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LA DINAMICA DELLA PRODUTTIVITA’

PARTE II – LE PERFORMANCE Capitolo 6 ANALISI SULLE DINAMICHE

Capitolo 7. ANALISI DELLA PRODUTTIVITA’ E DELLA REDDITIVITA’

7.4 LA DINAMICA DELLA PRODUTTIVITA’

La superiorità del modello della media impresa che fin qui traspare dall’analisi delle dinamiche relative agli aggregati, non è altrettanto evidente per quanto riguarda i livelli di produttività per addetto. Questo si verifica nonostante negli ultimi anni ci siano stati importanti incrementi nel livello delle immobilizzazioni materiali con l’introduzione di innovazioni di processo. Nel periodo tra il 1996 e il 2005 il grado di produttività ha segnato un incremento contenuto, con una percentuale pari al 3%201.

198 Gagliardi C., Le medie imprese: il made in Italy che guida la ripresa, Centro Studi Unioncamere, Milano, 11 marzo 2010, in www.mbres.it.

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Mauriello D., Qualificazione ed allungamento delle filiere produttive guidate dalle medie imprese: gli effetti sulle performance in tempo di crisi, Centro Studi Unioncamere, Milano 13 aprile 2012, in www.mbres.it. 200 Gagliardi C., Le medie imprese: percorsi di crescita e prospettive nella crisi, Centro Studi Unioncamere, Bergamo 23 aprile 2009, in www.mbres.it.

201 Indagine Mediobanca – Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane 1996-2005, Milano febbraio 2008, in www.mbres.it.

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La stessa indagine, realizzata in un periodo più recente (2000-2009), restituisce una variazione negativa del valore della produzione per addetto, stimabile in un -2,8%202. La tendenza negativa che ha coinvolto la maggior parte dei comparti, non è riscontrabile in quei settori che presentano caratteristiche anticicliche ovvero il settore alimentare o il chimico e farmaceutico. Un’eccezione è rappresentata dal comparto della meccanica che presenta una dinamica positiva per tutto il periodo compreso dall’analisi.

Di contro, la grande dimensione presenta un andamento della produttività altalenante: nel periodo tra il 1999-2008 l’incremento fatto segnare è pari al 11,5%, ma se tale indagine viene estesa anche al 2009 si verifica un calo della produttività di circa 3,6 punti percentuali203. Queste profonde divergenze tra le due categorie di impresa possono essere riconducibili al diverso indirizzo delle politiche attuate da queste realtà. Nel periodo sottoposto ad analisi, la media impresa ha sviluppato la propria base produttiva (come descritto in precedenza, forti incrementi hanno caratterizzato il valore aggiunto ed il numero di occupati) mentre le maggiori imprese manifatturiere hanno attuato politiche di ridimensionamento per raggiungere l’efficienza produttiva. Naturalmente, l’acutizzarsi della crisi economica ha costretto la media dimensione a misurarsi con gli eccessi nella capacità produttiva. Un ulteriore fattore che ha influenzato in maniera negativa il livello di produttività è riconducibile alle politiche di prodotto, quest’ultime attuate per sfruttare al meglio le

economie di specializzazione a scapito di quelle di scala. L’applicazione di tali politiche può comportare una riduzione drastica nel livello di prodotto per addetto204.

Nel periodo tra il 1999 ed il 2008, il valore della produzione per occupato relativa alla media impresa, per effetto degli incrementi avuti nei livelli di produttività e nei prezzi, ha superato quello ottenuto dalle principali società manifatturiere (+9,6% contro +8,6%). Nonostante ciò si verifica una forte riduzione (superiore ai 17 punti percentuali) nei margini dovuta

essenzialmente all’incremento nel costo unitario del lavoro (+26,8%)205.

Ampliando lo studio sul valore aggiunto per addetto ad un insieme di imprese europee è possibile osservare come il distacco tra quelle italiane e tedesche (prese come benchmark in quanto maggiormente efficienti) sia contenuto; alla luce anche del forte divario presente fra le

202Indagine Mediobanca – Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane 2000-2009, Milano aprile 2012, in www.mbres.it.

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Indagine Mediobanca – Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane 2000-2009, Milano aprile 2012, in www.mbres.it.

204 Coltorti F., “Investire nella crisi”, Impresa e Stato, 86 (06/09), Milano 2009, in www.mi.camcom.it. 205 Indagine Mediobanca – Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane 1996-2005, Milano febbraio 2008.

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aziende spagnole e quelle teutoniche. Inoltre dalla divisione per classi di addetti (50-99, 100- 249, 250-499 addetti) emerge come le medie imprese siano caratterizzate da una forte concentrazione di valore aggiunto per dipendente nelle classi inferiori. Questo rivela una maggiore efficienza nell’uso della forza lavoro da parte di quelle aziende che presentano un minor numero di lavoratori (50-99 dipendenti).

Tale propensione è riscontrabile anche nel rapporto fra il margine operativo netto (Mon) ed il valore aggiunto, con una tendenza che prevede una diminuzione della percentuale nelle classi di addetti superiori. Questo indicatore fornisce informazioni sulla ricchezza residua dopo la retribuzione del fattore lavoro: si delinea una situazione che descrive una maggiore incidenza della manodopera all’interno del processo produttivo nelle aziende tedesche, seguono quelle italiane e spagnole con un ridotto costo del lavoro.

Dallo studio congiunto di questi due indici è possibile giungere alla conclusione che la produzione di valore aggiunto in proporzione al numero di occupati sia maggiormente

significativo per le imprese tedesche, ma che l’elevato costo del fattore lavoro contribuisca in parte ad assorbirlo.

Inoltre è possibile notare una maggiore uniformità interna alle varie classi di addetti per quanto riguarda le medie imprese italiane, con una distribuzione maggiormente omogenea tra le varie categorie (soprattutto fra quella 100-249, 250-499 addetti)206.

Analizzando i dati relativi al biennio 2008-2009 si ha la conferma di come l’economia italiana stia attraversando una fase discendente all’interno del ciclo economico: i livelli di produttività del lavoro subiscono una flessione che risulta essere ancora più evidente (nell’ultimo anno si verifica la riduzione più marcata, superiore agli 11 punti percentuali). In questo biennio, la variazione dei prezzi alla produzione si è mantenuta su livelli positivi mentre quella relativa al valore della produzione per dipendente presenta una flessione del 3% nel primo anno e del 10,8% nel secondo. Nonostante questo periodo sia caratterizzato da una forte tendenza che prevede una minimizzazione nell’utilizzo del lavoro straordinario ed un ricorso maggiore alla cassa integrazione, questa riduzione nel costo del lavoro (-2,7%) non ha permesso di

recuperare totalmente la flessione accorsa al valore della produzione per dipendente. Il computo finale del biennio restituisce una perdita del livello di competitività che può essere stimata in una flessione del 13% nei margini (5 punti nel 2008 e 8 punti nel 2009)207.

206Coltorti F., Le medie imprese industriali italiane, Ufficio Studi Mediobanca, Milano, 11 marzo 2010, in www.mbres.it.

207

Indagine Mediobanca – Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane 2000-2009, Milano aprile 2012, in www.mbres.it.

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Le rigidità che caratterizzano il mercato del lavoro italiano si ripercuotono sui costi che le imprese devono affrontare per impegnare questo fattore. Ciò risulta essere valido per tutte le categorie d’impresa; a divergere è la composizione della domanda di lavoro che

indirettamente da conferma dell’importanza del ruolo della media impresa all’interno del sistema economico. Le imprese che appartengono a classi dimensionali inferiori presentano una domanda di lavoro caratterizzata dal fabbisogno di professioni legate strettamente alla fase produttiva e al terziario implicito (ruoli inerenti a funzioni amministrative, di gestione e relative alle operazioni di vendita); funzioni che le categorie superiori affidano all’esterno. La domanda di lavoro delle medie imprese, invece, manifesta una crescita nella ricerca di

professioni tecniche ed intellettuali (le cosiddette “high skill”) indirizzate al governo e alla progettazione dei processi di produzione e di vendita. Questo aspetto è confermato dai dati che mostrano un aumento nella percentuale di impiegati in rapporto al totale della forza lavoro, a scapito della componente operaia che nonostante la flessione mantiene un ruolo centrale anche all’interno delle imprese di più grandi dimensioni (la variazione percentuale degli impiegati e dei dirigenti, nel periodo 2000-2009, è superiore al 4%)208.

È quindi possibile far risalire la rigidità inerente ai costi del lavoro (la medie imprese mostrano comunque un livello più contenuto di rigidità rispetto alle grandi società)

all’attuazione di politiche indirizzate alla ristrutturazione dell’assetto produttivo. Divengono fondamentali le figure professionali con qualifiche specifiche che questa realtà cerca di mantenere al suo interno nonostante le fasi congiunturali negative.

Le analisi fin qui condotte restituiscono una dinamica della produttività del lavoro

caratterizzata, soprattutto negli ultimi anni, da un forte rallentamento. Per comprendere al meglio se tale tendenza ha compromesso i livelli di competitività della media impresa risulta utile costruire un ulteriore indicatore: il costo del lavoro per unità di prodotto (Clup). Questo indice è costruito dal rapporto tra il valore aggiunto per addetto (che restituisce la quota riconducibile a ciascun lavoratore) ed il costo medio di ciascun lavoratore (entrambi gli indici riportano l’efficienza dell’impresa nell’uso della forza lavoro). Le medie imprese mostrano un andamento per questo indice decrescente (passa dal 75% del 2003 al 74,5% del 2005, per finire con un flessione superiore che conduce l’indice ad attestarsi su un valore pari al 72,3% nel 2006). Per quanto riguarda invece il Clup relativo alla dimensione maggiore, nonostante presenti una tendenza migliore rispetto a quello della media dimensione, i valori percentuali

208Gagliardi C., “Fattori competitivi e perfomance delle medie imprese industriali”, in D. Marini (a cura di), Fuori dalla media: Percorsi di sviluppo delle imprese di successo, Marsilio, Venezia 2008, pag. 52.

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sono superiori rispetto quelli riferiti alla categoria inferiore. È possibile imputare

all’attuazione di riorganizzazioni produttive e alla conseguente riduzione nel numero degli occupati il maggior grado di flessione che caratterizza il Clup della grande impresa.

Allargando l’orizzonte dell’indagine a livello europeo è possibile confermare le conclusioni elencate in precedenza: la maggiore incidenza del costo del lavoro all’interno delle imprese tedesche le rende meno competitive rispetto a quelle spagnole ed italiane (il distacco è di quasi 6 punti percentuali)209.