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La dimensione della cooperazione agroalimentare nel 2011 (n cooperative)

Nel documento Rapporto sullo stato dell'agricoltura. 2013 (pagine 114-116)

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Grafico 3.1 La dimensione della cooperazione agroalimentare nel 2011 (n cooperative)

Fonte: elaborazioni INEA su dati Infocamere, Registro delle imprese.

Nell’ambito del complesso delle cooperative agroalimentari circa 5.900 aderiscono alle centrali di rappresentanza, associando poco più di 990 mila produttori e realizzando un fatturato che nel 2011 ha superato i 35 miliardi di euro12.

Come emerge dall’ultimo Rapporto 2013 dell’Osservatorio della cooperazione agroalimentare italiana, tra i comparti produttivi la zootecnia da carne vanta il maggior peso nell’ambito della cooperazione agroalimentare generando un fatturato di 9,3 miliardi di euro, corrispondente al 27% di quello complessivo. Questo è un comparto che si caratterizza per la presenza di un ridotto numero di imprese, le cui dimensioni sono, dunque, molto rilevanti. Seguono, per importanza economica, l’ortoflofrutticolo, che ha la maggior quota di occupati (30% del totale), e il lattiero-caseario, che, per la natura dei propri prodotti, mostra una più elevata intensità di capitale.

Tali risultati sono il frutto di un processo di sviluppo e consolidamento che ha interessato la cooperazione italiana, non riuscendo, però, a colmare gli ampi divari esistenti a livello territoriale. La realtà delle imprese cooperative è molto differenziata tra Nord e Sud e presenta un profilo delle caratteristiche strutturali ed economiche che si traduce in uno sviluppo dicotomico. Nelle regioni settentrionali sono presenti imprese cooperative che, sulla base dei dati dell’Osservatorio sulla cooperazione agroalimentare, costituiscono il 42% del totale nazionale realizzando oltre l’80% del fatturato complessivo; viceversa, al Sud le cooperative, pur rappresentando anch’esse il 43%, ne generano soltanto il 12%.

La cooperazione agroalimentare nel Nord Italia, e più specificatamente nel Nord-est, è una realtà produttiva che, per motivi storici e culturali, è ben radicata sul territorio e con una decisa natura mutualistica, testimoniata dai conferimenti dei soci che costituiscono

12 Osservatorio della cooperazione agricola italiana, La dimensione economica della cooperazione agroalimentare in

Italia nel 2011, (Rapporto 2013), Roma, luglio 2013.

0 2.000 4.000 6.000 8.000 10.000 12.000

Nord Centro Sud-Isole Italia

Commercio all’ingrosso Industria alimentare Agricoltura

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oltre l’80% degli approvvigionamenti delle cooperative. Queste, grazie a strategie di rafforzamento e rinnovamento, hanno intrapreso un percorso di crescita delle proprie dimensioni sociali ed economiche, necessario per acquisire condizioni di efficienza, essenziali per poter competere adeguatamente sui mercati nazionali e internazionali e consolidare le proprie quote di mercato. La cooperazione al Sud si caratterizza, invece, per la presenza di imprese di ben più piccole dimensioni, prevalentemente rivolte al mercato interno e, dunque, con uno scarso orientamento all’export.

La cooperazione agroalimentare italiana presenta, dunque, una struttura polarizzata che contraddistingue, in diversa misura, tutti i comparti produttivi: accanto a cooperative di trasformazione e/o di commercializzazione di grandi dimensioni e prevalentemente orientate al mercato, si collocano numerose strutture di piccole dimensioni che si caratterizzano per una molteplicità di funzioni, perlopiù legate a un ambito locale (mantenere un presidio del territorio e fornire servizi, privilegiare i mercati locali per la commercializzazione dei prodotti) o ad attività di conferimento (materia prima o prodotti semilavorati/lavorati) a grandi strutture cooperative, con le quali sono entrate in rete (cfr. Osservatorio della cooperazione agroalimentare italiana, 2013). In altri termini, nel sistema coesistono due tipologie di imprese cooperative che offrono risposte diverse a esigenze specifiche espresse dal tessuto produttivo e dal territorio, oltre che dal mercato. Ad esse andrebbero probabilmente rivolti interventi differenziati che tengano conto dei diversi assetti strutturali e organizzativi, nonché delle specificità dei comparti produttivi.

Le organizzazioni di produttori – Non altrettanto rilevante è il peso sinora ricoperto

dalle organizzazioni di produttori (OP) nell’agricoltura italiana. Ciò, nonostante a questo strumento venga riconosciuto un ruolo importante nel consolidare la posizione dei produttori agricoli sul mercato. E ciò, d’altro canto, nonostante l’attuale indirizzo strategico per la PAC post 2013 sia volto proprio a favorire lo sviluppo delle OP in tutti i comparti produttivi.

I risultati del percorso sinora intrapreso dalle OP non ortofrutticole in Italia, avviato sulla base dei decreti legislativi 228/2001 e 102/2005, indicano un tasso di crescita molto contenuto e un diverso coinvolgimento dei comparti e dei territori.

Al 31 dicembre 2012 risultano iscritte, all’apposito albo istituito presso il MiPAAF, 156 OP non ortofrutticole, alle quali aderiscono circa 269 mila produttori agricoli per un valore della produzione commercializzata (VPC) pari a 1,7 miliardi di euro e corrispondente ad almeno il 4,5% del valore complessivo della produzione agricola italiana (ortofrutta esclusa)13. Più dei due terzi delle OP si concentrano in quattro comparti (olivicolo, lattiero- caseario, tabacchicolo e pataticolo), raggruppando l’84% dei produttori associati (solo l’olivicolo ne concentra il 77%) e realizzando il 62% del VPC totale (solo il lattiero-caseario ne realizza il 44%). Alle OP attive nei diversi comparti produttivi, se ne aggiungono altre 41 alle quali è stato revocato, nel corso degli anni, il riconoscimento. A questo proposito, è interessante osservare il raffronto fra l’andamento dei riconoscimenti e quello delle revoche, come illustrato nel grafico 2. Ciò consente di rilevare che:

- i riconoscimenti delle OP si concentrano nel quinquennio 2006-2010;

- le revoche dei riconoscimenti segnano un’accelerazione negli ultimi quattro anni;

13 Si tratta di una quota minima e non di quella effettivamente realizzata dalla produzione organizzata, giacché i dati sul VPC sono incompleti.

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- nel 2012 si è verificato, per la prima volta, un saldo negativo tra riconoscimenti e revoche.

L’aumento dei riconoscimenti, che ha riguardato soprattutto il comparto olivicolo e il tabacchicolo, è per la gran parte legato alla possibilità di accedere a forme di sostegno specifiche, subordinate all’adesione a OP, che hanno origine nella politica comunitaria.

Nel caso delle revoche, ancora una volta, sono i comparti olivicolo e tabacchicolo ad averne registrato il maggior numero (rispettivamente, 12 e 5). In particolare, per l’olivicolo ben 7 revoche si sono concentrate soltanto nell’ultimo anno, interessando le OP in Calabria (6) e in Puglia (1). Ciò è il risultato, da un lato, di un aumento dei controlli effettuati per la verifica dei requisiti delle OP e, dall’altro, di un problema strutturale delle stesse OP olivicole le cui aziende aderenti hanno piccole dimensioni e mantengono elevati livelli di autoconsumo, destinando solo una quota minima della propria produzione al conferimento all’OP. Questa situazione ha portato al venir meno dei requisiti minimi richiesti per il riconoscimento delle organizzazioni di produttori olivicoli soprattutto calabresi.

Nel documento Rapporto sullo stato dell'agricoltura. 2013 (pagine 114-116)

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