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IL RIPOSIZIONAMENTO PRODUTTIVO E COMMERCIALE

Capitolo 4. POLITICHE E FATTORI COMPETITIVI DELLA MEDIA IMPRESA

4.1 IL RIPOSIZIONAMENTO PRODUTTIVO E COMMERCIALE

Come accennato in precedenza il distretto industriale ha permesso all’industria italiana di mantenere una certa posizione competitiva a livello internazionale, nonostante la forte vulnerabilità ciclica e il diffuso e crescente divario tecnologico che la caratterizza. In anni recenti però sono venute meno le condizioni favorevoli che avevano permesso alle aree distrettuali di incrementare le proprie performance, rispetto al resto del tessuto industriale italiano. Le produzioni distrettuali, specializzate nei comparti tradizionali, sono soggette ad un incremento della pressione competitiva derivante soprattutto dalle produzione dei paesi

emergenti. Il mutato contesto competitivo ha messo in discussione l’intero modello

distrettuale, minandone i principali fondamenti: l’insieme diffuso di conoscenze tecniche che hanno permesso la propagazione del sapere tecnologico; la flessibilità assicurata dalla

divisione del lavoro per fasi tra imprese specializzate; ed infine l’alta coesione sociale78. Con il venire meno di questi elementi che sopperivano ad alcune lacune proprie dell’industria italiana riemergono le difficoltà competitive connesse al modello di specializzazione

internazionale, ma soprattutto alla specificità strutturale che caratterizza il sistema produttivo italiano, costituito da imprese di medie e piccole dimensioni.

La nuova natura del contesto competitivo ha riversato i propri effetti negativi sul modello della piccola impresa, soprattutto la parte specializzata nei settori tradizionali del made in

Italy dove si concentrano i distretti industriali. Questa categoria di imprese ha risentito più di

tutti del rallentamento della domanda sia nel mercato europeo che in quello statunitense (dovuto alla svalutazione del dollaro). Le cause sono riconducibili ad un basso livello organizzativo e distributivo nonché ad una scarsa diversificazione, quest’ultima prodotta dall’impossibilità di raggiungere con successo i mercati di sbocco più lontani e meno “esplorati” che sono però i più dinamici.

Negli ultimi anni l’intera industria italiana ha dovuto affrontare l’apertura di due fronti competitivi: da una parte i paesi avanzati che intaccano le quote di mercato dei beni di alta gamma; dall’altra i paesi emergenti nella fascia di prodotto medio-bassa. Tutto questo ha reso necessario un riposizionamento produttivo e commerciale soprattutto verso quei mercati in

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Foresti G., Guelpa F., Trenti S., “Struttura settoriale e dimensionale dell’industria italiana: effetti

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forte crescita: i cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) ed i paesi dell’Europa centro orientale79.

La diversificazione dei mercati di sbocco richiede politiche di delocalizzazione e di

spostamento all’estero di una parte della rete di fornitura. La conseguente collocazione nei nuovi paesi di unità produttive e network distributivi mira a soddisfare completamente la domanda interna e nel caso anche quella dei paesi vicini. Quindi per poter soddisfare in maniera efficiente la domanda proveniente dai mercati emergenti diviene necessario attuare delle politiche di rafforzamento patrimoniale, tecnologico ed organizzativo.

Dai dati sulle esportazioni italiane emerge una tendenza che va a confermare la diffusione di tale politica. Nell’intervallo di tempo fra il 1996 ed il 2005 è aumentato sensibilmente il numero di imprese che esportano i propri prodotti in più di 40 mercati (la percentuale è passata dal 36% del 1996 al 45% del 2005)80. La natura indipendente dei cicli economici nei vari mercati (rispetto al passato) permette alle imprese di poter esportare i propri prodotti ricollocandoli se necessario senza subire gli effetti negativi di una congiuntura. Ricopre quindi funzione strategica la politica di diversificazione dei mercati di sbocco: questa

permette alle imprese esportatrici di essere presente in un maggior numero di mercati e di non subire quindi gli effetti negativi derivanti dalla dipendenza da singoli mercati oppure da mercati collegati che presentano dinamiche analoghe.

Il ricorso a questa politica da parte della media impresa è divenuto più frequente negli ultimi anni, interrompendo di fatto il forte legame che si era andato a costituire in precedenza con i mercati cosiddetti “di prossimità”. Da analisi effettuate sull’intero universo di queste imprese si vede come prima il 74,5% svolgesse la propria attività esportativa all’interno dei confini dell’Ue a 25 membri. Negli anni la capacità esportativa di queste aziende si è evoluta; si è implementata la percentuale delle imprese che svolgono la loro attività sia in mercati europei che in quelli extraeuropei; passando dal 46% del 2008, all’88% nel 2010. Ma il dato più significativo riguarda le imprese che operano solo all’interno dei confini dell’Ue (a 27

membri): la percentuale subisce una forte riduzione, passando dal contare per più del 30% nel 2008 ad un 3% nel 2010. Queste due tendenze di segno contrapposto sottolineano la forte propensione della media dimensione verso l’attuazione di politiche di diversificazione dei

79 Rispettivamente 6,5% e 16,6% sul totale delle esportazioni italiane. I dati si riferiscono ad elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati ISTAT del 2006.

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Foresti G., Guelpa F., Trenti S., “Competitività, produttività e crescita dimensionale delle imprese”, in A. Arrighetti e A. Ninni (a cura di), Dimensione e crescita nell’industria manifatturiere italiana, Franco Angeli, Milano 2008, pag. 167.

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mercati di sbocco81. Inoltre si può constatare come perdano di rilevanza, all’interno del totale delle esportazioni di queste aziende, i mercati definiti ricchi come quello statunitense,

giapponese ed australiano (che insieme coprono meno del 26%), scalzati da mercati emergenti come quello della Russia e dell’Est Europa (10%), dell’area che comprende Brasile-India- Cina (11%) e quella dei paesi della sponda meridionale del Mediterraneo compresi i paesi arabi (7%)82.

In conclusione si può affermare come l’insieme di Pmi abbia rappresentato nel passato recente l’asse portante dell’economia italiana, partecipando attivamente alla penetrazione dei mercati esteri. Ma la recente evoluzione avvenuta nel contesto competitivo ha richiesto un incremento degli investimenti, soprattutto a valle del processo produttivo, al fine di garantire adeguati livelli di penetrazione dei mercati internazionali. Questo ha recluso le imprese di piccole dimensioni ad un ruolo marginale. Di fatto le peculiarità strutturali che caratterizzano il sistema produttivo nazionale hanno sempre condizionato e continuano a condizionare il modello di specializzazione internazionale.

Anche per quanto riguarda la destinazione delle esportazioni è possibile riscontrare una corrispondenza con la tipologia delle produzioni sviluppate e con le fasce di merito servite. Questo significa che lo spostamento del flusso delle esportazioni, dai paesi più avanzati ai mercati emergenti, è legato in parte alla crisi economica che ha colpito i primi, ma la causa principale è riconducibile alla forte crescita interna delle economie dei paesi emergenti, che ha contribuito all’evoluzione della struttura della domanda.

È importante sottolineare come la componente estera della domanda aggregata in periodi recenti abbia ricoperto un ruolo fondamentale per la crescita dell’interno sistema produttivo. Per comprendere al meglio quale sia l’incidenza dell’export sulle performance aziendali risulta utile citare alcuni studi che hanno analizzato, a livello microeconomico, i dati di

bilancio di alcune aziende, isolando al contempo le differenze fra imprese esportatrici e le non esportatrici.

Il primo fattore determinante si riscontra a livello dimensionale: le imprese con una ridotta capacità nell’export presentano una struttura con meno di 50 addetti, di contro la media dimensione è caratterizzata da un numero maggiore di esportatori abituali e non occasionali.

81 Mauriello D., Medie imprese ed economie delle filiere: le strategie per guidare la ripresa, Centro Studi Unioncamere, Roma 20 aprile 2011, in www.mbres.it.

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Mauriello D., Qualificazione e allungamento delle filiere produttive guidate dalle medie imprese, gli effetti sulle performance in tempo di crisi, Centro Studi Unioncamere, Milano 13 aprile 2012, in www.mbres.it.

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Va ricordato come l’andamento crescente del livello di importazioni negli ultimi anni abbia reso necessario un aumento continuativo nel numero di imprese export-oriented, oltre ad un incremento nel volume di esportazioni a livello di singolo operatore. Ciò è necessario per accrescere le probabilità di un contributo positivo da parte della componente estera sul livello del Pil.

In conclusione da questo studio è possibile riscontrare in un gran numero di casi una forte correlazione tra il volume del fatturato derivante dalla propensione all’export e la dimensione aziendale. Ma queste due variabili non sono però corrispondenti, in quanto una scarsa

propensione verso le esportazioni può essere riscontrata anche a livello di grande impresa e può derivare da determinate caratteristiche sia strutturali che legate al prodotto/settore83. Un’evoluzione di questo studio ha permesso di individuare un’ulteriore peculiarità strutturale che va ad influenzare il posizionamento competitivo dell’Italia all’interno del contesto internazionale. Il grado di diversificazione sui mercati internazionali (diversificazione geografica) è correlato alla dimensione media dell’impresa: maggiori sono le dimensioni aziendali e maggiore è il numero dei mercati di sbocco in cui viene esportato il prodotto. Alla luce di questo studio è possibile porre in relazione la perdita di competitività che ha

caratterizzato l’industria italiana con il basso grado di diversificazione sui mercati internazionali da parte delle imprese minori. Questa è conseguenza diretta di una scarsa capacità di adattarsi ai mutamenti che caratterizzano il commercio internazionale attraverso la scelta di nuovi sbocchi commerciali. Tale tesi viene confermata dalle scarse performance a livello di esportazioni fatte registrare dalle piccole imprese, nel periodo 2001-2004, sia sui mercati dell’Ue che sui mercati extra-Ue84.