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L’ECONOMIA DELLA FILIERA

Capitolo 4. POLITICHE E FATTORI COMPETITIVI DELLA MEDIA IMPRESA

4.3 IL RAPPORTO CON IL CONTESTO DI RIFERIMENTO 1 IL DISTRETTO INDUSTRIALE

4.3.2 L’ECONOMIA DELLA FILIERA

Negli ultimi vent’anni, le economie dei paesi più sviluppati sono state interessate da un forte processo di frammentazione della produzione che ha portato all’esternalizzazione di interi segmenti della stessa verso imprese localizzate ben oltre i confini nazionali. La catena del valore che compone il bene finale, negli anni, ha assunto un profilo sempre più internazionale con sequenze di fasi e di attività organizzate all’estero.

Come era naturale attendersi il baricentro della competizione fra paesi si sposta dal mercato dei beni finali a quello dei beni intermedi e conseguentemente il vantaggio comparativo di un paese viene misurato analizzando il ruolo delle imprese all’interno della divisione

internazionale del lavoro110.

La diffusione del processo di frammentazione può essere fatta risalire a diverse cause: le principali sono legate alla forte riduzione che hanno subito i costi di trasporto e le tariffe doganali comportando una flessione nel costo del traffico di perfezionamento passivo. Questo ha comportato l’emersione dei paesi in via di sviluppo come produttori a basso costo di beni intermedi; dagli studi di Heintz emerge come tali beni negli anni settanta incidevano sulle esportazioni solo per il 20%, mentre nel 2000 la percentuale è salita al 70%111.

Un ruolo importante nell’estensione internazionale della filiera viene svolto dagli investimenti diretti, effettuati soprattutto negli ultimi quindici o vent’anni dalle imprese multinazionali. Queste ultime hanno frammentato la produzione in diversi siti, permettendo la creazione di una rete di relazione proprio con i fornitori localizzati in quei paesi.

In Italia, il processo di frammentazione della produzione su scala globale ha avuto uno sviluppo recente iniziato solo nella seconda metà degli anni novanta. Il sistema industriale italiano subisce un mutamento strutturale nel contesto di operatività delle proprie imprese, facendo registrare mutamenti sia nelle modalità organizzative sia negli assetti proprietari. Il contesto di operatività delle aziende italiane cambia radicalmente a causa degli shock, sia di

110 Feenstra R., Hanson G., “Global production sharing and rising inequality: a survey of trade and wages”, NBER Working Paper, n.8372, 2001.

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Heintz J., “Low-wage manufacturing and global commodity chains: a model in the unequal exchange tradition”, Cambridge Journal of Economics, 2006.

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natura esogena che endogena. Questi sono dovuti ad una maggiore integrazione commerciale dei mercati e al conseguente incremento della concorrenza soprattutto da parte di paesi in via di sviluppo (localizzati soprattutto nel Sud-Est asiatico) che vanno ad intaccare quote di mercato nel settore del “made in Italy”. Un ulteriore elemento che ha innescato il mutamento è riconducibile all’introduzione di una politica di cambio rigida, che non permette più

l’utilizzo della svalutazione come strumento per aumentare la competitività. L’insieme di tali shock ha comportato una perdita di quote di mercato estero ed un calo di produttività per le imprese italiane ma ha anche permesso, attraverso forze centrifughe (attuate dai differenziali salariali e dalle nuove tecnologie), di riorganizzare le relazioni tra imprese prima di allora contenute all’interno del perimetro socio-economico del “sistema locale”.

Questo cambiamento si traduce in profondo processo che muta, sia qualitativamente che quantitativamente, la struttura delle imprese attraverso la loro catena del valore112. Di conseguenza lo studio sulla variabile dimensionale perde il suo valore originario: la dimensione d’impresa non risulta più così determinante per il raggiungimento di risultati competitivi sui mercati. A questo proposito Enzo Rullani113 rileva una crisi nella concezione strutturalistica dell’impresa e della concorrenza. In passato, infatti, era possibile descrivere la forza dell’impresa fordista attraverso concetti quali i volumi produttivi, i conseguenti livelli di fatturato e le economie di scala. Quest’ultimi rimandavano alla forza moltiplicativa della conoscenza interna ai confini proprietari, che naturalmente era funzione diretta della dimensione di impresa.

Con la crisi del modello fordista e la successiva frammentazione della produzione, i circuiti della conoscenza escono dal confine “fisico” dell’impresa e si espandono sul territorio comportando un infittimento nelle relazioni verticali fra imprese all’interno della filiera114. Anche il ruolo del subfornitore muta; si instaurano relazioni di complementarietà con l’impresa committente che permettono al subfornitore da mero trasformatore di divenire soggetto attivo all’interno del ciclo produttivo.

Avviene quindi una trasformazione: ogni azienda si focalizza su una fase del ciclo produttivo, specializzandosi su un core business, mentre vengono trasferite all’esterno le produzioni

112 In questa trattazione catena del valore, filiera, divisione del lavoro sono sinonimi.

113 Rullani E., “Media impresa, ovvero economia della filiera: una linea di analisi post-strutturalistica per il sistema produttivo italiano”, in Mediobanca/Unioncamere, Indagine sulle medie imprese industriali italiane (Commenti e testimonianze 2003), Milano 2004.

114 La filiera può essere definita come un sistema di mercato, cioè un gruppo di agenti che interagiscono secondo schemi ricorrenti, in cui alcune imprese operano in sinergia con altre ottenendo da questa azione congiunta oltre che benefici produttivi anche benefici informativi.

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complesse di cui le altre imprese coinvolte nella catena del valore se ne fanno carico. Inoltre, si sviluppano relazioni esterne con altre aziende che permettono la condivisione di

competenze ed innovazioni.

Il diffondersi all’interno di un esteso sistema di divisione del lavoro di una rete di relazioni ha permesso alle imprese minori di usufruire di economie esterne specifiche, che sopperiscono alla mancanza delle economie di scala create dalle grandi imprese. All’interno dell’economia di filiera non contano le dimensioni delle aziende, ma sono maggiormente rilevanti le

connessione alla rete di divisione del lavoro.

È naturale, quindi, che si verifichi una perdita di validità di uno dei dogmi dell’economia industriale e cioè il paradigma Strutture-Condotte-Performance; le strutture non determinano più i comportamenti e di conseguenza le performance, ma sono proprio i comportamenti generati da una visione indipendente a creare strutture difformi rispetto alle originarie. Il cambiamento nei comportamenti è visibile soprattutto nella risposta che danno le imprese alla necessità di aumentare la propria massa critica, richiesta dall’allargamento dei confini del mercato domestico che da regionale o nazionale diviene europeo. La crescita avviene sia per linee tradizionali con l’incremento del numero di dipendenti, sia con la costituzione di alleanze e joint-venture che permettono una crescita per linee orizzontali rimanendo così all’interno della medesima classe dimensionale.

Ma il vero processo di crescita è rappresentato dalla costituzione di reti di relazioni ed è per questo che risulta significativo studiarlo non utilizzando la teoria dimensionale, ma attraverso le relazioni che vanno a comporre la rete. La diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) ha permesso alla catena del valore di assumere estensione globale. Questi avanzamenti tecnologici consentono di codificare la conoscenza e quindi di renderla trasmissibile, modificando conseguentemente i confini dell’impresa (tutto ciò era stato previsto ampiamente da Coase)115. Queste tecnologie garantiscono la gestione della filiera “lunga” permettendo una riduzione dei costi per il coordinamento degli operatori all’interno della rete, rendendo meno vincolante la continuità spaziale tra le imprese. Questi cambiamenti comportano come risultato un’accelerazione della frammentazione tecnica della produzione, sia nei settori in cui era già avviata, sia in quei settori che presentavano economie di scala116.

115 Coase R. H., “The nature of firm”, Economica, 4, 1937. 116

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