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LE DIRETTRICI DELL’INTERVENTO

PARTE III – LIMITI ED OSTACOLI Capitolo 8 FINANZA

9.3 LE DIRETTRICI DELL’INTERVENTO

Le indagini relative ai processi di internazionalizzazione hanno messo in evidenza alcune criticità che caratterizzano l’industria italiana. Il primo aspetto riguarda gli investimenti diretti esteri, la cui intensità è sensibilmente inferiore se paragonata ad economie simili alla nostra sia per dimensione sia per apertura verso i mercati internazionali. Le cause sembrano essere riconducibili alla peculiare struttura del sistema industriale italiano: le imprese di ridotte dimensioni, soprattutto quelle localizzate all’interno dei distretti, dimostrano una bassa propensione ad effettuare IDE; inoltre viene meno anche il contributo delle imprese di grandi dimensioni. Ciò confuta la tesi per cui i processi di internazionalizzazione, soprattutto quelli che prevedono investimenti diretti all’estero, risentano in maniera maggiore delle dimensioni dell’impresa.

L’altro aspetto si coniuga con il primo e viene definito come un “gap di globalità”280. Questo è osservato nella totalità del sistema paese ed è dovuto alla scarsa concentrazione di

279 Dati al 1.1.2004. Gagliardi C., Le medie imprese industriali italiane: assetti organizzativi e strategie di crescita, Centro Studi Unioncamere, Milano 18 novembre 2005, in www.mbres.it.

280

Mariotti S. e Mutinelli M., Italia multinazionale 2005: le partecipazioni italiane all’estero ed estere in Italia, Rubbettino, Soveria Manelli 2007.

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investimenti in aree geograficamente più distanti come l’Asia oppure il Nord America, prediligendo, invece, paesi dell’Europa o tutt’al più che si affacciano sul Mediterraneo281. Tale gap risulterebbe maggiormente evidente se venisse indicata l’Unione Europea come mercato domestico, viste le modeste barriere all’entrata (per gli investimenti e le merci); l’intensità dell’internazionalizzazione per le imprese apparirebbe eccessivamente limitata. Come visto in precedenza queste difficoltà vengono riscontrate anche nella dimensione intermedia, caratterizzata per un profilo di internazionalizzazione non dissimile da quello della media delle Pmi italiane, con cioè una forte propensione per le esportazioni ma con un peso esiguo negli investimenti diretti. Tale caratterizzazione risulta più accentuata nelle imprese localizzate nei distretti, quest’ultime presentano quote di export al di sopra della media mentre è al di sotto per quanto riguarda la quota di investimenti esteri.

Ma l’impressione che si ha analizzando i dati relativi ai processi di internazionalizzazione è che la media impresa abbia la capacità di superare i limiti mostrati dalla piccola dimensione. Partendo da questa affermazione è possibile affrontare alcune riflessioni in termini di policy. La prima considerazione riguarda gli interventi a sostegno dei processi di

internazionalizzazione, questi devono interessare non solo le categorie dimensionali inferiori ma quelle superiori, soprattutto nel sostegno agli investimenti diretti esteri.

Contemporaneamente, va tenuto conto del fatto che le difficoltà con cui si sono dovute confrontare le medie imprese non sono le stesse che hanno incontrato le piccole e perciò richiedono mezzi di intervento adeguati.

Queste operazioni a sostegno dell’impresa rendono le scelte aziendali maggiormente efficaci ed efficienti rispondendo ai fallimenti del mercato e per l’importanza attribuita alla “funzione sociale” che collega il successo della singola impresa a quello dell’intero sistema industriale. Per prima cosa risulta fondamentale il supporto dato dalle istituzioni competenti per il reperimento di informazioni rilevanti che il solo mercato non sarebbe in grado di offrire in modo completo. Questo contribuisce a ridurre il rischio relativo alle scelte di possibili localizzazioni alternative oppure all’entrata in nuovi mercati. Appaiono fondamentali, in questo senso, le politiche che favoriscono l’accesso al credito per progetti di

internazionalizzazione caratterizzati da un livello ragguardevole di innovazione e di rischio. Inoltre la scarsità, diffusa all’interno del sistema, di competenze (e di risorse) manageriali necessarie per gestire la maggiore complessità prodotta dall’internazionalizzazione,

281 Spigarelli S., “I processi di internazionalizzazione delle PMI. Un’analisi empirica sul contesto produttivo marchigiano”, Economia & Management, 3, pp. 57-78, 2003.

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rende queste politiche particolarmente importanti. Ciò dovrebbe tradursi in un supporto istituzionale valido e competente, sia dentro che fuori i confini nazionali, allineandosi con le politiche dei maggiori paesi industrializzati. Questo si traduce nel cogliere appieno tutte quelle possibilità che vengono offerte alle imprese nostrane da una pluralità di territori che, in competizione tra loro, cercano di attirare capitale dall’estero. Inoltre esiste la necessità di ridurre i rischi associati all’entrata in nuovi territori e di supportare lo sviluppo di nuove e complesse relazioni con partner esteri.

Per seguire tali direttrici le politiche da attuare sono semplici ma al contempo distanti dalle pratiche in uso nel nostro paese. Un esempio può essere il supporto ed il finanziamento delle istituzioni competenti. Incaricandosi inoltre della preparazione dei quadri di policy making che hanno il compito di offrire strutture per sostenere i processi di internazionalizzazione, organizzare le attività di una pluralità di soggetti operanti in questo ambito promuovendo la divisione del lavoro e riducendo al minimo i conflitti tra le istituzioni che incarnano i diversi livelli di governo.

Oltre al supporto dato alle imprese, un ulteriore ambito di azione può essere rappresentato dalla gestione dei processi di internazionalizzazione relativi alle realtà produttive territoriali. Data la peculiarità della struttura del sistema produttivo sono richiesti interventi di policy che siano in grado di gestire queste specificità. Tale necessità risulta fondamentale alla luce del dinamismo mostrato dai sistemi locali che ha conseguentemente influenzato un segmento importante della struttura produttiva, mantenendo un peso notevole anche in un contesto, come quello attuale, caratterizzato da marcata internazionalizzazione282.

Tuttavia alcune difficoltà si riscontrano nell’individuare gli ambiti istituzionali più adeguati nel sostenere questi processi di internazionalizzazione. Lo stato nazionale rappresenta l’interlocutore nel caso delle grandi imprese multinazionali (soprattutto per l’impatto che possono avere con i loro investimenti diretti sul paese ospitante), mentre nel caso delle medie imprese dovrebbero essere i governi regionali a rappresentare il riferimento preminente. In questa circostanza emergono notevoli difficoltà nello svolgere tale ruolo: in primis la

complessità dovuta al ruolo di controparte istituzionale in relazione con stati o enti territoriali interessati dalle strategie di investimento di tali imprese oppure per un’impostazione legata a politiche di promozione più adatte a imprese di dimensioni inferiori.

282 ICE, Rapporto ICE 2005-2006, L’Italia nell’economia internazionale, Istituto Nazionale per il Commercio Estero, Roma 2006, in www.ice.it.

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Va tenuta in debita considerazione che l’apertura a relazioni esterne di alcune imprese può destabilizzare l’equilibrio all’interno dei sistemi locali di produzione, compromettendo la capacità di questi territori di esprimere efficienza collettiva. Una questione complementare diviene quella di favorire l’internazionalizzazione delle medie imprese, che si dimostrano leader di questi territori e che potrebbero condurre l’intero sistema locale verso un sentiero caratterizzato da una maggiore competitività, efficienza e da un cambiamento strutturale. Diviene quindi essenziale incentivare l’internazionalizzazione delle imprese e del sistema locale, evitando l’eventuale comparsa di conflitti tra i vari attori, i quali potrebbero perseguire obiettivi individualistici nel tentativo di gestire l’impatto di cambiamento.

9.4 GLI EFFETTI NON DESIDERATI DEL PROCESSO DI