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TASSO DI REDDITIVITA’ DEL CAPITALE INVESTITO

PARTE II – LE PERFORMANCE Capitolo 6 ANALISI SULLE DINAMICHE

Capitolo 7. ANALISI DELLA PRODUTTIVITA’ E DELLA REDDITIVITA’

7.5 TASSO DI REDDITIVITA’ DEL CAPITALE INVESTITO

Un ulteriore passo per valutare la maggiore efficienza di questo modello può essere compiuto attraverso l’analisi della dinamica riferita alla redditività operativa.

Quest’ultima è il risultato del rapporto fra il margine operativo lordo e il capitale investito che misura il rendimento della gestione tipica dell’impresa (Roi)210.

I margini operativi delle medie imprese appaiono comparabili a quelli delle aziende medio- grandi, mentre sono nettamente superiori a quelli fatti registrare dai maggiori gruppi italiani. Nel periodo 2000-2009 l’andamento che caratterizza i margini operativi presenta alcuni tratti di discontinuità: se infatti fino al 2003 tali margini subiscono un regresso ciò non vale nel periodo successivo, in cui c’è una leggera crescita fino al 2007 (con un ritorno ai valori del 2000), anno in cui la crisi riconduce i margini ad una fase di regresso.

Ed è proprio la maggiore consistenza dei margini industriali211, insieme agli elevati tassi di rotazione del capitale212, che ha permesso alle società di medie dimensioni, negli ultimi anni, di ottenere ottime performance nel rendimento del capitale investito. L’indicatore di sintesi della redditività operativa (Roi) relativo a queste imprese ha puntualmente registrato un andamento caratterizzato da valori superiori rispetto a quelli fatti segnare dalla grande impresa.

209 Coltorti F., Le medie imprese industriali italiane, Ufficio Studi Mediobanca, Milano 11 marzo 2010, in www.mbres.it.

210 Il Roi viene calcolato come il rapporto tra il margine operativo netto, cioè il risultato della gestione

caratteristica ed il capitale investito netto operativo, ossia gli impieghi caratteristici al netto degli ammortamenti e degli accantonamenti.

211 Il Grafico 9 mostra le curve del Mon in rapporto al valore aggiunto relative alle due classi dimensionali; l’andamento riferito alla media impresa oltre ad essere superiore a quello dei maggiori gruppi e anche sempre positivo.

212 il rapporto tra valore aggiunto e capitale investito mostra come le medie imprese abbiano una produttività del capitale costantemente superiore ai 10 punti rispetto alla grande impresa.

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L’esame effettuato sulla tendenza del Roi restituisce un andamento che oscilla tra il 12,7%, valore massimo fatto segnare nel 2000, fino al 6,7% valore più basso registrato nel 2009 (dati in termini nominali). La grande dimensione grazie al forte incremento del fatturato e del valore aggiunto, nel 2007, presentava il miglior rendimento pari al 12,8% (contro il 10,4% delle medie e il 12,1% delle medio-grandi), mentre nel 2009 tale rendimento si riduce di quasi un terzo (4,6%)213.

I maggiori gruppi, comunque, recuperano parte del ritardo accumulato sui margini industriali attraverso la componente finanziaria, che però non può nulla per quanto riguarda i bassi tassi di rotazione del capitale.

Relativamente all’indicatore di sintesi della redditività del patrimonio netto (Roe)214 nel periodo 2000-2009 viene registrata una marcata flessione, passando dal 15,3% al 3,2%. Questo quoziente indica come la redditività globale delle medie imprese sia calata

drasticamente: il dato del 2009 è inferiore (prima volta dal 1996) al rendimento dei titoli di stato a media lunga scadenza (3,5%)215. Ma complessivamente la media del periodo 2000- 2009, calcolata su base omogenea, restituisce un differenziale superiore ai 4 punti percentuali, confermando la bontà dell’investimento in questa categoria di imprese.

Anche per il Roe si ripete la dinamica che caratterizza il Roi: i valori maggiori vengono attribuiti alle imprese medio-grandi con le medie che seguono, mentre i maggiori gruppi registrano valori nettamente inferiori. Il divario di consistenza tra i due indici è determinato dalla maggiore pressione fiscale che influisce sul Roe ma non sul Roi. Infatti, il peso della tassazione è stato massimo per le imprese di media dimensione: l’aliquota media a cui sono state soggette, negli ultimi anni, ha oscillato tra un massimale del 39,9% registrato nel 2007, ad un minimo del 34,6% nel 2010. La categoria che beneficia di un’aliquota minore è quella a cui appartengono i maggiori gruppi industriali (i differenziali, nel 2010, penalizzano le medie imprese per più di 12 punti percentuali rispetto alla grande impresa e di quasi 6 punti per quanto riguarda la medio-grande), anche se tale tendenza sembra attenuarsi rispetto al passato con dei differenziali maggiormente contenuti (6,8% rispetto alla maggiore dimensione e 5,5% sulla medio-grande impresa)216.

213 Coltorti F., Quarto Capitalismo, Fondazione Ugo La Malfa, 30 settembre 2010, in www.fulm.org. 214 Il Roe viene calcolato come il rapporto fra il reddito netto ed il capitale proprio.

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Il Roe per essere considerato soddisfacente deve superare di almeno 3 o 4 punti percentuali il rendimento degli investimenti a basso rischio, questo è definito premio al rischio.

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Il maggior carico fiscale deriva essenzialmente dalla maggior incidenza dell’Irap (Imposta Regionale sull’Attività Produttiva)217. Questa grava sul risultato prima delle imposte per una percentuale uguale all’11% se ci riferiamo alle medie imprese, mentre è solo del 7% nel caso della grande impresa218. La ragione di tale difformità è riconducibile alla natura dell’imposta che risulta disomogenea tra le imprese che presentano una struttura di costo dissimile. Infatti nel caso di queste imprese è superiore la quota di valore aggiunto che viene assorbita dal costo del lavoro rispetto ai maggiori gruppi219. Stime condotte sui dati di bilancio di queste aziende concordano nell’affermare che l’estromissione del costo del lavoro dalla base dell’Irap produrrebbe una diminuzione del tax rate di 6 punti percentuali.

Questi elevati livelli di imposizione fiscale distruggono buona parte della ricchezza prodotta da questa realtà produttiva, sottolineando al tempo stesso la capacità di queste imprese nel generarla, soprattutto attraverso la gestione caratteristica. Per confermare tale affermazione risulta necessario comparare l’andamento dell’attività caratteristica, durante la congiuntura economica, per categoria dimensionale. La crisi ha colpito trasversalmente le società

industriali: margini operativi negativi sono stati fatti registrare dalla imprese appartenenti ai maggiori gruppi; mentre quelle appartenenti alla categoria intermedia hanno subito forti decrementi (anche del 40% nel 2010), mantenendosi in ogni modo a livelli positivi220. Le flessioni, che hanno contraddistinto l’andamento dei margini operativi nel periodo tra il 2009 ed il 2011, hanno contribuito in maniera preminente alla riduzione del rendimento del capitale (Roi) e conseguentemente ad un computo negativo per quanto riguarda la creazione della ricchezza. Si verifica, infatti, una riduzione che conduce il rendimento del capitale ad essere inferiore rispetto al costo medio dello stesso; l’effetto è il prodotto del maggior costo del debito, ma soprattutto della accrescente remunerazione dei mezzi propri ad esito dei più alti livelli dei tassi risk-free.

217 Questa imposta è calcolata sulla differenza tra il valore della produzione ed i costi della produzione. Quindi va a colpire il valore aggiunto prodotto dall’azienda senza la deduzione, da questo novero, dei costi relativi al personale dipendente. L’imposta può quindi portare a distorsioni in quanto va ad interessare valori diversi dal risultato della gestione caratteristica.

218 Mediobanca, Dati Cumulativi di 2032 società italiane, Milano 2012, in www.mbres.it

219 Mediobanca, Dati Cumulativi di 2025 società italiane, Milano 2010, in www.mbres.it, viene precisato come per le medie imprese la percentuale di valore aggiunto assimilata al costo del lavoro sia pari al 63%, mentre per le grandi si riduca al 47%.

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Grafico 9 – Andamento del margine operativo netto (Mon) in rapporto con il valore aggiunto. Indice 2000=100

Fonte: Barbaresco G., Le medie imprese italiane (2000-2010), Area Studi Mediobanca, Milano, 13 Aprile 2012.

L’aspetto più rilevante relativo ai rendimenti e all’intensità capitalistica è riconducibile ad una relazione inversa che si instaura fra la dimensione aziendale, in termini di capitale investito, ed i rendimenti che ne conseguono. L’universo della media impresa è caratterizzato da una forte distorsione verso le classi con una minore dotazione di capitale. Ciò non è in alcun modo riconducibile ad aspetti finanziari, infatti queste imprese mostrano forti livelli di

patrimonializzazione e quote di debito finanziario sul capitale che non variano

significativamente all’interno delle varie classi221. Tale particolarità è il risultato di un modello aziendale caratterizzato da combinazioni produttive che richiedono una bassa

dotazione di capitale per raggiungere l’efficienza. Questo status costituisce una condizione di equilibrio comprovata dall’aumento del tasso di rendimento allo scendere della dotazione di capitale.

Questo modello aziendale si fonda su scelte strategiche che prediligono la capacità di

differenziare e la flessibilità (personalizzazione del prodotto) rispetto alle economie di scala, alle quali molto spesso queste imprese sopperiscono attraverso la costituzione di una rete, tale da unire l’apparato produttivo con il contesto sociale locale (distretto industriale)222.

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La dotazione di mezzi propri garantisce stabilità nel tempo.

222 Garolfi G., Industrializzazione diffusa in Lombardia: sviluppo territoriale e sistemi produttivi locali, Iuculano, Pavia 1995. 25,5 24,3 23,6 21,1 22,7 22,5 24,8 27,6 25,0 19,0 18,6 10,3 -2,6 -10,2 1,7 6,1 3,0 10,2 18,4 9,2 -9,4 1,7 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

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L’innovazione di prodotto permette di localizzarsi all’interno di nicchie di mercato come leader, ma questo non genera volumi di produzione elevati comportando un costo-opportunità per l’incremento dell’utilizzo del capitale (ecco spiegata la tendenza a ridursi del tasso di profitto con l’incremento dimensionale).

Ma la redditività del capitale, che è misura della capacità competitiva dell’azienda, non può prescindere dal tenere in considerazione il prezzo di vendita della merce223. Diventa quindi preminente il “valore” della produzione per addetto che risulta essere in relazione diretta non tanto con la produttività del lavoro ma con la combinazione fra la quantità di bene prodotto e il relativo prezzo di vendita. Questo scenario restituisce un modello industriale caratterizzato da imprese che attraverso l’innovazione giungono ad una forte differenziazione del prodotto tale da permettere politiche di prezzo, mantenendo elevati i livelli di profitto sul capitale224.

223 R=(pq-w)/k r = tasso di profitto sul capitale; p = prezzo relativo del bene fabbricato; q = produttività (quantità fabbricate per unità di lavoro); w = salari unitari; k = stock di capitale per unità di lavoro.

224 Coltorti F., “Dal modello NEC di Fuà al nuovo ruolo delle medie imprese”, QA-Rivista dell’Associazione Rossi Doria, 2007.

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