sono legati ad una serie di fattori, che cambiano caso per caso.
La disciplina comunitaria degli aiuti di Stato sancisce il divieto assoluto di concederli, divieto che viene, però, temperato da una serie di deroghe: alcune misure, pur rispondenti ai requisiti indicati dal Trattato CE, vengono ritenute non aiuti, ed altre, pur identificate come “aiuti di Stato”, vengono dichiarate compatibili. Appare interessante esaminare le ragioni di tali differenziazioni, così come capire il perché, nonostante il chiaro divieto, gli Stati continuino a concedere sovvenzioni ed ad attuare altre forme di incentivo dell’imprenditoria privata, motivazioni che vanno ricondotte prioritariamente alla pluralità di interessi che fanno capo alla disciplina sugli aiuti di stato, di cui si è detto in precedenza.
Ciascuno Stato, così come gli enti locali, ha interesse ad incrementare il livello occupazionale, ad evitare il fallimento delle imprese operanti nella area geografica di sua competenza, ed ad incrementare l’industrializzazione e lo sviluppo della propria zona, anche perché tali fattori di sviluppo possono determinare, di per se stessi, un incremento occupazionale ed economico generale nel lungo
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periodo. Queste sono, dunque, le ragioni principali che inducono i singoli Stati membri ad intervenire nel Mercato, “aiutando” le imprese che operano nel loro territorio; chiaramente la liceità dei fini perseguiti induce a ritenere alcune di queste misure, almeno agli occhi di chi le eroga, pienamente legittime. Ciò non toglie che il punto di vista della Comunità europea, così come quello delle imprese concorrenti con le imprese beneficiarie, è spesso differente, e, pertanto, l’aiuto che appare pienamente legittimo agli uni può essere considerato del tutto illegittimo dagli altri, e viceversa.
Le suddette osservazioni, che possono sembrare considerazioni banali e scontate se esaminate astrattamente, non sono poi tali ove vengano trasposte nelle fattispecie reali, ovvero ove si vadano ad esaminare le singole scelte compiute dagli Stati e/o dagli enti locali, ed il modo in cui esse vengono attuate.
Facendo un esempio pratico il discorso potrà apparire più chiaro. Si pensi all’emanazione di una legge nazionale (italiana) che sancisca delle misure a favore della creazione di impianti di risalita nelle sue Regioni e disciplini non completamente le modalità di attuazione nelle singole Regioni.
Esaminando tale normativa dal punto di vista dello Stato erogatore appaiono evidenti i benefici connessi, ed in ragione dei quali è stata compiuta siffatta scelta politica: innanzitutto, e direttamente, si ottiene uno sviluppo delle imprese che forniscono e gestiscono impianti di risalita nelle aree interessate, ad essi strettamente correlate sono, poi, tutte le attività collaterali alla prima, che, seppur non direttamente beneficiarie dell’aiuto, ne ricevono indirettamente vantaggio, posto che vedranno moltiplicarsi la domanda dei loro prodotti e/o servizi, in ragione dello sviluppo delle attività collegate. Il
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provvedimento di aiuto determina un’alterazione dell’offerta del prodotto incentivato, che aumenterà nel quantitativo e diminuirà quanto al prezzo, in ragione della riduzione del costo marginale del prodotto, e, contemporaneamente, sia pure in modo indiretto, si avrà una alterazione della domanda e dell’offerta dei prodotti connessi (ad esempio ad un aumento della offerta di “settimane bianche a buon prezzo” corrisponderà, infatti, un aumento della domanda di attrezzature sciistiche e di tutti i servizi correlati). A ciò si aggiunge uno sviluppo economico generale dell’area interessata, determinato dall’afflusso di persone e capitali, che è la conseguenza diretta della concessione dell’aiuto ed indiretta dello sviluppo delle attività e dell’incremento dell’occupazione: ricchezza che di per se stessa genera a sua volta consumo e nuova ricchezza e produce, quindi, uno sviluppo economico generale. La piena legittimità, ed anzi la necessarietà dell’aiuto stesso appare indiscutibile se si esamina tale atto dal punto di vista dello Stato erogatore, che è chiamato ad effettuare la scelta politica di concedere o meno la misura.
La stessa misura può (ed anzi deve) essere valutata anche da un differente punto di vista, quale potrebbe essere, ad esempio, quello delle imprese che sono direttamente o indirettamente concorrenti delle dirette beneficiarie32 dell’aiuto. Sono direttamente
concorrenti delle imprese beneficiarie tutte quelle imprese che svolgono la stessa attività economica ma in ambiti geografici differenti, ed alle quali, quindi, non si applica il beneficio di cui fruiscono le prime:
32 La precisazione di “dirette beneficiarie” dell’aiuto va riferita al
rilievo effettuato in precedenza secondo il quale non sono beneficiarie dell’aiuto esclusivamente le imprese che ricevono materialmente la sovvenzione, posto che traggono un indiretto beneficio dall’aiuto anche altre imprese, che svolgono servizi correlati a quelli delle dirette beneficiarie.
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nell’esempio di cui sopra potrebbero essere le imprese che gestiscono impianti di risalita al di fuori dello Stato membro erogante l’aiuto o in zone dello stesso che, però, risultano escluse dalla normativa in base alla quale tale misura risulta stanziata. Sono indirettamente concorrenti, invece, le imprese che gestiscono servizi simili e che verrebbero a subire nocumento dallo sviluppo di un settore diverso dal proprio, quali potrebbero essere quelle imprese che forniscono un servizio turistico differente ed alternativo a quello connesso agli impianti di risalita, che si troverebbero private di quella fascia di utenti, che è stata attirata in un altro settore (il settore degli impianti di risalita, per l’appunto), nella stessa o in una differente area geografica. A tali soggetti la misura di aiuto apparirà indubbiamente incompatibile con il Mercato e fortemente lesiva della loro posizione giuridico soggettiva e non riterranno certo che lo sviluppo occupazionale ed economico conseguente a tale erogazione possa costituirne motivazione sufficiente, idonea a giustificare una scelta politica siffatta, ma ne vedranno unicamente gli svantaggi.
Posizione analoga potrebbe avere la Comunità, che vedrebbe alterata la libera concorrenza dalle misure di intervento nel Mercato poste in essere con risorse statali in favore di alcuni soggetti appartenenti a certe zone specifiche dell’Unione europea. Parimenti, però, il punto di vista della Comunità, e con esso il giudizio della Commissione, potrebbe essere differente, se gli interventi attuati a seguito della normativa nazionale venissero valutati in un’ottica diversa: è stato chiarito in precedenza che il ruolo dello “Stato finanziatore”, se così si vuole definire uno Stato che predisponga ed attui delle misure economiche in favore di alcuni soggetti operanti nel mercato, per potersi dichiarare compatibile con la normativa europea, deve essere paragonabile a quello
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dell’investitore privato operante in economia di mercato, il che significa che lo Stato deve avere agito con modalità che sarebbero accettabili per un investitore privato, alle normali condizioni di un’economia di mercato. Lo Stato, in sostanza, deve assumere nei confronti dell’impresa beneficiaria un comportamento uguale ad un normale azionista o investitore che persegue un obiettivo economico a se stesso favorevole, quantomeno a lungo termine.
Applicando questo ragionamento all’ipotesi precedentemente elaborata, possiamo affermare che lo Stato è intervenuto nel Mercato per raggiungere un obiettivo di sviluppo economico e di incremento occupazionale, ovvero un intervento che certamente produce effetti vantaggiosi per la generalità dell’economia dell’area interessata e, di conseguenza, almeno nel lungo periodo, anche per l’investitore. Se la regola che deve essere applicata per valutare la compatibilità o meno degli aiuti è il criterio dell’investitore privato in economia, si finirebbe per negare che tutti quei provvedimenti che sono stati posti in essere, direttamente o indirettamente, dallo Stato, alle medesime condizioni in cui li avrebbe posti in essere anche un investitore privato, nella consapevolezza che avrebbero potuto rilevarsi vantaggiosi nel medio e/o lungo periodo, siano aiuti di Stato, posto che configurerebbero, invece, semplici interventi dello Stato nell’economia, di per sé non soggetti al divieto di cui all’articolo 87 del Trattato CE. Ne conseguirebbe che il semplice effetto “benefico” per l’economia generale e per lo Stato investitore determinato dall’erogazione della misura a favore di alcune imprese potrebbe portare a negarne l’identificabilità con gli “aiuti di Stato”; ciò renderebbe inapplicabile il divieto di cui all’articolo 87 del Trattato CE, e determinerebbe, quindi, che la misura erogata in favore della realizzazione a gestire degli impianti di
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risalita non potrebbe essere dichiarata incompatibile con il Mercato unico europeo, perché coerente con il criterio dell’ “investitore privato”.
La prospettiva potrebbe cambiare, e con essa muterebbero anche le valutazioni sui vari interventi dello Stato, ove gli stessi interventi venissero attuati con modalità differenti.
Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui la normativa nazionale relativa alle misure di aiuto agli impianti di risalita anziché sancire uno stanziamento direttamente a favore delle imprese operanti in una determinata area geografica, che forniscono e gestiscono gli impianti di risalita, avesse stanziato la medesima somma a favore dei Comuni operanti nelle aree interessate, affinché questi potessero porre in essere alcune opere di urbanizzazione, ovvero per realizzare quelle opere di urbanizzazione necessarie per la realizzazione degli impianti stessi: in tale modo l’obiettivo raggiunto sarebbe stato il medesimo, ovvero favorire le imprese che gestiscono gli impianti di risalita, e l’unica differenza avrebbe riguardato le modalità di agire. L’intervento dello Stato non avrebbe avuto per destinatari (diretti) le imprese che effettuano il servizio di risalita e che svolgono attività collegate, ma esse avrebbero comunque fruito del vantaggio indiretto: i Comuni, realizzando direttamente tutte quelle opere per così dire “secondarie”, finirebbero per ridurre i costi di gestione delle imprese, arrecando loro un vantaggio economico, determinato dal fatto che ove tale intervento non vi fosse stato le imprese avrebbero dovuto realizzare direttamente tali attività.
E’ indubbio che il risultato raggiunto è sempre il medesimo ma modificando le modalità di gestione e di attribuzione della misura (sovvenzione data ai Comuni anziché direttamente alle imprese) si può evitare che la misura in questione venga considerata “aiuto di Stato” e venga valutata come tale.
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Un provvedimento con le caratteristiche sopra descritte, pur raggiungendo la finalità desiderata, di sviluppo dell’economia locale, difficilmente potrebbe essere censurato dalla Commissione; difficilmente, infatti, quest’ultima avrebbe potuto rinvenire un carattere distorsivo degli scambi tra gli Stati membri in una misura del tipo di quella appena descritta. Parimenti tale misura avrebbe dato filo da torcere alle imprese concorrenti, che avrebbero dovuto dimostrare la selettività ed il carattere distorsivo di una misura che ha semplicemente lo scopo di fornire ai Comuni i mezzi economici necessari per effettuare opere di urbanizzazione, ed in generale di intervento, nelle aree di propria competenza.
In sostanza si può affermare che ove lo Stato agisca con modalità differenti dalle dirette erogazioni di sovvenzioni o dalla concessione di sgravi in favore di determinate imprese o produzioni (ad esempio agendo nella maniera suddetta) esso può riuscire ad intervenire nell’economia, aiutando delle zone o dei settori che ritiene meritevoli e promovendone lo sviluppo, senza incorrere nei divieti di stampo comunitario33.
33 A tale riguardo meritano attenzione alcune riflessioni svolte nel
corso, e per l’effetto, di una conversazione con il prof. Giuseppe Guarino, avvenuta nel dicembre 2006: verificato che gli Stati possono intervenire nell’economia solo nei limiti in cui il loro comportamento corrisponda a quello che un privato imprenditore adotterebbe nelle stesse condizioni e considerato che la Comunità, a sua volta, ammette, ed anzi approva, le attività rivolte a correggere i principali squilibri regionali, partecipa allo sviluppo delle Regioni in ritardo ed alla riconversione delle Regioni industriali in declino, si può affermare che gli Stati hanno ancora una possibilità di attuare le loro finalità di incentivazione dell’economia locale senza incorrere nel divieto di aiuti di Stato. E’ sufficiente che essi eroghino le loro sovvenzioni in modo tale da favorire i settori in cui operano le piccole imprese, le quali notoriamente sono più legate al territorio, e che, pertanto, con maggiore facilità saranno nazionali. Gli Stati potrebbero, quindi,
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Ne consegue che alla base della singola scelta politica - concedere o meno delle misure che favoriscano determinate imprese o aree geografiche e, soprattutto, decidere in quale forma effettuare gli stanziamenti a tal fine necessari - ci sono un insieme di fattori non tutti di immediata evidenza: se il potere politico viene usato in modo astuto, pur nella ridotta discrezionalità residua, e pur nel rispetto dei vincoli comunitari, gli Stati potranno comunque raggiungere le loro finalità di sviluppo, intervenendo nell’economia.
6. La discrezionalità della scelta politica e