva. Il principio che tutti i bambini hanno uguali diritti e devono avere uguali opportunità dentro ogni ambiente educativo, si integra con l’obiettivo di la- vorare anche per la trasformazione delle condizioni e delle soluzioni educati- ve al fine di poter andare verso un miglioramento della qualità delle relazioni e una sostenibilità degli apprendimenti. Diventa quindi fondamentale indivi- duare le modalità migliori per coinvolgere i saperi di tutte le culture che en- trano nelle dinamiche dei contesti educativi. I differenti saperi culturali sono portatori di pratiche educative, di politiche e organizzazioni scolastiche, da quelle burocratiche a quelle delle norme che regolamentano le relazioni tra scuola e mondo esterno, di esperienze di incontro, scambio e dubbi, di rap- presentazioni del sapere e del suo uso in modo vario e articolato.

Con l’educazione inclusiva è possibile riportare l’attenzione sul fatto che ogni bambino in situazione di apprendimento è un soggetto modificabi- le, ma che il miglioramento delle capacità e competenze di apprendimento è dipendente dalla qualità della relazione educativa proposta. In linea con questo orientamento devono essere garantiti i metodi e le didattiche, così

come le tecniche e gli strumenti che favoriscano l’ inclusione di tutti bam- bini. Fuori campo devono essere posti quelli che privilegiano il personali- smo, l’esibizionismo, l’antagonismo e la competizione escludente.

Un approccio di educazione inclusiva non si crea sui sentimenti di ansia e di preoccupazioni che spesso disorientano e rendono difficili le relazioni. Esso si costruisce invece sulle domande che aprono alla relazione del tipo: con quali metodi e con quali strumenti è possibile facilitare la partecipazio- ne di tutti alla vita scolastica che stanno vivendo? Com’è possibile ricono- scere e rendere reciproco il riconoscimento delle risorse e delle potenzialità dei bambini che sono coinvolti nel gruppo classe? Com’è possibile conside- rare la specificità di ogni bambino e creare gruppi cooperativi capaci di fa- vorire l’apprendimento di competenze sociali sollecitando la motivazione ad apprendere? Come può essere compreso dai bambini il lavoro educativo svolto dagli adulti?

In primo luogo è necessario individuare quali sono le barriere che limi- tano o impediscono la partecipazione e l’apprendimento individuale e quel- lo cooperativo e quali sono i bambini o i ragazzi che per vari motivi hanno difficoltà a vivere queste esperienze di apprendimento. Quale natura hanno gli ostacoli e come è possibile dare ai bambini gli strumenti per costruire le strategie utili a superarli.

Non è necessario pensare agli ostacoli solo in senso negativo o limitan- te. Essi, è ben saputo, devono essere valutati ed utilizzati attentamente dagli insegnanti e dagli educatori con un approccio risolutivo piuttosto che limi- tativo. La loro presenza può essere dovuta a molti fattori e cause, che si presentano separatamente o singolarmente, in modo momentaneo o perma- nente. Essi possono derivare da fattori esogeni, che dipendono dalla rela- zione con l’ambiente di vita e altri che possono essere definiti come endo- geni, ma entrambi ‹‹possono determinare soglie di stimolazione e di reazio- ne diverse, diversi livelli di sensibilità agli stimoli e via dicendo. Questo è per esempio il caso di molti bambini tranquilli e apatici, con i quali è neces- saria una stimolazione di intensità, frequenza ampiezza elevate per rag- giungere la loro soglia di recettività››17.

I disturbi emotivi che possono derivare da rapporti problematici con i genitori o con i contesti affettivi primari di riferimento, sono, molto spesso, responsabili delle barriere che si frappongono tra il bambino e l’ambiente.

17 R. Feuerstein, R. Feuerstein, Y. Rand, L. Falik, Il Programma di Arricchimento Stru-

mentale di Feuerstein. Fondamenti teorici e applicazione pratiche, Trento, Erikson, 2008,

Feuerstein, utilizza due criteri della mediazione18 che possono essere si-

gnificativi per lavorare nei processi di inclusione educativa. Il primo viene chiamato Mediazione del comportamento di condivisione, il secondo a cui viene fatto riferimento è la Mediazione dell’individualità e della differenza

psicologica19. La mediazione del comportamento di condivisione prepara il

bambino e il ragazzo a riconoscere il bisogno, la necessità e l’importanza di cooperare con gli altri uscendo dal proprio sé ed accettare, allo stesso tem- po, che gli altri partecipino alle sue vicende. La mediazione è quindi co- struita sugli aspetti che riguardano le competenze di ascolto reciproco e di empatia, l’attenzione verso i bisogni e il sentire del prossimo, il rispetto re- ciproco e la capacità di sapersi porre nei confronti dell’altro con la com- prensione, ma anche con la capacità di individuare le risposte più idonee e adatte alla relazione. La condivisione è una competenza presente nelle esperienze dei bambini, competenza che può essere sviluppata nella rela- zione affettiva, di intimità, di contatto fisico e di reciprocità emotiva che i bambini hanno con gli adulti e i coetanei. La condivisione si può muovere su diversi piani perché gli ostacoli o i bisogni di ascolto e comprensione possono riguardare differenti aspetti della realtà. Ci può essere una soffe- renza emozionale, sociale o fisica, o anche alcune di queste che si presenta- no integrate. La comprensione dei differenti modi con i quali può essere espressa una richiesta di condivisione, più che di aiuto, orienta a poter sce- gliere con maggiore attenzione le risposte da dare. Lo sviluppo della condi- visione parte dalla vita del bambino, ogni gesto o atto educativo può essere mediato come una condivisione o come un’esclusione: tutto dipende dalla intenzionalità operativa che gli educatori (genitori o altri adulti che sono con il bambino) apportano. ‹‹Il comportamento di condivisione è un biso-

18 Con la mediazione, meglio definita come Esperienza di apprendimento mediato,

Feuerstein sottolinea la necessità di stabilire delle relazioni educative che siano capaci, non solo di trasmettere ai bambini e ai ragazzi le informazioni e le conoscenze utili per conosce- re e potersi adattare all’ambiente presente e prossimo, ma tale concetto si riferisce adun’ azione educativa intenzionale e reciproca impegnata ad offrire ai soggetti in educazione ‹‹gli strumenti e i prerequisiti necessari per renderlo capace di imparare ad imparare. Trascende l’immediatezza di un evento particolare diventando un’occasione per una generalizzazione e per un ulteriore sviluppo. Più mediazione riceve il bambino, più diventa capace di imparare dalla futura esperienza e di riceverne un mutamento: sviluppa un bisogno per la mediazione,

si aspetta che gli eventi abbiano un significato, ricerca, va oltre l’informazione ricevuta at-

traverso i sensi di un dato momento››. R. Feuerstein, Y. Rand, R. Feuerstein, La disabilità

non è un limite. Se mi ami, costringimi a cambiare, Firenze, LibriLiberi, 2005, p. 32.

19 Cfr. R. Feuerstein, Y. Rand, R. Feuerstein, La disabilità non è un limite. Se mi ami, co-

stringimi a cambiare, Firenze, LibriLiberi, 2005; R. Feuerstein, R. Feuerstein, Y. Rand, L.

Falik, Il Programma di Arricchimento Strumentale di Feuerstein. Fondamenti teorici e ap-

plicazione pratiche, Trento, Erikson, 2008; S. Guetta, Il successo formativo nella prospettiva di Reuven Feuerstein, Napoli, Liguori, 2001.

gno fondamentale dell’individuo e probabilmente dell’organismo umano, anche una risposta a sentirsi in sintonia con gli altri. Questo fa sì che il bambino agisca molto precocemente per apprendere comportamenti di con- divisione, inizialmente attraverso l’azione dell’indicare. Il bambino indica qualcosa, così che la madre o un’altra persona, partecipi all’esperienza e ne diventi partecipe››20. La partecipazione e la condivisione nascono quindi

dalle esperienze concrete che si alimentano nei contesti affettivi dove vivo- no i bambini ed i ragazzi. Questo permette di sperimentare il sentimento di inclusione nel gruppo di appartenenza, grazie alle differenti forme di ascol- to e di relazione che si possono sviluppare. Talvolta l’incoraggiamento dei bambini alla partecipazione avviene in senso unico: gli adulti chiedono di entrare in un gruppo o di condividere le esperienze con gli altri. Chi non risponde positivamente a queste sollecitazioni viene rappresentato e descrit- to come un bambino chiuso, introverso, timido, poco attivo. Ma la parteci- pazione è questione di reciprocità. I bambini per apprendere come si condi- vide, hanno bisogno di vivere l’esperienza e con qualcuno che non si limiti a dire che bisogna imparare a condividere. La partecipazione può essere costruita solo nella reciprocità del sentire del pensare e del fare.

Il secondo criterio da considerare è quello della mediazione dell’ indivi-

dualità e della differenza psicologica, un indicatore questo, importantissi-

mo, erroneamente considerato opposto al precedente, perché pone impor- tanza sulla necessità di distinguersi dagli altri. Se nel precedente veniva chiesto di apprendere gli strumenti e i modi per sentirsi in sintonia e in ar- monia con gli altri, in questo caso l’attenzione educativa è rivolta a dare modo ai bambini di sentirsi individui distinti dagli altri. Questo comporta anche la necessità di prendersi cura, ascoltare, credere in se stessi perché questo è il punto di partenza per trasferire ciò che di positivo è nella propria persona agli altri. Per poter stare bene con gli altri è necessario quindi stare bene con se stessi. Con la mediazione è possibile sollecitare fin dai primi anni di vita, l’espressione dei sentimenti differenti percepiti dai bambini, così come i differenti modi di comportarsi, di esprimersi e di sentirsi parte del gruppo. ‹‹Il processo di individualizzazione comporta la definizione dell’unicità di ogni essere umano e stabilisce un confine tra se stessi e gli altri. Incoraggia l’autonomia, la responsabilità personale e l’accettazione delle differenze tra gli individui ed è essenziale in quanto permette a ogni singolo di svolgere il proprio ruolo nella società. Tuttavia, il valore dato all’individualizzazione dipende dal sistema di valori e dalle caratteristiche di una determinata cultura››21. Lo sviluppo di un sé articolato e separato da-

20 R. Feuerstein, R. Feuerstein, Y. Rand, L. Falik, Il Programma di Arricchimento Stru-

mentale di Feuerstein, cit., p. 120.

gli altri favorisce la comprensione dell’unicità di ogni singola persona e sottolinea, allo stesso tempo, l’importanza del riconoscimento delle diffe- renze individuali e della necessaria elaborazione per costruire la condivi- sione e la partecipazione attiva nella relazione. Per alcuni educatori il rife- rimento all’unicità della persona è talvolta espresso attraverso un senso di giudizio negativo, piuttosto che di apprezzamento, stima e fiducia, che met- te in evidenza le mancanze o i difetti del bambino.

La mediazione lavora invece sulla consapevolezza che è necessario ri- conoscere le potenzialità e le caratteristiche della persona nella loro com- plessità, dimostrando così rispetto per la sua dignità e la sua privacy, la par- tecipazione all’ascolto ed alla comunicazione, alle sue scelte ed a trovare cosa gli permette di stare bene e sentire la dimensione del piacere.

I due criteri sono quindi complementari, entrambi necessari per favorire le dinamiche che interessano i processi di inclusione, di rispetto e di dialo- go con le diversità.

In conclusione è importante sottolineare che la riflessione sulle prassi dell’inclusione si rapportano ad una visione di complessità delle relazioni educative e di apprendimento che si attivano nella scuola. C’è anche la con- sapevolezza che le persone considerate dal senso comune fuori dalla norma, sono percepite come soggetti diversi come se tale diversità fosse una carat- teristica naturale ed intrinseca delle persone. Tutto ciò impedisce di consi- derare che chi osserva dall’esterno attribuisce arbitrariamente, sulla base della sua percezione, gli elementi che creano differenza. È la relazione che fa la differenza, ogni persona con il suo agire può influenzare le altre, può attivare forme di comportamento, relazione, cambiamento, che non si sa- rebbero potuti avere senza la sua presenza. Sta ad ogni singola persona ar- ricchirsi nella diversità costruendo la condivisione e la partecipazione piut- tosto che l’opposizione, il protagonismo, la competizione escludente.

La scuola, come ogni altro contesto educativo, nel cercare di consentire ai bambini la ricerca e l’espressione delle tante potenzialità, sviluppando le capacità cognitive, emotive, creative e comunicative, deve saper offrire un vasto repertorio di metodi di lavoro e di apprendimenti cooperativi ed indi- vidualizzati ed evitare ogni forma di separazione e competizione aggressiva nel gruppo classe. La scuola dell’inclusione mette come priorità la costru- zione di processi formativi di qualità capaci di coniugare i successi negli apprendimenti con la diffusione di una cultura dei diritti e della pace, del saper vivere insieme attraverso la reciproca conoscenza, la valorizzazione di tutti, la cooperazione e la partecipazione responsabile e decisionale del gruppo classe. A questo si aggiunge l’importanza di educare ad una visione ottimistica in grado di guardare al futuro con gli strumenti della criticità e della scelta.

Ogni persona può scegliere se orientarsi verso un’alternativa pessimista o ottimistica della vita22, la prima scelta può portare a situazioni di difficol-

tà, di passività e di progressiva scarsa autostima, a credere che le vicende della vita accadano per fatalità o per un destino sfavorevole e che non siano dipendenti dalla scelte personali. Orientarsi verso l’alternativa ottimistica, d’altra parte, dipende dalle qualità relazionali ed educative ricevute, muo- vendosi facendo forza sulle risorse personali perché possano essere rag- giunte le soluzioni sperate con risultati positivi. ‹‹Mediare la scelta ottimi- stica ad un bambino significa cercare quegli elementi positivi che daranno concretezza e validità a tale scelta. Un’alternativa negativa non richiede al- cun impegno . Riconoscere l’esistenza di un’alternativa ottimistica significa credere nella possibilità di risolvere i problemi, di superare gli ostacoli, di rimediare alle mancanze o di curare le malattie. [Essa incoraggia a] riesa- minare una situazione problematica trovando indizi che in precedenza pos- sono essere sfuggiti; andare in cerca di dati aggiuntivi; sviluppare nuove strategie; rintracciare esperienze che nel passato si sono dimostrate rilevan- ti; fare confronti tra alternative; mettere in atto un pensiero ipotetico e altri processi mentali che sviluppano il funzionamento cognitivo››23.

Se quindi l’inclusione, sostenuta dall’alternativa ottimistica, viene as- sunta come principio guida del lavoro educativo, deve essere attivato un cambiamento nella formazione dei sistemi, un cambiamento che sicuramen- te richiede sfide, perché richiede una variazione anche a livello sociale e culturale: è necessario cambiare anche la cultura della classe, della scuola, del territorio fino ad arrivare a livello ministeriale. Sono processi che ri- chiedono tempo, convinzione e solidarietà, ma che proprio per questo de- vono essere avviati anche nel piccolo delle esperienze quotidiane per co- struire competenze utili a superare diversi ostacoli come: gli atteggiamenti e valori esistenti che pongono forti resistenze al cambiamento che rende au- tonome le persone; la mancanza di comprensione verso ciò che viene ri- chiesto, verso i cambiamenti in atto, verso una visione più complessa dei problemi; la mancanza delle competenze necessarie per affrontare nuovi progetti che richiedono di superare modelli standardizzati di relazione edu- cativa; un’organizzazione che rende difficile condividere e trasformare prassi consolidate in nuove proposte d’inclusione educativa.