Capitolo 2. DISTRIBUZIONE DELLA MEDIA DIMENSIONE
2.4 POSIZIONAMENTO NEI COMPARTI MAGGIORMENTE TECNOLOGIC
Il ruolo della media impresa risulta essere marginale all’interno dei comparti science based. La specializzazione si concentra nei settori del made in Italy, verso cioè produzioni
tradizionali con un medio-basso/basso livello di tecnologia dove i punti di forza sono essenzialmente di natura commerciale (pubblicità, design, tecniche e reti di vendita) e immateriali (marchi e brevetti). L’esigua presenza di queste imprese all’interno dei comparti
high tech viene riscontrata anche dalla metodologia OCSE (fondata sull’intensità della spesa
in ricerca) che registra basse percentuali (4,2% nel 2009)50 di fatturato destinate a produzioni innovative (percentuale che dal 2007 al 2008 è diminuita dal 4% al 3,7%; mentre i maggiori gruppi italiani destinano un quota pari al 12%). Le imprese medio-grandi nei settori science
based51 ad alto tasso tecnologico, dimostrano di essere un’evoluzione rispetto alle aziende
intermedie che in questi comparti sono un numero ridotto. Quest’ultime sono concentrate soprattutto nella farmaceutica (52 società che rappresentano il 34% delle imprese attive nei comparti considerati altamente tecnologici), nella produzione di apparecchiature
radiotelevisive e di telecomunicazione (21 e cioè il 14% del totale), medicali e chirurgiche (16 pari al 10%), e nella produzione di strumenti e apparecchi di misurazione e controllo dei processi industriali (24 pari al 16%) ed elettroniche (20 pari al 13%).
Una specializzazione a basso contenuto tecnologico, con produzioni localizzate su mercati poco dinamici e più maturi (quest’ultimi esposti alla concorrenza dei paesi emergenti), viene
49 Gagliardi C., “Fattori competitivi e perfomance delle medie imprese industriali”, in D. Marini (a cura di), Fuori dalla media: Percorsi di sviluppo delle imprese di successo, Marsilio, Venezia 2008, pag. 45.
50 Indagine Mediobanca – Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane 2000-2009, Milano aprile 2012, in www.mbres.it.
51 Definizione adottata nella tassonomia di Pavitt, comprende imprese nel campo della farmaceutica, chimica ed elettronica.
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considerata da molti studiosi come una delle cause alla base dei problemi di competitività dell’industria manifatturiera italiana (questa incapacità può essere ricondotta in parte al solo utilizzo di leve competitive quali quelle del prezzo), che di fatto non permette alle imprese del nostro paese di poter beneficiare appieno delle fluttuazioni positive della domanda globale. In Italia, la spesa per la R&S è una percentuale di molto inferiore (1% sul Pil) rispetto al valore medio fatto registrare nell’Ue a 15 paesi (2%). Più in particolare le imprese italiane destinano a questa voce una percentuale vicina allo 0,7% del Pil mentre la media Ue è
dell’1,2%; le imprese tedesche dimostrano una maggiore intensità innovativa con quasi il 2%. Un ulteriore conferma del deficit innovativo è data dall’indicatore degli output dell’attività produttiva e cioè il numero di brevetti registrati dall’Italia, che negli anni novanta (anni in cui il modello della media impresa emerge) fa registrare valori esigui.
Una parte della letteratura52 fa risalire questo gap alla specializzazione produttiva in settori tradizionali ma le cause possono essere ricondotte anche alle ridotte dimensioni della struttura imprenditoriale italiana53.
Infatti alcuni studi condotti sulla diffusione e l’utilizzo dell’ICT nelle imprese italiane fanno emerge come solamente le società di grandi dimensioni siano in grado di sopportare gli investimenti in R&S e le spese per la difesa delle proprie innovazioni. Questo è
principalmente dovuto agli elevati costi fissi, caratteristici dei progetti di R&S, che possono essere ammortizzati solamente attraverso l’utilizzo di ampie scale produttive. Inoltre le grandi imprese oltre a poter finanziare la spesa innovativa, grazie alla diversificazione della propria attività di R&S, possono limitarne i rischi e l’incertezza che sono insiti in questa fase. Appare evidente l’esistenza di una relazione positiva tra R&S e dimensione dell’impresa ma evidenze empiriche non chiariscono se l’aumento delle risorse investite sia più che proporzionale rispetto alla variabile dimensionale54.
52 Trenti S., “Il settore ICT in Italia: un recupero possibile, Studi di settore”, Studi di Settore, Servizio Studi e Ricerche, Intesa Sanpaolo, maggio 2003.
53 Foresti G., Guelpa F. e Trenti F., “Competitività, Produttività e Crescita dimensionale delle imprese”, in A. Arrighetti e A. Ninni (a cura di), Dimensione e crescita nell’industria manifatturiere italiana, Franco Angeli, Milano 2008, pag. 162.
54 W. M. Cohen, “Empirical studies of innovative activity”, in P. Stoneman (ed.), Handbook of the Economics of Innovation and Technological Change, Oxford, Blackwell, pp. 182-264, 1995. P.G. Gayle, 2001, “Market concentration and innovation: new empirical evidence on the Schumpeterian hypothesis”, University of Colorado at Boulder, Discussion paper in economics, 01-14, 2001.G. Symeonidis, “Innovation, firm size and market structure: Schumpeterian hypotheses and some new themes”, Economic Department Working Papers, (96)58, 1996.
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Un apporto fondamentale a questa discussione viene data da alcune simulazioni svolte55 che dimostrano come gli investimenti in R&S aumenterebbero sensibilmente se la struttura dimensionale delle imprese italiane non fosse dissimile da quella tedesca o statunitense. Ma anche tenendo conto delle diversità nella struttura produttiva e dimensionale dell’industria italiana esisterebbe comunque un ritardo nelle attività di R&S, poiché l’intensità di ricerca è inferiore a quella registrata negli altri paesi avanzati. Questa mancanza di capacità innovativa non permette alle imprese di sfruttare le opportunità date dai mercati e dai settori in rapida crescita costringendole ad attuare politiche di prezzo in mercati dove sono già presenti i prodotti dei paesi emergenti, maggiormente competitivi sotto questo aspetto. Inoltre le
politiche strategiche imitative non conducono più a dei vantaggi in quanto richiederebbero dei bassi costi di produzione che il sistema industriale italiano non può garantire per l’alto costo del lavoro.
Le difficoltà inerenti alla scarsa competitività del sistema industriale sono riconducibili a queste condizioni: dimensione aziendale, specializzazione tecnologica e sistema innovativo. Queste contribuiscono a creare un circolo vizioso: un sistema basato su ridotte dimensioni aziendali produce una limitata domanda di R&S ed innovazione ed in più un ambiente
istituzionale poco propenso ad investire in ricerca e sviluppo non invoglia le imprese stesse ad affrontare un sentiero tecnologicamente più avanzato e conseguentemente ad accrescere le proprie dimensioni. Nonostante questo l’industria manifatturiera del nostro paese è riuscita, per un lungo periodo di tempo, a far segnare buone performance, grazie soprattutto ad un modello produttivo sorretto dal distretto industriale. È proprio grazie alla suddivisione in maniera efficiente del processo produttivo e di determinate produzioni, assicurata
dall’interazione e dalla cooperazione delle piccole imprese all’interno dei distretti industriali, che l’industria italiana (caratterizzata da una limitata diffusione della grande impresa, da una bassa intensità di R&S e da una specializzazione in settori considerati maturi) è riuscita a sopperire alle proprie lacune, dimostrando un buon livello di competitività56.
È quindi possibile affermare che alla base dell’emersione del modello della media
dimensione c’è stata la capacità di saper sfruttare al meglio le economie di agglomerazione, “internalizzando” così le competenze, le conoscenze e i “saperi” presenti sul territorio (know-
55 Foresti G., “Specializzazione produttiva e struttura dimensionale delle imprese: come spiegare la limitata attività di ricerca dell’industria italiana”, Rivista di Politica Economica, XCV (3-4) pp. 81-122, 2005. 56
Viesti G., “Crisi ed evoluzione dei distretti industriali”, in F. Onida, G. Viesti, A. M. Falzoni (a cura di), I distretti industriali: crisi o evoluzione?, Egea, Milano 1992.
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how localizzato, meccanismi di apprendimento legati al learning by interacting, scambio di personale qualificato ecc.). Le esternalità positive, venutesi a generare all’interno di questo modello, hanno permesso la formazione di imprese produttrici di beni capitali, altamente innovative e competitive. Queste hanno sopperito alla mancanza di laboratori di R&S attraverso l’interazione diretta con le imprese clienti (sistema moda o sistema casa),
introducendo nel sistema innovazioni di tipo incrementale: focalizzate al miglioramento della qualità prestazionale del prodotto oppure collegate alla sperimentazione di nuovi materiali, alla personalizzazione delle produzioni, al design.
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