6. Lo “scontro” di civiltà: le due differenti prospettive di analisi, nazionale e comunitaria.
7.3. E’ differente la prospettiva di critica.
Considerato che il criterio di ricostruzione del fenomeno è completamente diverso in ambito nazionale (ove si cerca di ricostruire la nozione giuridica di “sovvenzione”) ed in ambito comunitario (ove si osservano gli effetti economici degli aiuti di Stato come identificativi degli stessi), e verificato che ciò determina una non perfetta coincidenza dei due fenomeni, i cui confini, come si è visto, in parte divergono, è evidente come anche la “prospettiva critica” dei medesimi fenomeni sia differente.
La prospettiva comunitaria è quasi elementare: l’art. 87 del Trattato CE sancisce il divieto di aiuti di Stato, e identifica sotto tale dizione tutti gli aiuti concessi da Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma, che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. Ne consegue che verranno ritenute
La Sovvenzione nel contesto nazionale e nel contesto europeo.
pregiudizievoli in ambito comunitario solo quelle misure erogate dallo Stato o comunque tramite risorse statali che abbiano carattere selettivo, che agiscano in un mercato aperto ed all’interno di tale mercato concorrenziale abbiano come obiettivo quello di arrecare un vantaggio all’impresa beneficiaria. La prospettiva nazionale, invece, è meno intuitiva ed immediata, anche perché non esiste alcun divieto nazionale di erogare aiuti, ma anzi l’attività di sovvenzionamento costituisce una prassi, che ha origini molto lontane nel tempo, e che viene largamente utilizzata. Le sovvenzioni, quindi, non vengono viste come un elemento negativo del Mercato, in ragione della loro capacità di alterare il normale funzionamento del mercato, ma, anzi, sono valutate positivamente, in quanto idonee a rimediare a situazioni di squilibrio economico e/o sociale ed a risolvere situazioni di crisi temporanee. In realtà, però, anche in ambito nazionale, agli effetti positivi degli aiuti possono accompagnarsi anche degli effetti negativi: la sovvenzione, infatti, altera il normale formarsi dei costi e rende redditizie imprese, che di per se stesse non lo sarebbero. Ne consegue che ove l’intervento dello Stato si limiti ad essere temporaneo ed occasionale e ponga rimedio semplicemente ad un momento di crisi non sussistono problemi, ove, invece, la sovvenzione erogata diventi parte integrante del bilancio delle imprese beneficiarie potranno aversi degli effetti contrari a quelli desiderati; può accadere, infatti, che nel momento in cui la sovvenzione venisse meno gli eccessivi costi di produzione creerebbero gravi difficoltà, tali da determinare la cessazione dell’attività. Se ciò dovesse accadere, la sovvenzione avrebbe fallito il suo scopo: essa sostanzialmente avrebbe consentito il sorgere di imprese non sufficientemente produttive.
La critica della dottrina nazionale è, pertanto,
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rivolta a questo tipo di sovvenzioni, idonee a creare una illogica dipendenza e che non siano coordinate con altri strumenti, quale potrebbe essere, ad esempio, la creazione di condizioni ambientali migliori e più adatte a permettere un regolare svolgersi della vita dell’impresa, insieme ai quali potrebbero rendere temporanea la situazione di crisi. Autorevole dottrina ha evidenziato come se non si provvede ad una azione coordinata la sovvenzione può rilevarsi un palliativo di povero significato economico, anzi dannoso: non solo non si creerebbe una nuova fonte di produzione per il paese, ma si finirebbe per distogliere capitali da impieghi più duraturi e di sicura redditività178.
178 Per comprendere appieno quale e quanto grave possa essere
una misura sbagliata, perché non idonea a produrre quello sviluppo dell’economia che ci si aspetterebbe, può essere utile riflettere sulla situazione attuale.
Ad oggi l’Italia ha una discrezionalità nella scelta assai limitata in primo luogo in ragione dei vincoli direttamente sanciti dalla Comunità europea (divieto di aiuti di Stato in primis), e dei vincoli che indirettamente derivano dall’appartenenza all’Unione europea e che consistono nei forti limiti di bilancio. Come evidenziato ampiamente, infatti, i vincoli al bilancio imposti dall’appartenenza all’Unione europea hanno un effetto che va ben oltre il settore finanziario, perché uno Stato come l’Italia, il cui debito supera ampiamente il 60% e l’indebitamento supera il 3% del PIL, non è libero nell’uso delle sue risorse, perché deve preoccuparsi in primo luogo di porre in essere delle scelte che gli permettano di rimanere nei valori prescritti di debito e può provvedere alle esigenze della economia solo con le poche risorse residue.
Se queste ridotte risorse anziché essere utilizzate in modo produttivo vengono sprecate si avrà un effetto a catena disastroso, i cui effetti sono decisamente più gravi del semplice “spreco”: ciò determinerà, infatti, una riduzione del PIL, anziché una sua crescita e, di conseguenza, i vincoli al bilancio dell’anno successivo saranno così ancora superiori, in quanto se il limite all’indebitamento è calcolato sul PIL ed è proporzionale ad esso, ove il PIL diminuisca, il limite si abbasserà proporzionalmente alla diminuzione del PIL, per cui verrà ugualmente superato, anche ove si fosse riusciti a diminuirne l’ammontare.
La Sovvenzione nel contesto nazionale e nel contesto europeo.
Mentre l’ordinamento comunitario critica quelle sovvenzioni che determinano un’alterazione del mercato concorrenziale, favorendo talune imprese rispetto ad altre, ma non si cura minimamente del fatto se una determinata erogazione sia per così dire “sana”, ovvero rivolta a risolvere temporanee situazioni di crisi produttiva o occupazione, o meno179, e ritiene,
pertanto, negativi quegli aiuti che producano effetti dannosi per l’equilibrio dell’intero mercato, l’ordinamento nazionale valuta le singole sovvenzioni in relazione a ciò che esse comportano in capo alla diretta beneficiaria. La dottrina nazionale, quindi, critica quella politica di incentivazione che rende possibile il sorgere e lo svolgersi di attività, le quali, in mancanza di aiuti particolari, non avrebbero questa possibilità e che consente il formarsi di redditi anormali, che senza la sovvenzione l’impresa incentivata di per se stessa non avrebbe potuto produrre.
Un effetto negativo grave della politica di
179 In realtà anche questa affermazione può trovare motivate
obiezioni: lo scopo principale della Comunità europea è lo sviluppo economico dell’intera Comunità, sviluppo che passa per il Mercato. La crescita della Comunità è alimentata dalla crescita degli Stati per cui non può essere del tutto corretto affermare che la Comunità non si preoccupi della “produttività” delle misure adottate dagli Stati, posto che non possono esserle indifferenti le scelte economiche, in quanto se determinano una “decelerazione
della crescita” (usando le parole di G. GUARINO, Eurosistema.
Analisi e prospettive, Milano, 2006, pg. 181) di un singolo Stato
comportano necessariamente anche un rallentamento dello sviluppo della Comunità, sulla quale determinano “un riflesso
negativo”. A ciò si aggiunga che in buona parte dei casi le misure
viste con sfavore dall’ordinamento nazionale perché non ritenute produttive di effetti economici positivi nel medio e lungo periodo coincidono con quelle proibite dall’ordinamento comunitario, che guarda con disprezzo e proibisce quelle misure che non servono a risolvere disuguaglianze ma solo ad aiutare imprese o produzioni predeterminate.
La Sovvenzione nel contesto nazionale e nel contesto europeo.
sovvenzione evidenziato dalla dottrina è il fatto che il destinatario di questo tipo di sovvenzioni, proprio perché le sovvenzioni permettono il formarsi di redditi anormali e rendono competitive imprese che altrimenti sarebbero del tutto fuori dal mercato, desidera e vuole che la concessione di aiuti continui nel tempo, e che non gli venga a mancare l’apporto finanziario, che in alcuni casi rappresenta il solo motivo che lo spinge a continuare l’attività intrapresa, poiché è solo l’esistenza di questo aiuto a renderla redditizia. Il beneficiario giunge, così, a ritenere che la cessazione della sovvenzione sia “un’effettiva ingiustizia”, e rappresenti un inadempimento dello Stato a suoi precisi obblighi, ed arriva anche ad affermare che esista un vero e proprio diritto a che la concessione di aiuti venga mantenuta ed estesa.
Questo aspetto negativo della politica di sovvenzionamento è particolarmente grave quando gli aiuti sono concessi all’iniziativa economica privata. In questo settore la sovvenzione è di per se stessa un fatto temporaneo, richiesto da situazioni particolari di crisi, per cui prolungarne nel tempo l’operatività significherebbe snaturarne il significato economico. Se ciò si verifica gli effetti ultimi possono essere addirittura opposti rispetto a quelli che si cercava di ottenere: la sovvenzione non rappresenta più un invito, una sollecitazione a superare le particolari difficoltà che hanno determinato lo Stato a concedere l’aiuto, ma diventa un elemento necessario della produzione, ed il beneficiario finisce per desiderare soltanto il mantenimento della sovvenzione, in quanto è questa che garantisce la redditività dell’impresa.
Chiaramente di fronte a sovvenzioni così strutturate il giudizio sarà lo stesso in ambito nazionale e comunitario, posto che da entrambi i punti di vista l’erogazione della sovvenzione verrà considerata dannosa per l’economia e per il
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funzionamento del mercato, ma il giudizio verrà fondato su differenti presupposti: l’alterazione del mercato comune, in ambito comunitario e l’effetto dannoso per l’economia determinato da uno strumento che dovrebbe, invece, avere efficacia incentivante, in ambito nazionale.
8. Le differenze di priorità, nazionali e